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Archivio tag: CANZONE ITALIANA

Ho sempre pensato che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarselo. Il che è esattamente
quello che ha fatto l’uomo da quando ha messo piede sulla terra

Fabrizio De Andrè
La guerra di Piero | Fabrizio De André e il suo antimilitarismo

La sua è una canzone d’autore incentrata su melodie da ballata ed è fatta di testi anticonvenzionali. Ricca di messaggi capaci di colpire nel segno come l’arroganza del potere, il sesso e la povertà. Fan di Bob Dylan, non credente, anche se nella sua musica sono spesso presenti riferimenti a Maria e Gesù.

Pochi ma chiari gli indizi che ci portano a comprendere all’istante che il protagonista di questo articolo è Fabrizio De André, il Cantautore per antonomasia.

“Il cantautore degli emarginati” come dimostrano i suoi brani che, ancora oggi, vengono cantati e soprattutto studiati come veri e propri testi di letteratura. Uno tra tutti La guerra di Piero (1960).

Un racconto dolce, e allo stesso tempo triste, sulla contraddittorietà e stupidità della guerra. Una guerra vissuta davvero e raccontata in prima persona da parte di un semplice e giovane – come tanti altri – soldato, Piero.

Giovani spaventati, compagni, fratelli e nemici per volontà di qualcun altro. Piero è uno di loro, lui lotta per la pace, per la serenità, non vuole uccidere nessuno, ma è proprio questa volontà che gli causa la morte.

Il significato della sua uccisione nel mese di maggio esprime a fondo un concetto: la crudeltà della guerra colpisce anche nei momenti di maggiore felicità, appunto la primavera, il momento in cui tutto è vivo, in cui tutto fiorisce.

Una canzone forte, vera, in cui vengono fuori la stupidità e le crudeltà della guerra. Questo brano, profondo e toccante nelle sue parole e caratterizzato da un ritmo seducente ottenuto solo dalla voce del cantante genovese e dall’accompagnamento della chitarra, sprigiona difatti una forte morale di pace e di ripudio il potere e la malvagità umana.

L'origine del soprannome Faber di Fabrizio De Andrè | superEva

Fabrizio De André

Fabrizio Cristiano De Andrè è un cantautore italiano meglio noto come Fabrizio De Andrè o Faber. Nasce il 18 febbraio 1940 a Genova. I genitori, di origine piemontese, si trasferiscono in Liguria dopo la nascita del loro primo figlio Mauro. 

Nel 1947 inizia le elementari e impara a suonare il violino. Quando frequenta le medie viene bocciato e spedito in collegio.  Nel 1954 prende lezioni di chitarra e un anno dopo fa la sua prima esibizione in pubblico ad uno spettacolo di beneficenza organizzato al Teatro Carlo Felice di Genova. Dopo il liceo si iscrive all’Università di Giurisprudenza che interromperà a sei esami dalla fine. Nel 1962 sposa Enrica Rignon e dal loro matrimonio nasce il figlio Cristiano.

Nel 1966 esce il suo primo disco, Tutto Fabrizio De Andrè, ma ottiene maggiore successo quando Mina incide La canzone di  Marinella e inizia a frequentare personaggi famosi come Luigi Tenco, Paolo Villaggio… Dal 1975 accetta di esibirsi in tour. Nel 1988 sposa Dori Ghezzi, con la quale mette al mondo Luvi, la seconda figlia. Lui e la donna vengono rapiti dalla mafia sarda per quattro mesi. 

Il suo album Creuza De Ma, uscito nel 1984, è nominato album del decennio. Pubblica Le Nuvole nel 1990 e va in tour e dopo aver fatto uscire l’album live, smette di suonare  per quattro anni ma nel 1996 torna con il disco: Anime Salve.

L’11 gennaio 1999 muore a Milano a causa di un male incurabile e al suo funerale, svolto due giorni dopo, sono presenti più di 10 000 persone.

