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Archivio tag: CARRELLATA CINEMATOGRAFICA

Viale del tramonto (1950), Billy Wilder.
Protagonista: Gloria Swanson

Il cinema può definirsi l’espressione della vita, la sua rappresentazione. Ha infatti la capacità di trasmettere attraverso i suoi film, le sue scene, le sue inquadrature, i suoi fotogrammi ciò che noi viviamo quotidianamente, da un gesto a un’abitudine, da una sensazione a un’emozione.

Quante volte capita di ritrovarsi in un film, in una trama o semplicemente di rivedere in quella scena montata con quella determinata musica un momento vissuto o una persona o un luogo. O magari è un colore ad attrarci, una parola, un paesaggio. Ed ecco che viene fuori appunto l’essenza cinematografica.

Ma, come in tutti i film che si rispettano c’è chi colpisce più di altri, c’è il personaggio che fa sognare, che fa pensare, che semplicemente affascina: il/la protagonista. Ma pensateci, questo non accade anche nella nostra quotidianità?

Pretty woman (1990), Garry Marshall.
Protagonista: Julia Roberts

Ebbene sì, perché nella vita di tutti i giorni la nostra attenzione è palesemente orientata, oggi più che mai, verso chi emerge, chi trasmette qualcosa nel bene o nel male e che ci riesce proprio perché dotato di autenticità.

Noi quel qualcuno, propriamente detto protagonista, lo giudichiamo positivamente o negativamente, ma eccome se questo giudizio è figlio di pensiero ed emozione.

Johnny Stecchino (1991), Roberto Benigni.
Protagonista: Roberto Benigni

Questo avviene nel quotidiano come in un film in cui le azioni del personaggio principale sono osservate, assorbite, giudicate dallo spettatore e accade perché esso è dotato di qualità che pochi possiedono.

Esterna una magia unica, straordinariamente semplice e così forte da colpire non solo chi ha vicino, ma anche chi per puro caso si imbatte in lui/lei.

Io sono leggenda (2008), Francis Lawrence.
Protagonista: Will Smith

Pensate a una Julia Roberts o a un Will Smith ad esempio? Ce li vedreste nei panni di un personaggio secondario? Credo proprio di no.

Oscurerebbero attraverso movenze, espressioni, modi di fare e di comunicare l’attore/attrice di turno.

Moulin rouge (2001), Baz Luhrmann.
Protagonista: Nicole Kidman

Sono poche le personalità che affascinano oggettivamente e il cinema, dotato di occhio e consapevolezza tecnica, ne estrapola le peculiarità e le trasmette poi al pubblico, dotandosi di attori/attrici che palesemente e naturalmente sono i protagonisti.

Maria Pettinato

Il Festival di Venezia 2019, o meglio la 76° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, sta per concludersi e anche quest’anno ha garantito l’occasione per esporre le proprie creazioni filmiche, ma anche e soprattutto per esporsi.

Perché è ormai chiaro a tutti il fatto che il Festival di Venezia in realtà non sia solo e semplicemente un evento culturale, un momento di dibattito intellettuale, la Manifestazione cinematografica con la “M” maiuscola, organizzata con passione e competenza dalla rinomata Biennale di Venezia.

Eh no, cari miei! Venezia a fine estate è il Festival, è la Rassegna, è l’Occasione tanto attesa per pubblicizzarsi, presentarsi, mostrarsi tra tanti e tante.

Ma in realtà ahimè, a emergere dalla passerella rossa, nella massa di attori, fashion blogger (o presunte tali!), influencer e tutti i nuovi personaggi di questi disastrosi anni (e spero che rimarranno solo anni!), aleggia aria di talento ed eleganza molto raramente.

E dalla famosa pedana a distinguersi dalle altre, perché dotata di inconfondibili finezza, sensualità, talento e unica bellezza c’è Penélope Cruz, in concorso a Venezia con il film Wasp network di Olivier Assayas, thriller politico nel quale la vediamo nei panni di Olga, moglie di René Gonzalez, dissidente anti-castrista fuggito in Florida, “moglie del traditore” in pieno regime a Cuba 1990.

