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Falling Star - Daria D. - Libro - Brè - | IBS

I tempi cambiano, i miti crollano.

Hollywood è considerata di certo la città dei sogni e dei successi. Il luogo in cui tutto è possibile, la casa di dive e divi di talento, irraggiungibili e fortunati.

Ma è realmente così?

Dalla lettura di Falling Star. Fotogrammi cinici di Hollywood e altre follie (Brè Edizioni, 2021), pungente romanzo della scrittrice Daria D., pseudonimo di Daria Morelli, sembrerebbe di no. Ad emergere è infatti un mondo diverso da come ce lo immaginiamo quando pensiamo alla patria del cinema.

Billy Wilder ci aveva parlato di un mondo diverso da quello tanto decantato già un bel po’ di anni fa nel capolavoro cinematografico Viale del tramonto, quando l’avvento di una Hollywood nuova e per certi aspetti spogliata della magia delle origini si stava facendo strada intaccando la personalità di attori e attrici che avevano creduto in qualcosa che andava ben oltre il puro e semplice apparire: il talento.

Ora, con un linguaggio differente, ma con un simile messaggio nascosto tra le righe, assistiamo ad una descrizione che va ben oltre l’apparenza.

Protagoniste non sono infatti le tanto decantate stelle di Los Angeles, belle, impenetrabili e per questo dotate di fascino, ma sono figure amareggiate, disperate si direbbe, private del loro successo a causa dei vizi che la fama incontrollabile comporta o della volontà di non cedere alle richieste del grande pubblico.

O sono semplicemente scrittori, registi, attori che vogliono continuare a credere nelle proprie capacità, e soprattutto nei loro sogni e che per questo cadono nell’oblio del tormento interiore.

Personaggi inseriti in brevi racconti, per l’appunto fotogrammi, da Daria che, mediante un linguaggio capace di comunicare tanto proprio perché ricco di semplicità ed ironia, presenta una Hollywood più vera e meno cinematografica, un luogo peraltro ben conosciuto dall’autrice che ha vissuto nella “città degli angeli” per ben dodici anni.

Divertente e amaro quanto basta, Falling Star è quindi la descrizione di ciò che si nasconde dietro alla facciata.

L’immagine della perversione, delle sconfitte, della determinazione, del voler raggiungere il successo nonostante tutto e tutti, ma soprattutto di se stessi, dei valori e dei principi che un tempo, da bambini magari, erano alla base del sogno.

Ecco che quindi Hollywood si presenta per ciò che realmente è: il luogo delle deluse aspettative e delle contraddizioni, il mondo in cui prima o poi la maschera cala e viene fuori ciò che si è veramente.

Maria Pettinato

Il giallista: News: DENTE D'ORO di Daria D. - Bré Edizioni

Daria D., pseudonimo di Daria Morelli, è scrittrice, attrice, modella, regista, sceneggiatrice. Veneta di nascita, laureata al Dams di Bologna si stabilisce a Roma per intraprendere la carriera di attrice. Durante la sua permanenza a Los Angeles è assistant manager alla libreria Rizzoli di Beverly Hills e chauffeur di limousine, esperienze lavorative che la spingeranno a pubblicare nel 2020 la sua antologia di memorie Diario di una chauffeur e altre storie americane per Brè Edizioni. Casa editrice per la quale pubblica nel 2019 il romanzo noir Dente d’oro e nel 2021, oltre a Falling Star, Torneremo ad abbracciarci assieme ad altri autori sul tema della pandemia. Tra le altre mille esperienze come attrice e articolista ha posato come modella per due importanti libri fotografici del regista e sceneggiatore Gian Pietro Calasso: Narcissu’s Eros- L’Eros di Narciso, edito da Mondadori Electa nel 2002, e Los Angeles Now-here Nowhere con prefazione di Ennio Morricone, edito da De Luca Editori d’arte nel 2009.

Il treno dei bambini (Einaudi editore, 2019), romanzo di Viola Ardone, ruota attorno a una vicenda storica poco nota del nostro più recente passato: l’invio di migliaia di giovanissime vite al Nord e al Centro Italia, su iniziativa del Partito Comunista italiano, per strapparle alla fame e alla miseria maturate in conseguenza all’ultimo conflitto mondiale.

Protagonista della storia è Amerigo, un bambino napoletano sveglio e vivace, figlio di una ragazza madre, Antonietta, che gli racconta sempre di quel padre non conosciuto partito per l’America in cerca di fortuna e che chissà quando tornerà per strappare entrambi dalla miseria.