Pozzo Beatrice, Barbagallo Filippo, Zucchini Filiberto, 1 A Classico

Se telefonando playlist

“Lo stupore della notte spalancata sul mar

Ci sorprese che eravamo sconosciuti io e te

Se telefonando è uno dei più famosi brani di Mina, considerata una delle cantanti migliori nella storia della musica italiana, nota specialmente per la sua voce particolare e riconoscibile, con la quale ha fatto innamorare dall’inizio della sua carriera negli anni Cinquanta, milioni di persone.

Il testo di questo brano, uscito nel maggio del 1966, è stato scritto da Maurizio Costanzo e Ghigo de Chiara, mentre per l’arrangiamento e la musica si occupò il grande Ennio Morricone, ispirandosi «al suono delle sirene della polizia» come dichiarò all’uscita del brano.

Poi nel buio le tue mani d’improvviso sulle mie

È cresciuto troppo in fretta questo nostro amor

Il significato della canzone è facilmente riconoscibile e individuabile all’interno del testo; esso è concentrato su un contrasto di emozioni totalmente differenti e dall’inizio capiamo che i protagonisti di questa splendida canzone sono due giovani.

Questi si ritrovano in una meravigliosa spiaggia sotto la luce della luna probabilmente di una serata estiva.

Se telefonando (lyrics) - YouTube

I due non si conoscono bene, ma per un motivo inspiegabile razionalmente, sentono l’uno per l’altra una passione e un’intesa incontrollabili. In breve infatti vengono travolti dall’amore.

Se telefonando io potessi dirti addio

Ti chiamerei

Se io rivedendoti fossi certa che non soffri

Ti rivedrei

Se guardandoti negli occhi sapessi dirti basta

Ti guarderei

Per la donna quella che apparentemente può sembrare una storia occasionale prende la forma di un vero e proprio amore, ma di fronte ad esso lei non sa come reagire, perché quelle emozioni così forti e prorompenti non le conosce, non le ha mai provate.

Sentimenti sconosciuti si trasformano perciò in paura e questa conseguentemente spinge la giovane donna a chiudere un rapporto in realtà nemmeno iniziato.

Ed ecco che “Se telefonando io potessi dirti addio, ti chiamerei” è la frase che spiega precisamente la sua intenzione e che precede una serie di altre frasi con le quali l’ascoltatore intuisce il suo stato d’animo, cioè la paura di soffrire.

Ma non so spiegarti che il nostro amore appena nato

È già finito

Un brano commovente per svariati motivi: la sua melodia, il suo testo, la magnifica voce di Mina travolgono emotivamente l’ascoltatore.

Se telefonando fa capire di fatto quanto le prime esperienze insegnino, e facciano scoprire la propria persona, la propria interiorità, quindi ciò che realmente si ha dentro.

Bravo Lupita, 1 A Classico

Sanremo si è concluso da ormai tre giorni, ma nonostante ciò si continua a parlare di questo evento come se fosse ancora presente e com’è giusto che sia.

Alcuni, riferendosi all’evento dell’anno, parlano di fenomeno trash, altri del ritorno del festival di “noi altri”, quello che non si vedeva più da tempo, altri ancora ne hanno un ricordo negativo soprattutto per ciò che riguarda i vincitori, da Diodato a Leo Gassman per la Categoria Giovani.

Tutti quindi, chi in un modo, chi in un altro, ne parlano e questo, che lo si voglia o no, significa che Sanremo anche quest’anno ce l’ha fatta!

Con questo articolo ho deciso di non parlarvi di ciò che è andato o non andato dal punto di vista critico-giornalistico. Voglio parlarvi di chi a mio avviso ha vinto! E voglio farlo da telespettatrice indicandovene quattro di vincitori…

Sul podio ovviamente la coppia Amadeus-Fiorello, o semplicemente due amici che trentacinque anni fa si immaginavano un giorno i conduttori del Festival della canzone italiana. Grazie a loro ha vinto il “rapporto” in tutta la sua essenza, spontaneo, divertente. Finalmente una lodevole amicizia in scena come ha dimostrato l’occhio lucido che spesso ha colpito Fiorello ammirando l’amico fraterno e viceversa.