Olga (Penélope Cruz) in Wasp network di Olivier Assayas in concorso alla 76° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia

Conosciuta nel mondo per le sue capacità attoriali, oltre che per la sua bellezza, la Cruz è esempio di determinazione, riuscita e riservatezza.

Ma a contraddistinguerla vi è il sacrificio, come ha dimostrato il periodo delle porte sbattute in faccia, degli incontri con persone sbagliate, di rinunce, che si è trasformato poi nel periodo dello studio, della determinazione, delle conoscenze positive come quella avvenuta con il maestro e amico Pedro Almodòvar, che ha creduto in lei contribuendo così alla trasformazione di Penélope ne “La Madonna di Madrid” prima e di icona mondiale poi.

Momenti belli e brutti, ma fondamentali perché è anche grazie a essi che lei oggi è ciò che è, una donna umile, portatrice di valori, una di Noi, la ragazza della porta accanto che ce l’ha fatta, che proviene da una famiglia altrettanto umile.

Diva “raggiungibile”, amata e innamorata del suo pubblico come attesta la passione impressa nei suoi occhi, la dolcezza del suo sorriso, l’ironia tipicamente spagnola, la volontà di tenere fuori dai riflettori la sua vita privata.

Qualità così vere da toccare i presenti che solo a guardarla in una foto pubblicata sui social de L’Artefatto decidono di votare lei preferendola alle altre che, pur dotate di fascino e qualità come dimostrano Monica Bellucci, Alessandra Mastronardi e Cristiana Capotondi – tutte presenti sul red carpet veneziano – spicca diffondendo “luce propria”.

Maria Pettinato

La Disney, si sa, è conosciuta da tutti noi per le sue capacità creative. È risaputo infatti il suo talento nel creare, produrre e distribuire film d’animazione a dir poco travolgenti, se pur dotati di grande semplicità.

Una semplicità mai banale però, perché il significato che si cela dietro a un film Disney è studiato nei minimi dettagli per comunicare il meglio al suo pubblico. Doveri comuni e valori come la solidarietà e l’uguaglianza vengono trasmessi ad adulti e bambini rimanendo impressi nella loro mente.

Uno di questi capolavori, nonché messaggero di virtù, è decisamente Il Re Leone, uscito nel 1994 travolgendo letteralmente lo spettatore, così come sta accadendo oggi con il suo rifacimento diretto dal regista Jon Favreau, già conosciuto nel 2016 per il remake de Il libro della giungla.

Successo confermato dal raggiungimento di 14 milioni di euro di incassi a soli cinque giorni dalla sua uscita dominando così il box office, un po’ come accaduto al suo predecessore, vincitore di numerosi premi come due Golden Globe e un Oscar.

Ma vediamo nel dettaglio cosa rende questo film così eclatante, ma allo stesso tempo un poco deludente…

Di per sé il mondo animale attrae con il suo fascino. La savana, la dolcezza impressa negli occhi dei suoi abitanti, la loro bellezza oggettiva sono fondamentali per il raggiungimento del successo, ancor più per ciò che riguarda il remake 2019 dove tali personaggi sono resi quasi reali dagli effetti speciali impiegati da Favreau.

Importantissimo è poi il rapporto padre-figlio (Mufasa-Simba), così complice e unico da trasformarsi nel motore sul quale ruota l’intera trama e al quale sono associati valori imprescindibili come l’attaccamento alle proprie radici e il senso di appartenenza.

Qualità trasmesse al pubblico, insegnate al bambino e ricordate all’adulto, insite anche in Timon e Pumba che, pur decantando consigli di indifferenza, come attesta il comico motto “Hakuna Matata”, emergono, si ritrovano, nutrono anch’essi sentimenti di unione.

E poi, protagonista sovrana, c’è la musica. Brani coinvolgenti, forti, caparbi che uniti alla voce di Marco Mengoni ed Elisa in questo 2019 emozionano lo spettatore, così come accadeva nel ’94 con quella di Ivana Spagna, eccezionale nell’interpretare Il cerchio della vita, rimasto nella memoria di tutti noi, o di Roberto Stafoggia nel ruolo di Simba (per citare solo una piccola parte dell’intero staff musicale!).

Punti essenziali, presenti in entrambe le versioni, simili nel susseguirsi degli eventi, ma a mio avviso diverse nel lasciare qualcosa.

