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Archivio tag: LO SPAZIO VUOTO

Ha ragione papà, questa è una dannata invenzione senza futuro

Attraverso uno spettacolo imperniato di comicità, sentimento e romanticismo, la Compagnia dei Demoni offre allo spettatore una vera e propria “carrellata cinematografica” accompagnando la trama a citazioni, musiche, scene di film che hanno fatto il cinema.

È la storia dei fratelli Auguste e Louis Lumière ad emergere a Lo Spazio Vuoto (Imperia) i quali, nonostante i giudizi e le delusioni iniziali e mediante l’appoggio di una madre non più in vita, ma comunque presente, hanno creato quella che era stata definita erroneamente dal padre Antoine Lumière “un’invenzione senza futuro”: il cinematografo.

Il sogno rivoluzionario di “catturare la vita” arriva allo spettatore per mezzo di una combinazione di stili cinematografici diversi tra loro, ma tutti uniti dalla volontà di trasmettere qualcosa a chi si trova al di là dello schermo.

Questo traspare nella musica coinvolgente e direi riflessiva di Giorgio Mirto e nell’unicità attoriale di Marco Taddei, Celeste Gugliandolo e Mauro Parrinello nell’interpretare impeccabilmente Auguste, Louis e Marie/madre utilizzando una tecnica recitativa corporea che riporta alla mente il cinema muto e tutto ciò che ad esso è associato: lo “scatto”, la sintesi, la velocità del movimento e quindi della pellicola.

L’evoluzione cinematografica si trasforma perciò in protagonista e ciò è evidente, oltre che nel richiamo ai film contemporanei e successivi ai Lumière e alla scoperta del montaggio, del sonoro e del colore, in un finale “dei giorni nostri” davanti ad uno schermo e con in mano un telefono cellulare.

Cambiamenti ed evoluzioni sono quindi alla base di questo spettacolo che si è dimostrato dinamico, movimentato, ma allo stesso tempo malinconico e un po’ drammatico forse proprio come il cinema che è di per sé metafora di vitalità, ma allo stesso tempo di nostalgia vista la sua capacità di intrappolare immagini e sensazioni, come fossero un ricordo di qualcosa che mai più si ripresenterà.

Maria Pettinato

L’INVENZIONE SENZA FUTURO

  • Con Marco Taddei, Mauro Parrinello, Celeste Gugliandolo
  • Ideato da: Francesca Montanino, F.Giani, M.Parrinello, C.Gugliandolo
  • Scene di: Maria Mineo e Valentina Santi
  • Aiuto regia: Federica Alloro
  • Musiche originali di: Giorgio Mirto

Cari Artefattini, oggi voglio parlarvi di uno spettacolo andato in scena il 22 febbraio nell’accogliente cornice de Lo Spazio Vuoto di Imperia: Le Difettose, monologo tratto dall’omonimo romanzo di Eleonora Mazzoni, diretto da Serena Sinigaglia e interpretato direi egregiamente dalla bravissima Emanuela Grimalda, per la prima volta in un teatro imperiese.

Lo spettatore è accolto da una scenografia per lo più assente, semplicemente neutra, nera, se non per una sedia posta al centro della scena e un’oggettistica composta da un cappello, un paio di occhiali, una borsa, due ferri per lavorare a maglia e un libro dal quale emerge la filosofia di Seneca, fondamentale nello svolgimento della trama. Tutto è perciò essenziale, forse anche un po’ drammatico perché è da questa basilarità che emerge Carla, ricercatrice universitaria appena quarantenne, e il suo desiderio, o meglio la sua ossessione, di diventare madre.

Un tormento interiore legato al suo percorso di fecondazione assistita avviato per ben sei volte e dal rapporto con gli altri personaggi, presenti chi per un motivo, chi per un altro nella vita di Carla, e tutti dotati di accenti e caratteristiche diverse: un‘infermiera siciliana scocciata; una nonna materna, dolce e leggera, interpretata con accento emiliano; un compagno romano, Marco, stanco di vedere Carla depressa ed esasperata e per questo intenzionato a lasciarla; la dottoressa Tini, priva di sensibilità e fredda nei confronti delle problematiche emotive che emergono nelle donne alla ricerca di un figlio che non arriva; l’amica toscana Katia, felice a Bruxelles perché riuscita a ottenere il risultato sperato con la fecondazione assieme alla sua fidanzata; il “maestro brasiliano” Thiago che con metodi purificanti dice di poter risolvere la sterilità della protagonista, e infine la mamma emiliana in perenne sfida con la figlia alla quale non ha mai detto “ti voglio bene” e che lo fa ora, forse perché i rimpianti cominciano a farsi sentire, forse perché il tempo aiuta a crescere, chi lo sa, ma comunque importante perché sono proprio quelle tre semplici parole a salvare Carla dallo sconforto e a darle la grinta per rinascere.

Alternanze frequenti e repentine dei personaggi, tutti associabili alla Grimalda, vengono perciò gestite al meglio da una regia, come quella della Sinigaglia, che è capace di evocare, di far riflettere, di lasciare qualcosa, e da una capacità attoriale ironica, vivace, divertente, ma allo stesso tempo tragica perché abile nel presentare temi forti come l’incapacità di procreare, che crea nella donna sentimenti di disprezzo e di giudizio nei propri confronti, e l’annullamento di se stesse per qualcuno che in realtà non esiste se non nella speranza e nell’immaginazione. Perché è proprio questa “inadeguatezza” che La fa sentire diversa, e quindi inesistente, appunto “difettosa”.

Eccezionale può definirsi la destrezza nel trasformare un romanzo attuale e importante come quello della Mazzoni in una pièce teatrale piacevole e coinvolgente.

Concludo complimentandomi con Lo Spazio Vuoto, luogo accogliente e “teatrale” nel vero senso del termine vista la sua capacità di creare un rapporto unico tra attore e spettatore.

Maria Pettinato