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Arriva 'Io sono l'abisso' di Donato Carrisi - Libri - ANSA

Thriller psicologico dalla narrazione pluriprospettica e dalla trama complessa è il nuovo romanzo di Donato Carrisi, Io sono l’abisso, edito da Longanesi Editore nel 2020.

La trama, apparentemente tranquilla all’inizio, si trasforma in una storia travolgente e ricca di suspense.

È il compleanno del figlio di Vera il giorno in cui quest’ultima decide di insegnargli a nuotare. L’euforia del piccolo però scompare quando, assieme alla madre, giunge in una piscina diversa da quella immaginata.

Essa si presenta infatti sporca e viscida anticipando in questo modo il clima inquietante che da lì a poco colpirà il lettore. Vera infatti lascerà in balia del terrore il figlio nella putrida piscina, sperando così nella sua morte.

In realtà essa non avviene in quanto il piccolo abbandonato dalla madre riesce a salvarsi e a diventare un uomo, anzi si direbbe “l’uomo”, il netturbino dalla duplice personalità, colui che, senza nome, di giorno pulisce di vie della città e di notte si trasforma in Mike, l’assassino metodico.

Ma è realmente la malvagità del netturbino a venire fuori o in lui si nasconde un briciolo di umanità che lo trasformerà in una sorta di angelo custode?

Donato Carrisi: su molestie e violenze, indignarsi non è abbastanza - Life  - D.it Repubblica

Il romanzo di Carrisi fornisce numerose incognite durante la lettura, le cui risposte si presentano nella tensione che arricchisce le pagine scorrevoli e coinvolgenti.

L’autore utilizza infatti la tecnica della focalizzazione interna in terza persona, ovvero descrive i fatti prendendo come punto di vista quello di un determinato personaggio ed è così che nel corso della lettura siamo “un assassino” che si riscopre umano, “una ragazzina” costretta a crescere troppo in fretta, “un’ispettrice” bloccata nel passato, “un bambino” sottomesso dalla violenza.

Il tema della violenza e dei suoi aspetti più occulti vengono trattati da Carrisi il quale abbatte stereotipi e analizza un comportamento umano ahimè comune.

Degna di nota è l’analisi della psicologia umana che rende il romanzo ricco di spunti di riflessione e capace di trasmettere al lettore il brivido della tensione che lo rende così emozionante e avvincente.

Ardissone Maria Bianca, 1B Classico

Ti chiedi se capita solo a te, se sei l’eccezione, o se esistono madri che, come te, piangono durante l’ora della favola.

Amélie Cordonnier

È una donna senza nome, privata di emozioni e della propria dignità da un uomo che le dice di amarla, la protagonista di L’Amore malato (Gremese-Narratori Francesi Contemporanei, 2018), romanzo d’esordio della giornalista francese Amélie Cordonnier, tradotto in italiano da Maria Stella Tataranni.

Una donna che va avanti, giorno dopo giorno, credendo sia un incubo dal quale prima o poi si sveglierà, una madre che vive per i suoi figli, Romane e Vadim, ma che in realtà è consapevole del dolore da loro provato per ciò che vedono e sentono quotidianamente, una moglie molestata psicologicamente e fisicamente di nuovo, dopo sette anni in cui aveva creduto che tutto il marcio vissuto negli anni precedenti fosse svanito.

Aveva vissuto nell’illusione che lui fosse guarito. Lei aveva imparato ad andargli incontro, lui ora faceva la spesa. Lei gli aveva dato un secondo figlio, lui la coccolava. Lei lo faceva sentire importante, lui finalmente non si arrabbiava più.

Semplicemente un’illusione però che spinge la donna senza nome ad annotare gli insulti e le oscenità rivoltale quotidianamente da Aurèlien autoconvincendosi che così facendo avrebbe trovato la forza di lasciarlo definitivamente e che quel giorno sarebbe stato quello del suo quarantesimo compleanno, il 3 gennaio, il giorno in cui sarebbe rinata.