Non credo infatti che rimarrà nella memoria collettiva lo stesso ricordo lasciato dal cartone d’animazione originale, decisamente più dinamico, più musicale, più movimentato e per questo diverso a livello emozionale con il recente film, nonostante le sue qualità “futuristiche”.

Emerge difatti, nella versione italiana, staticità nei dialoghi tra Nala (Elisa) e Simba (Marco Mengoni) e quindi un “piatto” doppiaggio associato ai due protagonisti, difetto inesistente quando si parla dei brani che accompagnano il film, dai quali spicca la loro innata forza musicale.

Discorso a parte le voci di Timon e Pumba, rispettivamente di Edoardo Leo e Stefano Fresi, leggere e dinamiche, o quella di Mufasa, unica e autorevole come attesta il talento di uno dei più grandi doppiatori a livello internazionale, Luca Ward.

Altra criticità non da poco sta nell’analisi oggettiva delle inquadrature. In alcune di esse i personaggi in fase di dialogo o di azione, quindi protagonisti delle stesse, appaiono tagliati sull’alto comunicando allo spettatore una sensazione di “disordine”.

Naturalezza e realismo colmano comunque e direi fortunatamente tale vuoto, offrendoci un remake riuscito nel complesso e soddisfacendo in tal modo il pubblico, in attesa da mesi per il ritorno del capolavoro Disney.

Maria Pettinato

E una settimana è passata calando il mondo della cultura in un’atmosfera nostalgica, per certi aspetti riflessiva perché è proprio questo il momento giusto, quello che fa tirare le somme.

Sono i grandi nomi di coloro che non ci sono più, ma che rimarranno per sempre nella memoria di intere generazioni come il passato ha dimostrato per qualcun altro.

Si studieranno a scuola, si parlerà delle loro imprese, dei loro successi, delle loro opere, di ciò che hanno e che non hanno fatto. Si criticheranno anche, eccome se si criticheranno! Passerà qualche giorno, qualche mese, ma poi in qualche trasmissione televisiva, su qualche canale radio, addirittura su qualche libro il loro nome uscirà di nuovo nel bene e nel male.

Ma è giusto così, questo accade quando si fa tanto per il pubblico, quando si raggiunge l’obiettivo sperato, quando si fa questo lavoro.

Ciò che comunque nella memoria e nella storia culturale rimarrà sarà il loro ricordo…

Saranno Séverine, il professor Bellavista, il commissario Montalbano a rimanere tra noi. Unicamente i loro personaggi, quelli che non moriranno comunque mai, nonostante la loro morte sia avvenuta davvero rendendo così l’Italia un po’ più triste, un po’ più silenziosa anche se solo per qualche momento.

Questo articolo non vuole essere una critica, né un parere, tanto meno un’opinione, ma vuole semplicemente omaggiare Loro, i Grandi della nostra cultura, coloro che al cinema, alla letteratura, al teatro ci hanno creduto fino all’ultimo, coloro che hanno criticato poco, ma fatto tanto.

A Loro, che meritano l’applauso più lungo che c’è, L’Artefatto offre una chiusura di sipario unica e trionfale.

A Loro, Luciano De Crescenzo, Andrea Camilleri, Valentina Cortese, L’Artefatto dice GRAZIE.

Maria Pettinato

Ci sono film che grazie a una semplice scena, frase, inquadratura sono entrati nella memoria collettiva.

Hanno infatti creato nella mentalità del grande pubblico delle associazioni tra film-regista-attore da considerarsi per certi aspetti positivamente visto il successo mondiale garantito, ma in altri in modo negativo, in quanto a volte il film trionfante ha aperto, ma anche chiuso la carriera del determinato divo, il quale agli occhi del pubblico era il personaggio di “quel film” e non l’attore talentuoso.

Ma andiamo a vedere quali sono, a mio avviso, cari lettori, gli 8 film che tutti, ma proprio tutti, conoscono…

Via col vento

Chi non conosce la ricca Rossella O’Hara (Vivien Leigh) e la sua storia d’amore con l’avventuriero Rhett Butler (Clark Gable)? Direi che chiunque, comprese le nuove generazioni, abbiano ben stampata in mente la frase “Dopotutto, domani è un altro giorno!”, che ha reso celebre, tra le tante, il kolossal diretto nel 1939 da Victor Fleming e vincitore di ben nove Premi Oscar.