E poi c’è Rita Pavone, vincitrice non solo per un brano eccezionale a livello musicale e testuale, ma anche e soprattutto perché è venuto fuori dalla sua grinta e dalla sua vitalità il carattere della cantante dal punto di vista artistico. Non è il Ballo del mattone il protagonista, ma questa volta è Rita Pavone con Resilienza 74, una canzone che dice tanto, che vuole comunicare il talento eccezionale di un’Artista con la A maiuscola, scritto peraltro da suo figlio Giorgio Merk. E allora una domanda sorge spontanea… ma non è che ha fatto un po’ paura questo brano? Un conto è infatti il Ballo del mattone, un conto è una cantante settantenne che le giovani cantanti di questo festival, le ha schiacciate sotto ogni aspetto artistico.

Ma il vincitore indiscusso di questo festival è Piero Pelù, non solo per ciò che lui rappresenta da sempre, il cantante rock della nostra Italia, ma soprattutto per una canzone-poesia, Gigante. Il testo parla infatti di bambini, i suoi bambini nipoti, i bambini conosciuti nei carceri minorili e i milioni di bambini uccisi durante l’Olocausto. Bambini giganti, che si affacciano alla vita muovendo i primi passi, ma anche bambini che rinascono, chi perché vuole cambiare ribellandosi alla vita offerta magari dalla propria famiglia, chi perché vive nella nostra memoria storica.

Artisti degni di rimanere impressi nella mente perché hanno vinto per qualità, spontaneità e talento. Aspetti trionfanti nel millennio della “bruttezza ammirevole”.

Maria Pettinato

Il Festival sta per concludersi lasciando di sé il ricordo di una settimana davvero eccezionale dal punto di vista della conduzione, dell’organizzazione, ma anche delle esibizioni come si è potuto constatare prevalentemente dalla terza serata del concorso.

Una puntata all’insegna delle cover e dei duetti in cui sono emersi brani che hanno fatto la nostra storia musicale coinvolgendo così non solo il pubblico del Teatro Ariston, ma anche gli spettatori a casa.

Premiati Tosca, i Pinguini Tattici Nucleari e Piero Pelù i quali hanno spiccato maggiormente sull’Orchestra votante e direi una scelta azzeccata visto il coinvolgimento di pubblico.

A emergere dal mio punto di vista nella serata di coppia musicale sono stati decisamente Marco Masini-Arisa con Vacanze Romane, Levante-Francesca Michielin-Maria Antonietta con Si può dare di più, Enrico Nigiotti-Simone Cristicchi con Ti regalerò una cosa ed Elodie-Aeham Ahmad con Adesso tu, dimostrando quest’ultima il grande carisma che sta manifestando dal primo giorno.

Una terza serata in cui la musica italiana si è unita alla presenza di un altro nostro orgoglio nazionale, Roberto Benigni, portatore di allegria e di quella sana saggezza che può fare solo bene al nostro paese.

Un’Italia tanto stimata come si è potuto notare dai continui elogi della conduttrice albanese Alketa Vejsiu (forse un po’ troppo marcati?) e dalla presenza di Georgina Rodriguez, moglie di Cristiano Ronaldo, troppo serio a detta di Fiorello ieri sera.

Il comico siciliano che per nostra gioia ieri sera era di nuovo in prima fila con i suoi travestimenti e la sua allegria. Una spensieratezza ancora protagonista durante la quarta serata, la serata di Francesca Sofia Novello e di Antonella Clerici, la cui conduzione è spiccata sulle altre probabilmente per le esperienze precedenti a Sanremo o forse per l’ottimo rapporto con l’amico-collega Amadeus.

Una quarta puntata in cui è stato incoronato vincitore delle Nuove Proposte Sanremo 2020 Leo Gassman con il brano Vai bene così. Una vittoria abbastanza contestata da un pubblico prevalentemente orientato verso la finalista Tecla, il quale ha giudicato il risultato finale vedendovi come requisito non la bravura, ma l’appartenenza alla famiglia Gassman.

