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Mors tua vita mea!

Bologna oggi. Dante ed Elena sono una coppia di giovani innamorati nel pieno della loro infelicità sociale. Svolgono una vita come tante altre, alienata e integrata nel sistema malsano in cui si trovano.

Lui vive alla giornata, per lo più fatto ed ubriaco, in attesa dell’ispirazione per scrivere il suo romanzo, lei lavora tutto il giorno come dama di compagnia presso la signora Scalpini, un’anziana arrogante e molto ricca.

E fino a qui Dante e la tartaruga, romanzo d’esordio di Vincenzo Spinelli, edito da Il Seme Bianco (2019), presenta una trama apparentemente “normale”, caratterizzata da personaggi mediocri, come tanti altri, immersi nelle proprie vite senza un futuro florido.

Ma le cose cominciano a cambiare forma quando viene fuori da parte dei due una sorta di insolubrità, una malvagità latente che prende piede quando decidono di comune accordo di compiere un omicidio avvelenando la signora Scalpini e di fuggire con l’eredità di quest’ultima.

Ad emergere è la psicologia dei protagonisti di questa storia più che la trama in sé. È la capacità perversa di studiare nel dettaglio il disegno che li porterà al raggiungimento (facile) dei propri obiettivi: rilevare la libreria Shakespeare and Company di Parigi e vivere nella tranquillità di coppia.

E soprattutto, in questo senso, a venir fuori con maggiore forza è il mutamento psicologico di Elena la quale, se inizialmente sembrava una figura succube del compagno, e a dir poco sfruttata da lui, nel corso del romanzo si trasforma a mio parere nella più malvagia.

Malvagità presente nel tentativo di persuadere il notaio o anche semplicemente nel lasciare sperare con grinta e consapevolezza che l’assassinio si compierà nonostante le cose sembrano a un certo punto avere poca speranza.

E se lei può definirsi l’artefice fisica dell’omicidio, vedi per il dialogo con il notaio, vedi per l’avvelenamento stesso, Dante altro non è che il mandante razionale dell’intero piano, è colui che lo studia e che incarica terzi.

Un modo per venirne fuori con maggiore facilità nel caso in cui le cose si sarebbero messe male? O semplicemente perché è lui in realtà il vero assassino in qualità di regista?

Non è facile rispondere a questi interrogativi, ma emerge comunque la sua prontezza intellettuale, anche solo nei dialoghi che lui svolge quotidianamente con figure importanti a livello storico, ad esempio Socrate o Giulio Cesare per citarne alcuni.

Personalità che lo spingono a studiare il piano accompagnandolo intellettualmente nella progettualità dello stesso.

Dante e la tartaruga può definirsi dunque un thriller psicologico caratterizzato da una struttura surreale, in cui realtà e finzione vanno di pari passo, in cui il sogno e la ragione diventano una cosa sola.

Ed ecco che leggendolo tornano alla mente i romanzi surrealisti di Antonin Artuad o le pellicole cinematografiche di Robert Wiene, in cui spiccava la stessa semplicità di comunicare e progettare situazioni che in realtà con la semplicità hanno ben poco in comune.

Emerge senza dubbio una cura discorsiva nelle parti in terza persona presenti all’interno del romanzo, ma allo stesso tempo una bonarietà onirica e visionaria che lo rende discorsivo e appagante.

Discorso simile anche per le parti scritte in prima persona da Dante in cui viene fuori un’asprità di fondo, la quale potrebbe essere interpretata come rabbia repressa da parte di un individuo infelice della propria esistenza e colpito da tale sentimento fin da bambino per l’incapacità personale e/o causata da altri soggetti, di trasformare il sogno nella realtà.

Un romanzo da leggere, coinvolgente quanto basta, anche quando la malvagità vince sulla volontà di raggiungere i progetti tanto ambiti da Dante, la pubblicazione del romanzo e l’apertura della libreria.

O forse no? A voi l’interpretazione!

Maria Pettinato

Vincenzo Spinelli nasce a Como nel 1985, corriere di giorno e scrittore di notte, amante della letteratura surrealista, satirica, dell’assurdo, nel 2016, al Salone Internazionale del libro di Torino, nell’ambito del concorso 88.88 indetto dall’associazione culturale YOWRAS, riceva una menzione per il racconto In bilico vacillo su un mio capello perso sul cuscino. Da lì ha iniziato a scrivere.

A volte nella vita capita di fermarsi, prendere coscienza e ripartire meglio di prima, con consapevolezze più mature, e scoprire che tutto è più chiaro, decisamente più semplice.