La dolce vita

Capolavoro indiscusso nella storia del cinema (1960), conosciuto da chiunque non solo perché stiamo parlando di uno dei più grandi registi mai esistiti e di uno dei più grandi attori di tutti i tempi, rispettivamente Federico Fellini e Marcello Mastroianni, ma perché solo a guardarla la Fontana di Trevi ci immaginiamo il sorriso e l’abito nero di Anita Ekberg.

Il Padrino, The Godfather

“Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare” è una delle frasi più famose del primo film di Francis Ford Coppola, e direi del cinema, non solo perché riporta in automatico alla mente scene memorabili tratte appunto da questo capolavoro, ma anche perché è pronunciata dall’indimenticabile Marlon Brando nel ruolo di Don Vito Corleone.

Lo Squalo

Si sa, Steven Spielberg, è uno dei più grandi registi cinematografici esistenti. I suoi film hanno infatti la capacità di suscitare nello spettatore emozioni fortissime, che spaziano da pura adrenalina, come in questo caso, alla commozione, come ad esempio in E.T. L’extraterrestre. Oggi giorno siamo abituati a vedere film dotati di estremi effetti speciali grazie all’uso di tecnologie avanzate, ma pensate al 1975, anno di uscita del film, e ditemi se non è eccezionale ciò che il regista è riuscito a fare con un semplice squalo meccanico. E poi vogliamo parlare della colonna sonora che solo a sentirla mette i brividi?

Dirty Dancing. Balli proibiti

E poi c’è il film che ha fatto e fa sognare ancora oggi, perché è l’amore a emergere sulle ingiustizie, sulle differenze sociali, quelle che c’erano nel 1987, ma che forse sono ancora un po’ presenti. Ed ecco che quando pensiamo al film di Emile Ardoino ci tornano alla mente Patrick Swayze, Jennifer Grey, il volo dell’angelo, (I’ve Had) The time of my life,… ma nulla più perché questo è il classico esempio del film così forte e di successo che alla fine ha creato le agognanti associazioni Ardoino-Dirty Dancing-attori, tranne per ciò che riguarda Swayze che ha avuto la fortuna di ottenere lo stesso successo con Ghost.

Pretty Woman

Rimanendo sul genere romantico, non possiamo dimenticare la pellicola di Garry Marshall che nel 1990 ha lanciato l’amata coppia Julia Roberts-Richard Gere. Film apprezzato soprattutto dal genere femminile per la storia a lieto fine che vede l’eroe Edward salvare la principessa Vivian, la quale a sua volta ha cambiato l’uomo superficiale e ricco facendo uscir fuori la sua vera natura, buona e passionale.

Edward Mani di Forbice

Oltre a rappresentare uno dei capolavori di Tim Burton, questo film (1990) può considerarsi l’inizio della lunga collaborazione tra il regista e Johnny Depp. Film di estrema bellezza, ricordato e apprezzato da chiunque per la capacità attoriale di Depp di rappresentare uno dei soggetti preferiti di Burton: l’emarginato buono, ma incompreso.

Titanic

È decisamente il film che ha garantito non solo il successo a James Cameron, ma che ha rivoluzionato il modo di fare cinema dal punto di vista degli effetti speciali, anche se oggi, abituati a un cinema molto più evoluto, quando lo vediamo ci viene da dire “ma cos’è quello sfondo animato dietro alla coppia Di Caprio-Winslet nella scena ‘Jack sto volando!'”. Memorabile è la drammaticità insita nella pellicola, così come My heart will go on, colonna sonora realizzata da Céline Dion, la quale balza all’orecchio quando si pensa appunto a Titanic (1997).

E voi, grande pubblico di sala, cosa ne pensate?

Maria Pettinato

Quando ho saputo dell’uscita di Aladdin al cinema non stavo più nella pelle, nonostante i miei trentuno anni di età! Era ovviamente tappa fissa andare a vedere la rivisitazione, peraltro in film, di un pezzo della mia infanzia che è un po’ la stessa per tutti i miei coetanei vista l’importanza della Disney nel campo dell’animazione e soprattutto negli anni Novanta.