Una puntata in cui finalmente è arrivato il colpo di scena, come è giusto che sia a Sanremo: l’abbandono del palco da parte di Bugo causato sembrerebbe da una lite tra lui e Morgan sfociata nella modifica del testo da parte di quest’ultimo, le cui parole sono un visibile segno di disprezzo nei confronti del collega.

Il tutto lasciando Amadeus nel totale imbarazzo, una situazione salvata dalla comicità di Fiorello. Un momento inaspettato che rimarrà sicuramente nella storia di Sanremo e che, conoscendo Morgan, è il risultato di una delle sue tante provocazioni mediatiche.

Da aspettarsene ancora tante stasera come detto da Fiorello! Perché il 70° Festival della canzone italiana non è ancora finito.

Maria Pettinato

Una serata all’insegna dei rapporti personali quella di ieri sera al 70° Festival della canzone italiana.

Caratteristica sulla quale, tra l’altro, si basa l’intero festival come ha specificato Amadeus annunciando sul palco Paolo Palumbo, ventiduenne malato di Sla che con la canzone Io sto con Paolo ha provocato in noi una riflessione molto forte su ciò che è in realtà la vita, e che ahimè spesso noi non vediamo, un viaggio ricco di doni e possibilità.

Attraverso la sua esibizione Paolo ci ha mostrato uno dei tanti rapporti trapelati dalla seconda serata a Sanremo, quello tra lui e suo fratello, il quale per amore ha scelto di abbandonare tutto e stargli accanto.

E accanto alle relazioni familiari, i rapporti di amicizia si sono rivelati i protagonisti, da quello tra i due conduttori Fiorello e Amadeus a quello che ricorda affettuosamente Fabrizio Frizzi. E poi finalmente la ritrovata amicizia tra i componenti dei Ricchi e Poveri, di nuovo assieme su quel palco dopo quarant’anni, talmente affiatati da far ballare il pubblico dell’Ariston.

Per non parlare della stima e della professionalità venuta fuori dal duetto Massimo Ranieri-Tiziano Ferro sulle note di Perdere l’amore.

Un festival vincente dal punto di vista dei sentimenti anche ieri sera dunque, capace di unire divertimento e serietà creando un connubio perfetto a livello emozionale e canoro, soprattutto grazie alla presenza di personalità importanti, da Tosca a Zucchero ad esempio, assenti da un po’ all’evento dell’anno, ma sempre comunque eccezionali!

E in tutta questa bella leggerezza e divertente atmosfera però la domanda che ci poniamo in tutta franchezza è la seguente: ma i concorrenti dove sono?

È un concorso un po’ diverso quello di quest’anno. Ciò che emerge è infatti una serata divertente, ma decisamente poco gara. E traspare molto nel maggior spazio concesso agli sketch di Fiorello, alla conduzione di Amadeus e agli ospiti rispetto agli anni passati che, per quanto mi riguarda, fornisce grande coinvolgimento di pubblico, ma allo stesso tempo rischia di dilungare troppo i tempi televisivi.

Ma la seconda domanda che ci poniamo è: sono davvero questi momenti ad aver oscurato i cantanti in gara (la maggior parte!), oppure sono semplicemente i cantanti in gara ad averci lasciato così poco da oscurarsi da soli?

Che dire… a mio avviso cari lettori le esibizioni canore di ieri sera poco hanno lasciato. Si sono presentate senza quella caparbietà che dovrebbe distinguerle dalla musica di tutti i giorni. Questo è infatti Sanremo… l’eccellere sul quotidiano!

E per quanto apprezzi fortemente questo festival dal punto di vista della conduzione – anche se ieri sera ho trovato la presenza femminile priva di contenuti rispetto alla prima puntata – non posso finora dire lo stesso per ciò che riguarda i brani in gara.

Speriamo che questo sia l’andazzo di una sola serata, se no quello del 2020 sarà ricordato come lo show di Sanremo e con come il Festival della canzone italiana.

Maria Pettinato

Una prima serata all’insegna del divertimento quella del 70° Festival della canzone italiana, ma anche ricco di tradizione e di temi importanti.