Più semplice come il titolo del nuovo brano, in uscita oggi 30 novembre, della cantante sanremese Monia Russo, conosciuta oltre che per le sue straordinarie doti canore, frutto di un talento prematuro, ma anche di anni di studio come attesta la laurea conseguita con lode al Conservatorio G.F.Ghedini di Cuneo, per le sue partecipazioni al Festival di Sanremo rispettivamente nel 2006 con Un mondo senza parole, che la vede finalista nella categoria Giovani, e insieme al cantante Povia con Luca era gay e La Verità nel 2009 e nel 2010.

Un singolo, Più semplice, scritto in collaborazione con il musicista Fabio Fornaro, con il quale è nata una vera e propria collaborazione artistica che si è protratta per altri brani che comporranno il prossimo album della cantante la cui uscita è prevista per aprile 2020, “ma di cui non si può ancora svelare nulla!” – come ha sottolineato la nostra Monia – e che, perciò, può definirsi “l’apertura di un nuovo capitolo dal punto di vista artistico, una sorta di ‘lancio’ per il lavoro che arriverà dopo”.

“È una canzone d’amore direi, una presa coscienza della fine di un amore, che ha sicuramente dei grandi rimpianti e una grande tristezza nel cuore, ma anche la speranza di potersi rincontrare in una veste più matura” spiega la cantante.

“Da certi errori si possono cogliere sfumature differenti, che ti permettono di diventare una persona migliore”, ma questo non significa abbandonare il passato, che è comunque un bagaglio e come tale serve a tirare fuori ciò che si ha dentro, come specifica la volontà di scriverlo, di liberarsene forse, senza comunque mai dimenticarlo.

“È stata un’esigenza buttare fuori le mie emozioni, che volente o dolente sono frutto della mia persona” ha sottolineato in tal senso, facendo emergere quella che è in realtà Monia, una di noi prima di tutto.

Ora è infatti il momento in cui tutto torna alla luce e ci presenta un’artista diversa, nuova, non più “ragazza” ma donna, con una passione più saggia per questo lavoro, con una visione oggettiva del cambiamento che il mondo della musica ha vissuto in questi anni, e perciò pronta ad affrontarlo sotto una veste differente, più confidenziale, come attesta la volontà di passare da Monia Russo a semplicemente Monia.

“Voglio dare del tu ai miei fans, voglio essere meno distante e più anima e non vedo l’ora di sapere cosa ne pensa il mio pubblico!”, la cosa più importante per lei che oltre alla passione ci ha messo determinazione, anni di studio e di fatica.

E che ha capito quanto sia importante la presenza e il confronto con gli altri, un vero e proprio imput per andare avanti, confermato dalla collaborazione che ruota attorno al suo progetto legata alla prevalente presenza di donne in vari campi, come quello dei social ad esempio, fondamentale per creare un rapporto a tu per tu con il proprio pubblico.

“Sei tu l’artista, ma sono le persone che ti circondano a portarti alle stelle o alle stalle” e questa consapevolezza è necessaria per rimanere con i piedi per terra, sempre se stessi e importante perché consente di trasmettere emozioni di vita quotidiana, sentimenti veri e reali.

Ed è tramite la scrittura e la musica, specchio di ciò che si è e si ha dentro, che si traducono le esperienze più intime, più reali, sostanzialmente ciò che siamo. E grazie a questa “sorta di crescita e di maturità continua” Monia è rimasta una di noi, decisamente più semplice e vera.

Maria Pettinato

Monia Russo (@monia_real) nasce a Castellaro (Im) il 5 maggio 1988. Nel 2004 è undicesima su quattrocento concorrenti all’Accademia di Sanremo e nel 2005 si aggiudica la seconda posizione al Festival di Castrocaro Terme. Voci e volti nuovi. Nel 2006 raggiunge la semifinale nella categoria Giovani al Festival di Sanremo con il brano Un mondo senza parole (brano di Bruno Illiano) e da questa esperienza è di fatto la prima cantante sanremese a partecipare al Festival della canzone italiana. Nel 2009 e nel 2010 torna sul palco sanremese assieme a Povia rispettivamente con Luca era gay e La verità; da queste collaborazioni Monia lo seguirà in tourneé. Nel 2011 si conclude la sua prima tourneé nazionale da solista. Consegue con lode la laurea triennale presso il Conservatorio G.F.Ghedini di Cuneo – indirizzo Popular music nel 2015. Dal 2016 al 2019 collabora con l’Orchestra Sinfonica di Sanremo diretta dal Maestro Roberto Molinelli con un tour nazionale. Sono molte le partecipazioni all’estero in rappresentanza della musica italiana e le collaborazioni avviate in questi anni con artisti importanti nel panorama musicale italiano, tra cui, per citarne una, quella con Miki Porru per l’album Hotel Disamore (brano: Inquieti e incantevoli) nel 2019.