È stato un po’ come tornare indietro nel tempo, negli anni del cinema con papà, del mondo dei sogni, nel quale tutto era possibile, in cui tutto si fermava e ogni principessa delle favole ero io.

Semplicemente la magia della Disney! E devo dire che anche questa volta, se pur diversamente, quella realtà si è un po’ ripresentata.

Sul grande schermo un film colorato, gioioso, musicale, la cui trama, ovviamente già ben conosciuta, si è rivelata comunque ricca di spunti nuovi, sorprendentemente unica e moralmente significativa.

Aladdin-Alì (Mena Massoud) è infatti uno di noi, un ragazzo semplice, magari un po’ furbetto, ma allo stesso tempo buono e sognatore, nonostante le imposizioni e gli stereotipi di una società in cui vige il più forte, lo “statista” come specifica lo stesso Jafàr (Marwan Kenzari) descrivendo perfettamente il suo ruolo di traditore. Personaggio quindi apparentemente sfortunato, se pur positivo nelle sue idee, e perciò quasi rassegnato di fronte alle ingiustizie del mondo, finché non arriva la salvezza, rappresentata dal Genio (Will Smith), amico e aiutante del protagonista nell’indirizzarlo verso la strada giusta.

Non sono infatti i tre desideri a salvare Aladdin-Alì, non è la ricchezza ad avvicinarlo alla principessa Jasmine (Naomi Scott), né un titolo nobiliare, ma è semplicemente lui stesso, nella sua essenza e importanza come persona. È la bontà d’animo a salvarlo e a salvare le persone a lui care dal nemico, il quale altro non è che egemonia, sopraffazione, mancanza di rispetto verso il prossimo, caratteristiche tutte incarnate in Jafàr, che in fondo è l’uomo infelice e debole nell’anima perché attratto dal potere e dal denaro, caratteristica tipica della società attuale.

Ma la protagonista indiscussa di questo Aladdin è a mio avviso Jasmine, considerata bella e nulla più nonostante gli studi e gli ideali che la rendono un personaggio leale e determinato. Ed ecco che è di nuovo la raffigurazione di un sistema malsano in cui la donna è ancora discriminata, umiliata e messa da parte nonostante il suo potenziale. Figura che emerge appena si rende davvero conto di quanto lei sia importante per cambiare le cose, di quanto sia fondamentale non permettere a nessuno di “spegnere la sua voce” come attestano le parole del brano da lei cantato, La mia voce.

Degna di nota è l’interpretazione del già premiatissimo Will Smith, capace di suscitare nello spettatore una risata, ma anche una riflessione sul valore dell’amicizia la quale emerge su regole, principi e doveri.

Film assolutamente ben riuscito da ogni punto di vista, dai brani nuovi e “vecchi”, come i conosciutissimi Il mondo è mio e Il principe Alì per citarne alcuni, alle coreografiche dinamiche e studiate nel dettaglio, dalle scenografie capaci di ricreare perfettamente l’ambientazione orientale del precedente cartone animato Disney ai fantastici costumi.

Complessivamente ed eccezionalmente perfetto come solo la magia della Disney riesce a fare!

Maria Pettinato

ALADDIN

  • Regia: Guy Ritchie
  • Casa di produzione: Walt Disney Pictures
  • Musiche: Alan Menken
  • Attori: Naomi Scott, Mena Massoud, Will Smith, Nasim Pedrad, Marwan Kenzari
  • Doppiatori: Manuel Meli (Aladdin), Giulia Franceschetti/Naomi Rivieccio (Jasmine), Sandro Acerbo/Marco Manca (Genio), Francesco Venditti (Jafàr)

Pedro Almodóvar è uno di quei registi, pochi ormai rimasti, a toccare lo spettatore con forza anche quando le immagini da lui presentate altro non sono che semplice realtà, a volte addirittura priva di dinamismo. E ci è riuscito ancora con un film apparentemente autobiografico colto nella sua essenza e quindi nella sua crudezza, Dolor y gloria.

I dettagli inquadrati in primissimi piani, il colore rosso in ogni scena (classica firma del regista), la lentezza dei dialoghi, il richiamo frequente a Federico Fellini, ancora una volta hanno centrato il punto.