Ma cominciamo con ordine soffermandoci su ciò che, a mio avviso, da questa prima serata è venuto fuori nel bene e nel male…

Le prime figure importanti a riguardo sono la coppia Amadeus-Fiorello. Quando ha cominciato a circolare la notizia della loro presenza a Sanremo, automaticamente nella mente sono riaffiorati gli anni Novanta, il Festivalbar, le risate e la spensieratezza di quelle estati infinite.

La leggerezza è tornata alla ribalta più che mai ieri sera con due veri professionisti artistici… e finalmente aggiungerei! Sin da subito si è presentato il “Festival di Sanremo”, quello dei tempi d’oro, quello divertente, ma allo stesso tempo elegante e ricco di contenuti.

Una prima serata incentrata su temi importanti, molto “all’insegna delle donne” come già si era predetto, ma anche sul passato-tradizione della musica italiana.

Un riferimento che va non solo alla coppia Albano-Romina, concorrenti dopo venticinque anni e ospiti portatori di quella tradizione e di quel successo popolare che ancora aleggia nell’aria come ha dimostrato la foga di un pubblico coinvolto da un’esibizione che, pur vista e rivista, dimostra di piacere ancora molto, ma anche all’esplosiva Rita Pavone, come sempre eccezionale nella sua eccentricità, nel suo essere pura energia vitale.

Ma sono le esibizioni di Tiziano Ferro quelle che più di tutte riecheggiano la nostra storia musicale. Con Volare e Almeno tu nell’universo il cantante di Latina ha emozionato tutti noi e ha coronato il suo sogno: cantare quella meravigliosa canzone al femminile di Mia Martini, “sfidando” Bruno Lauzi che in passato aveva specificato l’impossibilità di declinare al maschile questo brano. E anche se non è riuscita perfettamente sul finale non importa, l’importante è vedere negli occhi di Tiziano la commozione per averci comunque provato.

E la storia della nostra musica, che in fondo è la storia della nostra Italia, si fa notare anche quando si parla de Gli anni più belli, il film di Gabriele Muccino in uscita il 13 febbraio, il cui cast ci riporta alla mente ricordi passati ricoprendoci di sana nostalgia.

Un’apertura che si è rivelata anche l’occasione per fare emergere la forza delle donne, troppo spesso oscurata quando si tratta di televisione e di carriera. Quella forza che unita all’energia ci rende anime pure e che è venuta fuori nella spontaneità che ha contraddistinto Diletta Leotta e Rula Jebreal, qualità non da poco per un palco come quello di Sanremo, spesso motivo di imbarazzo come dimostrato molte volte in passato.

Donne che hanno affrontato temi di grandissimo impatto sul pubblico dell’Ariston e sugli spettatori in mondo visione: il tempo che passa raccontato dalla Leotta e ancor più la violenza sulle donne esposta dalla giornalista palestinese sotto forma di monologo.

Un racconto vero perché sentito, il quale unito alla lettura di canzoni scritte da uomini per le donne, da La cura di Franco Battiato a Sally di Vasco Rossi, ha vinto vista la sua capacità di toccarci come non mai e di farci riflettere su un problema attuale oggi più che mai!

E infine degna di nota è la novità che ha contribuito a rendere la prima serata così coinvolgente, e cioè l’esibizione di Emma Marrone per il pubblico di Piazza Colombo.

Serata di qualità, assolutamente promossa dalla critica e dal pubblico, come ha dimostrato l’elevato numero di ascolti. Ma non positiva allo stesso modo quando si parla di un paio di esibizioni: mi riferisco alla coppia Albano-Romina che da concorrenti dopo moltissimi anni di assenza hanno deciso di cantare in playback, e ad Achille Lauro, al quale è fortemente consigliato di modificare il modo con il quale vuole provocare se ha intenzione di fare il cantante anche in futuro.

Aldilà della sua musica che può piacere e non piacere, a mio avviso hanno fatto bluffe tutti e tre. La coppia ha manifestato una sorta di superiorità “intaccando” le regole del concorso, mentre il giovane cantante continua a sbagliare nello scegliere qualcuno da imitare per emergere a Sanremo: l’anno scorso era Vasco Rossi, quest’anno è Renato Zero. La provocazione fa bene all’arte, ma l’imitazione direi di no.