La miseria di una quotidianità fatta di bassi chiassosi, sfogliatelle calde divise a metà con l’amico del cuore Tommasino, tra una scorribanda e l’altra, ed il sugo “alla genovese” dei giorni di festa.

Lungo quei binari si compie il destino del bambino, che sale sul treno diretto al Nord, inconsapevole che quel viaggio cambierà per sempre il corso della sua esistenza.

A Modena viene accolto da Derna e dalla sua famiglia, proprio lui che una famiglia vera non l’aveva mai conosciuta. Per la prima volta non deve più “faticare”, ma soltanto andare a scuola e giocare.

Ora può vivere con la spensieratezza che appartiene all’infanzia, lontano dai doveri oppressivi di una realtà in cui si cresce troppo in fretta e dove non si è abbastanza piccoli per non lavorare.

Attraverso una scrittura originale che filtra la realtà attraverso il punto di vista del bambino su cose e persone, l’autrice si lascia andare ad una scrittura ingenuamente pura, innocente e semplice ma intrisa di emozione e di sentimento.

Grazie ad essa abbiamo modo di assistere al percorso interiore di Amerigo, a quei dissidi dell’anima che lo rendono combattuto tra la vita che si sta lasciando alle spalle e quella nuova che il destino gli offre di trasformare in qualcosa più di una semplice possibilità.

A tutti gli effetti quello della Ardone può legittimamente rientrare nel filone del romanzo di formazione: ripercorre infatti l’infanzia e poi la maturità del protagonista, sempre in viaggio sui binari che la vita gli offrirà di percorre durante la sua ineluttabile corsa.

Segue la sua dimensione emotiva, giustifica e legittima il maturare di certe scelte.

Solo lui potrà decidere quali treni aspettare e su quali binari, divenendo in questo modo l’uomo che sarà, mai immemore delle proprie radici e di quel cappotto lanciato dal finestrino verso la madre nell’inverno del 1946.

Quel bambino senza cappotto con le scarpe troppo piccole lo porterà per sempre con sé, nell’intimità più profonda del suo Io.

Francesca Mazzino

Viola Ardone (Napoli 1974) è laureata in Lettere e ha lavorato per alcuni anni nell’editoria. Autrice di varie pubblicazioni, insegna latino e italiano nei licei. Fra i suoi romanzi, oltre a Il treno dei bambini, ricordiamo: La ricetta del cuore in subbuglio (2013) e Una rivoluzione sentimentale (2016) entrambi editi da Salani.

Vitale, estrosa, alternativa. Qualità decisamente associabili a una delle icone artistiche più importanti a livello mondiale, Frida Kahlo.

Tutte vere certo, ma c’è solo questo? In realtà no e questo emerge dalla lettura de Il diario perduto di Frida Kahlo, romanzo d’esordio della scrittrice e psicologa messicana Alexandra Scheiman edito da Bur Rizzoli Narrativa.

Il diario racconta la storia della pittrice messicana nella sua essenza e si direbbe nella sua tristezza, dall’infanzia con tanto di diagnosi di poliomielite, al drammatico incidente all’età di diciotto anni, dall’amore passionale con Diego Rivera, al suo intenso legame con l’arte.

Ne viene fuori una prospettiva diversa sotto tanti aspetti, potrebbe dirsi nuova.

La protagonista della biografia infatti non è “Frida la pittrice”, vero mito artistico, ma è una donna debole nella sua forza. Un personaggio differente, decisamente reale, con le sue sofferenze e la sua determinazione.

Una descrizione mai banale non solo per l’oggettiva drammaticità degli eventi, si direbbe mai noiosi, che hanno accompagnato la vita della Kahlo, ma anche perché a renderla unica è la tematica mistica che la caratterizza.

Visioni, sensazioni, energie diverse prendono forma all’interno del testo. Si materializzano nell’immagine di un Messaggero dal cavallo bianco, portavoce della Morte, o in quella della donna-velata, più volte presente nella vita della pittrice.

Momenti dai quali emerge una Frida contemplativa, spirituale, legati a un contesto più ampio, qual è il legame secolare Morte-Messico.

Ed ecco che Frida, pur presentandosi spesso accompagnata da figure importanti da un punto di vista politico oltre che artistico, dimostra ne Il diario perduto di essere prima del personaggio, dell’icona, del mito irraggiungibile, semplicemente una donna che Ama.