Il protagonista è Salvador Mallo, regista cinematografico in piena crisi esistenziale e per questo in vena di ricongiungimenti con figure che nella sua vita professionale, sentimentale, familiare e creativa hanno lasciato il segno: una madre apparentemente orgogliosa del figlio, ma in realtà consapevole dell’omosessualità di quest’ultimo e per questo disposta ad allontanarlo sperando in un cambiamento, il primo desiderio, la passione per il cinema e la rottura con esso perché ormai privo di credo, il grande amore per l’uomo che si rivelerà essere la “musa” della sua creatività artistica.

Un film della maturità, quella di Mallo-Almodóvar, ma anche dello stesso Antonio Banderas, che non è più il protagonista latin lover, conosciuto nei precedenti film del regista spagnolo, ma è l’uomo riflessivo, che non si vergogna della sua debolezza, delle sue lacrime.

Una trama dura, dalla quale emerge la sofferenza del protagonista che è circondato da ricordi, rimorsi e rimpianti, ma allo stesso tempo dalla nostalgia per una vita che non c’è più, della quale rimangono solo i film e una casa ricca di quadri e di colori esuberanti, segno di impeto e desiderio, simbolo di rinascita dopo il periodo franchista dal quale emerge un Mallo bambino schiacciato dallo stereotipo dittatoriale.

Ed ecco quindi il richiamo alla verità da parte di Almodóvar, tipicamente brechtiano in questo, perché la realtà viene fuori così com’è, senza filtri, senza maschere. Lo fa attraverso un cinema ben studiato, artistico, essenziale e per questo a volte talmente forte da incidere sullo spettatore, un cinema quindi ben riuscito perché si congiunge con l’obiettivo che la settima arte si impone da sempre, cogliere il vero.

Raggiunto anche grazie alla presenza attoriale, oltre che di Banderas, definito dallo stesso regista “il mio Mastroianni”, di Julieta Serrano e dell’ormai diva Penélope Cruz.

Pellicola quindi diversa, sentimentale quasi, e per questo forse autobiografica, anche se lo stesso Almodóvar, ha negato tale interpretazione definendo il film un mix di esperienze, emozioni e realtà prese dalla documentazione di vite altrui.

Maria Pettinato

Dolor y gloria

  • Regista: Pedro Almódovar
  • Musiche: Alberto Iglesias
  • Produzione: Augustìn Almodóvar, Esther Garcìa
  • Attori: Antonio Banderas, Penélope Cruz, Asier Etxeandia, Julieta Serrano, Cecilia Roth

Esilarante, divertente, riflessiva e allo stesso tempo un po’ drammatica visto il contenuto, è la commedia Bentornato Presidente!, diretta da Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi, la quale mette alla luce, mediante caricature totalmente azzeccate del nostro governo e del nostro popolo, il quadro attuale: semplicemente un’Italia in rovina.

La comicità è il motore che muove l’intera trama grazie alla presenza di Claudio Bisio nel ruolo di Giuseppe Garibaldi (che non è quello dell’Unità d’Italia!) e di premier, già conosciuto in quello di presidente della Repubblica nel primo film Benvenuto Presidente! (2013).

Incarico importante e utilizzato per cambiare l’Italia, impostato sulla volontà di farlo onestamente, sulla base di ideali e valori tralasciando parole complicate come spread, pil, ecc. per avviare programmi concreti in grado di riportare il benessere nel nostro Paese.

Un’Italia tragica, un po’ buffa e teatrale nella quale si fa una politica impostata su social, gossip, selfie, e chi più ne ha più ne metta, in cui i programmi elettorali prendono piede non sulla base delle problematiche reali, ma sui disappunti futili della gente da bar.

Un’Italia che sarebbe semplice da cambiare, ma che ha preso il cammino della furbizia e della mancanza di unione, della lamentela e della pigrizia, del “non pago le tasse perché quelli non si abbassano lo stipendio” senza capire che è proprio ciò che la sta rovinando. Un’Italia troppo giovane per governare, troppo internet, troppo razzista, troppo aggressiva e piena di sé.