Maria Pettinato

A volte nella vita capita di fermarsi, prendere coscienza e ripartire meglio di prima, con consapevolezze più mature, e scoprire che tutto è più chiaro, decisamente più semplice.

Più semplice come il titolo del nuovo brano, in uscita oggi 30 novembre, della cantante sanremese Monia Russo, conosciuta oltre che per le sue straordinarie doti canore, frutto di un talento prematuro, ma anche di anni di studio come attesta la laurea conseguita con lode al Conservatorio G.F.Ghedini di Cuneo, per le sue partecipazioni al Festival di Sanremo rispettivamente nel 2006 con Un mondo senza parole, che la vede finalista nella categoria Giovani, e insieme al cantante Povia con Luca era gay e La Verità nel 2009 e nel 2010.

Un singolo, Più semplice, scritto in collaborazione con il musicista Fabio Fornaro, con il quale è nata una vera e propria collaborazione artistica che si è protratta per altri brani che comporranno il prossimo album della cantante la cui uscita è prevista per aprile 2020, “ma di cui non si può ancora svelare nulla!” – come ha sottolineato la nostra Monia – e che, perciò, può definirsi “l’apertura di un nuovo capitolo dal punto di vista artistico, una sorta di ‘lancio’ per il lavoro che arriverà dopo”.

“È una canzone d’amore direi, una presa coscienza della fine di un amore, che ha sicuramente dei grandi rimpianti e una grande tristezza nel cuore, ma anche la speranza di potersi rincontrare in una veste più matura” spiega la cantante.

“Da certi errori si possono cogliere sfumature differenti, che ti permettono di diventare una persona migliore”, ma questo non significa abbandonare il passato, che è comunque un bagaglio e come tale serve a tirare fuori ciò che si ha dentro, come specifica la volontà di scriverlo, di liberarsene forse, senza comunque mai dimenticarlo.

“È stata un’esigenza buttare fuori le mie emozioni, che volente o dolente sono frutto della mia persona” ha sottolineato in tal senso, facendo emergere quella che è in realtà Monia, una di noi prima di tutto.

Ora è infatti il momento in cui tutto torna alla luce e ci presenta un’artista diversa, nuova, non più “ragazza” ma donna, con una passione più saggia per questo lavoro, con una visione oggettiva del cambiamento che il mondo della musica ha vissuto in questi anni, e perciò pronta ad affrontarlo sotto una veste differente, più confidenziale, come attesta la volontà di passare da Monia Russo a semplicemente Monia.

“Voglio dare del tu ai miei fans, voglio essere meno distante e più anima e non vedo l’ora di sapere cosa ne pensa il mio pubblico!”, la cosa più importante per lei che oltre alla passione ci ha messo determinazione, anni di studio e di fatica.

E che ha capito quanto sia importante la presenza e il confronto con gli altri, un vero e proprio imput per andare avanti, confermato dalla collaborazione che ruota attorno al suo progetto legata alla prevalente presenza di donne in vari campi, come quello dei social ad esempio, fondamentale per creare un rapporto a tu per tu con il proprio pubblico.

“Sei tu l’artista, ma sono le persone che ti circondano a portarti alle stelle o alle stalle” e questa consapevolezza è necessaria per rimanere con i piedi per terra, sempre se stessi e importante perché consente di trasmettere emozioni di vita quotidiana, sentimenti veri e reali.

Ed è tramite la scrittura e la musica, specchio di ciò che si è e si ha dentro, che si traducono le esperienze più intime, più reali, sostanzialmente ciò che siamo. E grazie a questa “sorta di crescita e di maturità continua” Monia è rimasta una di noi, decisamente più semplice e vera.

