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Monthly Archives: Luglio 2020

Con Il colibrì Sandro Veronesi si è aggiudicato quest’anno (meritatamente) il prestigioso Premio Strega, bissando la vittoria già ottenuta nel 2006 con lo struggente Caos calmo.

Protagonista del romanzo è Marco Carrera, il colibrì del titolo, un uomo che da sempre ha impiegato tutte le sue energie per rimanere risolutamente e stoicamente fermo, ancorato a un’immobilità rassicurante mentre il mondo intorno a lui cambiava inesorabilmente, preda di un vortice di dolore e instabilità emotiva.

Eroe della normalità ma anche oggetto di coincidenze fatali apparentemente inspiegabili, Marco si pone al centro di una struttura narrativa caratterizzata da una solida architettura, dalla quale affiorano una serie di personaggi dalla raffinata fisionomia psicologica.

Fondamentale è il complesso rapporto di amore e affezione instaurato con l’universo femminile. Ne sono un esempio la sorella Irene, verso cui prova affetto ma anche una consapevole amarezza per non averla mai conosciuta
veramente, la moglie Marina, amata in un primo momento e poi odiata e Luisa, che incarna l’ideale perfetto, la donna di una vita, con la quale si lega in un rapporto platonico fatto di perpetui allontanamenti e riavvicinamenti.

L’unico amore vero e puro, stabile e perdurante, è quello per la figlia Adele, un legame che persiste e si rafforza negli anni andando ben oltre la dimensione padre-figlia.

Lo stile della narrazione è fluido e scorrevole, copre un arco temporale che va dai primi anni Settanta ad un ipotetico futuro prossimo ed è ravvivato dai continui salti temporali che caratterizzano i capitoli, che si succedono tra le lettere d’amore scambiate con Luisa, gli elenchi degli oggetti della casa genitoriale redatti per il fratello Giacomo, le telefonate scambiate con lo psicanalista della moglie.

Resilienza è il carattere che contraddistingue sopra tutti la vita del dottor Marco Carrera e il suo atteggiamento verso i dolori e le perdite della vita (particolarmente toccante è la descrizione della malattia e dipartita dei genitori, che assiste con la professionalità di un medico quale è e con sincera devozione filiale).

È un uomo che resiste, non si piega alle sventure seminate dal destino lungo il proprio cammino, impegnato nel suo sforzo d’immobilità esattamente come il colibrì.

(…) tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro.

L’unica parte del romanzo che ha suscitato in me qualche perplessità e delusione è l’epilogo, ambientato in un futuro prossimo, dal quale si erge la figura dell’uomo nuovo, incarnata da Miraijin, nipote di Marco e frutto della sua resilienza.

Al di là del valore simbolico di questo finale, (l’autore vuole sottolineare come la vita del protagonista avesse come scopo precipuo allevare questo individuo fuori dal comune), la narrazione qui cede il posto ad un’improvvisa lentezza, dando anche modo di far trovare spazio anche ad una tematica importante come l’eutanasia.

Si tratta di un libro nel suo complesso bello, importante, denso di significato e di vita soprattutto, in grado d’inoltrarci nelle pieghe più nascoste e inavvicinabili di un animo umano, comune ma straordinario proprio per questo.

Francesca Mazzino

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