Non è più dunque estrosità l’aggettivo primario, ma Sacrificio è il termine che più le si addice. Metaforicamente esso è legato al patto che Frida stipula con la Morte, quello di sopportare il dolore in cambio della felicità dei suoi cari o di un istante in più di vita terrena.

E poi viene l’arte, intesa come la liberazione, la gioia colorata nella sua vita grigia.

L’arte che è capace di esprimere con le sue tonalità i colori dei frutti, il profumo del cibo, il sapore delle sue ricette culinarie, protagoniste indiscusse alla fine di ogni capitolo del diario. Ma allo stesso tempo il tentativo di manifestare ciò che lei, diva incontestata, sentiva dentro.

Maria Pettinato

Mors tua vita mea!

Bologna oggi. Dante ed Elena sono una coppia di giovani innamorati nel pieno della loro infelicità sociale. Svolgono una vita come tante altre, alienata e integrata nel sistema malsano in cui si trovano.

Lui vive alla giornata, per lo più fatto ed ubriaco, in attesa dell’ispirazione per scrivere il suo romanzo, lei lavora tutto il giorno come dama di compagnia presso la signora Scalpini, un’anziana arrogante e molto ricca.

E fino a qui Dante e la tartaruga, romanzo d’esordio di Vincenzo Spinelli, edito da Il Seme Bianco (2019), presenta una trama apparentemente “normale”, caratterizzata da personaggi mediocri, come tanti altri, immersi nelle proprie vite senza un futuro florido.

Ma le cose cominciano a cambiare forma quando viene fuori da parte dei due una sorta di insolubrità, una malvagità latente che prende piede quando decidono di comune accordo di compiere un omicidio avvelenando la signora Scalpini e di fuggire con l’eredità di quest’ultima.

Ad emergere è la psicologia dei protagonisti di questa storia più che la trama in sé. È la capacità perversa di studiare nel dettaglio il disegno che li porterà al raggiungimento (facile) dei propri obiettivi: rilevare la libreria Shakespeare and Company di Parigi e vivere nella tranquillità di coppia.

E soprattutto, in questo senso, a venir fuori con maggiore forza è il mutamento psicologico di Elena la quale, se inizialmente sembrava una figura succube del compagno, e a dir poco sfruttata da lui, nel corso del romanzo si trasforma a mio parere nella più malvagia.

Malvagità presente nel tentativo di persuadere il notaio o anche semplicemente nel lasciare sperare con grinta e consapevolezza che l’assassinio si compierà nonostante le cose sembrano a un certo punto avere poca speranza.

E se lei può definirsi l’artefice fisica dell’omicidio, vedi per il dialogo con il notaio, vedi per l’avvelenamento stesso, Dante altro non è che il mandante razionale dell’intero piano, è colui che lo studia e che incarica terzi.

Un modo per venirne fuori con maggiore facilità nel caso in cui le cose si sarebbero messe male? O semplicemente perché è lui in realtà il vero assassino in qualità di regista?

Non è facile rispondere a questi interrogativi, ma emerge comunque la sua prontezza intellettuale, anche solo nei dialoghi che lui svolge quotidianamente con figure importanti a livello storico, ad esempio Socrate o Giulio Cesare per citarne alcuni.

Personalità che lo spingono a studiare il piano accompagnandolo intellettualmente nella progettualità dello stesso.

Dante e la tartaruga può definirsi dunque un thriller psicologico caratterizzato da una struttura surreale, in cui realtà e finzione vanno di pari passo, in cui il sogno e la ragione diventano una cosa sola.

Ed ecco che leggendolo tornano alla mente i romanzi surrealisti di Antonin Artuad o le pellicole cinematografiche di Robert Wiene, in cui spiccava la stessa semplicità di comunicare e progettare situazioni che in realtà con la semplicità hanno ben poco in comune.

Emerge senza dubbio una cura discorsiva nelle parti in terza persona presenti all’interno del romanzo, ma allo stesso tempo una bonarietà onirica e visionaria che lo rende discorsivo e appagante.

Discorso simile anche per le parti scritte in prima persona da Dante in cui viene fuori un’asprità di fondo, la quale potrebbe essere interpretata come rabbia repressa da parte di un individuo infelice della propria esistenza e colpito da tale sentimento fin da bambino per l’incapacità personale e/o causata da altri soggetti, di trasformare il sogno nella realtà.

Un romanzo da leggere, coinvolgente quanto basta, anche quando la malvagità vince sulla volontà di raggiungere i progetti tanto ambiti da Dante, la pubblicazione del romanzo e l’apertura della libreria.