Maria Pettinato

Monia Russo (@monia_real) nasce a Castellaro (Im) il 5 maggio 1988. Nel 2004 è undicesima su quattrocento concorrenti all’Accademia di Sanremo e nel 2005 si aggiudica la seconda posizione al Festival di Castrocaro Terme. Voci e volti nuovi. Nel 2006 raggiunge la semifinale nella categoria Giovani al Festival di Sanremo con il brano Un mondo senza parole (brano di Bruno Illiano) e da questa esperienza è di fatto la prima cantante sanremese a partecipare al Festival della canzone italiana. Nel 2009 e nel 2010 torna sul palco sanremese assieme a Povia rispettivamente con Luca era gay e La verità; da queste collaborazioni Monia lo seguirà in tourneé. Nel 2011 si conclude la sua prima tourneé nazionale da solista. Consegue con lode la laurea triennale presso il Conservatorio G.F.Ghedini di Cuneo – indirizzo Popular music nel 2015. Dal 2016 al 2019 collabora con l’Orchestra Sinfonica di Sanremo diretta dal Maestro Roberto Molinelli con un tour nazionale. Sono molte le partecipazioni all’estero in rappresentanza della musica italiana e le collaborazioni avviate in questi anni con artisti importanti nel panorama musicale italiano, tra cui, per citarne una, quella con Miki Porru per l’album Hotel Disamore (brano: Inquieti e incantevoli) nel 2019.

Fiorella Mannoia è da sempre un mix di energia, sensibilità ed eleganza. Caratteristiche che traspaiono dalla sua voce, dai testi delle sue canzoni e dal suo vitale modo di esibirsi.

Ed è ciò che è emerso in occasione del suo concerto al Teatro Ariston di Sanremo (Im) il 24 ottobre scorso, una tappa fondamentale per il Personale Tour 2019 della cantante romana.

Una serata a dir poco indimenticabile, un momento di vera e propria unione, di estasi direi, in cui le emozioni di Fiorella sono diventate un po’ le nostre e le nostre si sono trasformate nelle sue.

Un’occasione artistica che si potrebbe racchiudere in tre parole: dinamismo, amore e malinconia. E che ha rappresentato per lei “38 anni di ricordi” come ha scritto sulla sua pagina Facebook riferendosi alla serata trascorsa al Teatro Ariston.

Dinamiche tonalità passate e presenti che, pur non essendo propriamente rock – come la cantante ha specificato durante il concerto sanremese – , trasmettono calore ed energia.

La sua è infatti una musica che rimane nella memoria non solo per le parole che l’accompagnano e per un timbro di voce unico come il suo, ma anche per l’uso di una strumentazione vigorosa di per sé, la quale ricorda sovente paesi e culture lontane.

E associate a ciò ci sono l’amore e la malinconia, sempre assieme, sempre legate tra loro, che ci si riferisca a quello tra uomo e donna, o quello tra madre e figlio, o semplicemente di amore per la propria patria. Sempre di sentimento profondo si parla, così come sempre vita è e per questo degna di essere vissuta.

Tematiche attuali, ma anche remote, facenti parte di ognuno di noi e forse a volte dolorose proprio per questo. Così vere, così reali da farci riflettere, da farci capire che forse è arrivato il momento di cambiare, di reagire, di lasciare alle spalle ciò che non serve “alla propria sopravvivenza”, perché fa male a noi stessi e a chi ci circonda.

Ecco cos’è la musica di Fiorella, ecco ciò che ha trasmesso tra lacrime, gioia e determinazione in una serata piovosa di ottobre su un palco che per lei rappresenta dal 1981 una croce, ma anche una delizia, un ricordo e un’emozione.

La musica è vita, è amore, è passione. E la sensibilità è ciò che muove le sue note, delicate, percettibili e comunicative.

Maria Pettinato

Eternità come libertà, aspirazione, voglia di vincere su un mondo spesso opprimente, a volte ingrato, ma anche ricordo, consapevolezza. È questo ciò che emerge dall’ascolto di Un attimo di eternità (Diesis Music Factory, 2019; produzione e arrangiamenti: Matteo Pecora), album della giovane cantautrice marchigiana Arianna Brilli.