Un modo per trovare la forza, un modo per ripercorrere nella mente i momenti, le gioie, i dolori, le illusioni, i perdoni, le scuse, i “non succederà mai più” e i “non sono riuscito a controllarmi”, ma anche le offese e gli schiaffi.

Il metodo per non dimenticare, per non lasciarsi più abbindolare, che le permette di trovare la forza di scappare via, sperando che la fuga sia quella definitiva, anche se il finale lascia ahimè immaginare tutt’altro.

Una storia come quella di tante raccontata dall’autrice con l’intento di toccare il lettore nel profondo.

E lo fa attraverso una scrittura documentaria, ma allo stesso tempo nervosa, capace di descrivere dettagliatamente le singole emozioni vissute da una donna non rispettata dall’uomo che le aveva giurato amore eterno.

È infatti la descrizione di ciò che la vittima sente dentro, del volerlo giustificare, comprendere, e anche analizzare trasformandosi oggi in una psicologa e domani nel suo sacco da box sul quale lanciare insulti di vario genere, quelli che fanno più male dei pugni e dei calci.

Ad emergere è la cronaca di una vita, non diversa da quella di molte donne che ancora oggi, nonostante la frequenza attiva con cui si parla di violenza sulle donne e delle moltissime associazioni presenti, vivono nell’oppressione e nel terrore, ma anche semplicemente nella convinzione di essere loro quelle sbagliate.

Un romanzo crudo e vero nella sua semplicità, capace di far riflettere, consigliato non solo a chi ha bisogno di capire che ciò che le viene offerto in realtà non può definirsi amore, ma a tutte le donne, anche alle altre, a quelle che giudicano volente o nolente.

Maria Pettinato

È giornalista dal 2002. Dopo aver lavorato per l’emittente Europe 1, nonché per il quotidiano La Tribune e il settimanale Le Journal du Dimanche, dal 2014 è diventata responsabile della rivista Femme Actuelle. L’Amore malato (Trancher, 2018) è il suo primo romanzo, cui è seguito nel 2020 Un loup quelque part, entrambi pubblicati in Francia da Flammarion.

E una settimana è passata calando il mondo della cultura in un’atmosfera nostalgica, per certi aspetti riflessiva perché è proprio questo il momento giusto, quello che fa tirare le somme.

Sono i grandi nomi di coloro che non ci sono più, ma che rimarranno per sempre nella memoria di intere generazioni come il passato ha dimostrato per qualcun altro.

Si studieranno a scuola, si parlerà delle loro imprese, dei loro successi, delle loro opere, di ciò che hanno e che non hanno fatto. Si criticheranno anche, eccome se si criticheranno! Passerà qualche giorno, qualche mese, ma poi in qualche trasmissione televisiva, su qualche canale radio, addirittura su qualche libro il loro nome uscirà di nuovo nel bene e nel male.

Ma è giusto così, questo accade quando si fa tanto per il pubblico, quando si raggiunge l’obiettivo sperato, quando si fa questo lavoro.

Ciò che comunque nella memoria e nella storia culturale rimarrà sarà il loro ricordo…

Saranno Séverine, il professor Bellavista, il commissario Montalbano a rimanere tra noi. Unicamente i loro personaggi, quelli che non moriranno comunque mai, nonostante la loro morte sia avvenuta davvero rendendo così l’Italia un po’ più triste, un po’ più silenziosa anche se solo per qualche momento.

Questo articolo non vuole essere una critica, né un parere, tanto meno un’opinione, ma vuole semplicemente omaggiare Loro, i Grandi della nostra cultura, coloro che al cinema, alla letteratura, al teatro ci hanno creduto fino all’ultimo, coloro che hanno criticato poco, ma fatto tanto.

A Loro, che meritano l’applauso più lungo che c’è, L’Artefatto offre una chiusura di sipario unica e trionfale.

A Loro, Luciano De Crescenzo, Andrea Camilleri, Valentina Cortese, L’Artefatto dice GRAZIE.

Maria Pettinato