Un quadro che traspare da un film che parla allo spettatore cercando di diffondere il patriottismo oggi mancante mediante “il premier per caso e per amore”, vista l’iniziale volontà di Garibaldi di tornare in un ruolo politico semplicemente per riconquistare la moglie Janis (Sarah Felberbaum).

Richiesta di devozione e sentimento per la propria nazione è quindi intrisa nella commedia come dimostra il discorso finale del premier in parlamento, che guarda dritto verso di noi invitandoci a cambiare, ricordando forse per certi aspetti il Charlie Chaplin del “discorso all’umanità” in Il Grande Dittatore (1940).

Così come nelle inquadrature sulla Roma Eterna, motivo di orgoglio nazionale, bella e malinconica perché ricorda i tempi passati, anche se ahimè brevi, quelli in cui la politica era sentita e amata da chi la faceva, da chi ci credeva, primo tra tutti Sandro Pertini richiamato ironicamente all’interno del film dall’omonimo nome dato da Garibaldi all’amata capretta.

Possibilità di riuscire, speranza, voglia di ricominciare e di cambiare emergono da un film che alla fine commuove ed emoziona, anche se poi alla fine, diciamoci la verità, noi italiani siamo bravi a parlare, ma a fatti… Poveri noi!

Maria Pettinato

BENTORNATO PRESIDENTE!

  • Regia: Giancarlo Fontana, Giuseppe Stasi
  • Sceneggiatura: Fabio Bonifacci, Nicola Giuliano
  • Casa di produzione: Indigo film, HT Film, Vision Distribution
  • Attori: Claudio Bisio, Sarah Felberbaum, Pietro Sermonti, Paolo Calabresi, Guglielmo Poggi

Ha ragione papà, questa è una dannata invenzione senza futuro

Attraverso uno spettacolo imperniato di comicità, sentimento e romanticismo, la Compagnia dei Demoni offre allo spettatore una vera e propria “carrellata cinematografica” accompagnando la trama a citazioni, musiche, scene di film che hanno fatto il cinema.

È la storia dei fratelli Auguste e Louis Lumière ad emergere a Lo Spazio Vuoto (Imperia) i quali, nonostante i giudizi e le delusioni iniziali e mediante l’appoggio di una madre non più in vita, ma comunque presente, hanno creato quella che era stata definita erroneamente dal padre Antoine Lumière “un’invenzione senza futuro”: il cinematografo.

Il sogno rivoluzionario di “catturare la vita” arriva allo spettatore per mezzo di una combinazione di stili cinematografici diversi tra loro, ma tutti uniti dalla volontà di trasmettere qualcosa a chi si trova al di là dello schermo.

Questo traspare nella musica coinvolgente e direi riflessiva di Giorgio Mirto e nell’unicità attoriale di Marco Taddei, Celeste Gugliandolo e Mauro Parrinello nell’interpretare impeccabilmente Auguste, Louis e Marie/madre utilizzando una tecnica recitativa corporea che riporta alla mente il cinema muto e tutto ciò che ad esso è associato: lo “scatto”, la sintesi, la velocità del movimento e quindi della pellicola.

L’evoluzione cinematografica si trasforma perciò in protagonista e ciò è evidente, oltre che nel richiamo ai film contemporanei e successivi ai Lumière e alla scoperta del montaggio, del sonoro e del colore, in un finale “dei giorni nostri” davanti ad uno schermo e con in mano un telefono cellulare.

Cambiamenti ed evoluzioni sono quindi alla base di questo spettacolo che si è dimostrato dinamico, movimentato, ma allo stesso tempo malinconico e un po’ drammatico forse proprio come il cinema che è di per sé metafora di vitalità, ma allo stesso tempo di nostalgia vista la sua capacità di intrappolare immagini e sensazioni, come fossero un ricordo di qualcosa che mai più si ripresenterà.

Maria Pettinato

L’INVENZIONE SENZA FUTURO

  • Con Marco Taddei, Mauro Parrinello, Celeste Gugliandolo
  • Ideato da: Francesca Montanino, F.Giani, M.Parrinello, C.Gugliandolo
  • Scene di: Maria Mineo e Valentina Santi
  • Aiuto regia: Federica Alloro
  • Musiche originali di: Giorgio Mirto