O forse no? A voi l’interpretazione!

Maria Pettinato

Vincenzo Spinelli nasce a Como nel 1985, corriere di giorno e scrittore di notte, amante della letteratura surrealista, satirica, dell’assurdo, nel 2016, al Salone Internazionale del libro di Torino, nell’ambito del concorso 88.88 indetto dall’associazione culturale YOWRAS, riceva una menzione per il racconto In bilico vacillo su un mio capello perso sul cuscino. Da lì ha iniziato a scrivere.

Ho provato a guardarmi indietro

A esaltare il mio collo eretto,

le spalle da me stessa protette,

ho lodato l’oro dei miei pensieri

ma ho finito per fonderlo

con una orgiastica melodia […]

da Tutti maledetti
(Il tormento dei sibili)

Il tormento dei sibili (ebook, dicembre 2019) è una raccolta di trentacinque poesie scritte da Desirée Formica, giovane attrice e scrittrice siciliana, nonché collaboratrice de L’Artefatto.

Un titolo forte e affascinante che richiama alla mente qualcosa di incessantemente e prepotentemente presente nell’anima di tutti noi, il tormento, capace di distorcerci dalla serenità e da un apparente stato di calma interiore.

Una donna angosciata, trascinata da emozioni contrastanti che non fanno altro che manifestarsi nella richiesta d’aiuto aggrappandosi a ciò che la Formica definisce la “coperta divina”, è la protagonista del testo.

Tanto che, e non a caso, il tormento dei sibili era un metodo di tortura adottato tra il XV e il XVIII secolo che consisteva nel tenere delle cannucce tra le mani giunte in segno di preghiera.

Analogie non da poco che rimandano all’atto della preghiera, alla fede, all’uomo che spesso dimentica la propria appartenenza, le proprie origini, tranne che nel momento della disperazione, o semplicemente del bisogno.

Ma l’uomo è realmente un essere perfetto? Può definirsi davvero una creazione divina eccezionale? E se così fosse perché, da essere amorevole e speciale per natura, si trasforma in una figura a dir poco oppressa?

Ed ecco che entrano in scena, anche se tra le righe, teorie antiche, mitologiche direi, in cui gli dèi si facevano beffa degli uomini, creando per loro un destino movimentato, disperato, fatto appunto di tormento e di angoscia, divertendosi alle sue spalle.

E quando questo accadeva, ecco che l’uomo, che da creazione dipendeva dall’alto, si trasformava in devoto e passivamente servo del gioco degli dèi i quali, una volta stanchi, fornivano la “coperta divina” al proprio figlio.

Sentimenti perciò privi di intelletto poiché appartenenti a due facce della stessa medaglia, ma anche dotati di vitalità sono ciò che rendono vivo l’uomo, il suo status, ed è quando queste emozioni cessano di esistere che la vita diventa piatta e monotona.

Semplicemente vuota, bianca come un foglio che vuole essere riempito di inchiostro, così vacante da essere infernale, e così voglioso di raggiungere il paradiso che si sta lì ad attenderlo inermi.

Ed è subito tormento, ed è subito lotta interiore tra istinto e ragione, tra passione e pensiero. Una battaglia che unisce tutti noi, ma che ci separa dentro, spesso di notte, quando il buio riecheggia i ricordi, i momenti trascorsi, un passato che mai potrà tornare, ma che fa parte di noi.

La notte, che cancella il trucco, la maschera giornaliera e lucente, per riportare alla mente ciò che non esiste in realtà perché è l’altro che lo vuole, e che proprio per questo ti fa sentire in difetto, diverso, e perciò angoscioso e paranoico.

Attraverso una raccolta di poesie attuale, ma allo stesso tempo capace di riportare a galla tempi passati associando la figura umana a quella divina, la Formica riesce, con una scrittura intensa, scrollante, caparbia, a manifestare una realtà quotidiana.

Righe vere infatti, emozionanti, risonanti fanno riflettere su quanto piccoli in realtà siamo e su quanto pensieri e situazioni siano capaci di cambiare la nostra interiorità trasformandoci in altro, plasmando la nostra personalità e il nostro essere.

Ma è davvero segnato il nostro destino? O siamo noi a crearlo e a decidere di non modificarlo perché in fondo a noi, la vita vuota e bianca, magari piace?

Chiudo così questo articolo invitando i nostri lettori a leggere trentacinque poesie ammalianti perché capaci di porre interrogativi, ma anche di fornire risposte importanti.

Maria Pettinato