Un timbro degno di nota, che ricorda per certi aspetti quello di cantanti ben consolidate nel panorama musicale italiano, assieme a testi ricchi di enfasi e melodie dinamiche crea un formidabile insieme perché è da questo che le emozioni vengono fuori con forza valorizzando non solo lo stato d’animo dell’artista, ma anche quello dell’ascoltatore.

Un disco capace di far uscire le proprie emozioni, di liberare o semplicemente incentivare l’ascoltatore a trovare la propria libertà mediante frasi cariche di significato che confermano l’attitudine alla scrittura da parte della cantautrice.

Improvvisamente ti senti Boicottata anche tu, come il brano che più di tutti rende l’idea di quello che è il disco della Brilli, le cui parole emergono con forza accompagnate da una musica dalla quale vengono fuori la rabbia e la delusione, ma anche energia e forza di volontà.

Danneggiata appunto, “lacerata nel petto” dal potere opprimente di qualcuno o qualcosa che giudica e calpesta. Ma poi forte, vincitrice sul nemico, illuminata dalla luce che è oltre quelle scale, capace di abbandonare il gruppo e trovare la salvezza.

E poi ci sono la spensieratezza di La mia libertà, la malinconia di Madre, la grinta di Scorre forte, per citare solo alcuni degli undici brani che compongono il disco, stati d’animo enfatizzati da naturalezza e costanza, come dimostrano gli anni di studio della Brilli alla Lizard Accademie musicali e la determinazione legata a quel periodo.

Una musica che fa riflettere, il cui obiettivo è offrire un attimo di eternità, una possibilità, quella di evadere dalla realtà, ma allo stesso tempo di osservarla e perché no, quando necessario, di trovarvi la via d’uscita e imboccare finalmente la libertà.

Maria Pettinato

La band Noir Col, fondata nel 2008 dai cosentini Alessandro e Marcostefano Gallo e già conosciuta con l’album Virare verso sud (2016), richiama alla mente l’eleganza di altri tempi, la melodia misteriosa e suadente che ha caratterizzato la musica degli anni Venti e che attraeva perché permetteva di entrare nella propria interiorità in modo sottile.

Una simile raffinatezza, unita a un misto di malinconia e nostalgia emergono dall’ascolto de La teoria del primo passo. Vol.1 (Bix Music, 2018), prima parte del progetto artistico avviato dalla band che prevede la suddivisione dell’album in tre volumi, tutti contenenti una propria coerenza tematica e musicale.

Il primo singolo, accompagnato dal suo videoclip, è Parte di te, dal quale emerge il richiamo alla propria terra d’origine che può definirsi il tema centrale dell’intero album. È un legame forte, sincero, metaforicamente associabile a quello tra madre e figlio, tra donna e uomo e lo si comprende da una musicalità dalla quale traspare la tristezza dell’addio, ma anche la serenità che si prova quando si è con lei.

La nostalgia, pur negata durante il viaggio di ritorno, si trasforma perciò in protagonista e lo si comprende non solo nelle parole, ma anche nella voce di Marcostefano che è impostata su altezze e intensità leggere, poco presenti nel panorama musicale odierno e perciò imperniate di unicità. Uno stile vocale sottile ed elegante presente anche quando la musica diventa “rock”, dinamica.

Un ritmo musicale quindi ben studiato e diretto dal compositore Alessandro che, pur rifacendosi in modo evidente ai generi blues e jazz come traspare dalle sfumature e dalla finezza che caratterizzano l’intero lavoro, riesce a offrire una melodia unica e innovativa.

Originalità, ma allo stesso tempo tradizione sono quindi gli elementi privilegiati all’interno di un album che vuole essere tale.

Volontà comprensibile, oltre che nella scelta musicale, nella tematica del trasferimento e del conseguente “viaggio verso casa”, che sono sinonimo di cambiamento, ma allo stesso tempo di legame, e nella stessa denominazione Noir Col, innovativa scelta dell’uso del francese, ma che comunque richiama alla mente un’epoca passata e perciò tradizionale.

Maria Pettinato

LA TEORIA DEL PRIMO PASSO. VOL.1

  • Parte di te
  • I giorni che mancano
  • Memorie sulle mani
  • Il centro del viaggio