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Archivio categorie: Cinema

Sky ladder (scala celeste) è un film-documentario realizzato nel 2016 da Kevin Mac Donalds.

Il documentario tratta la storia della costruzione del progetto più importante dell’artista Cai Guo-Qiang: Sky ladder, ripercorrendo i momenti salienti della vita del maestro.. 

Il protagonista è nato l’8 dicembre 1957 in Cina, ma attualmente vive a New York. Negli anni Settanta, Cai, comincia ad esprimere il suo lato artistico tramite opere realizzate con la polvere da sparo abbandonando così i colori ad acqua e ad olio che adoperava prima. 

Una sua celebre mostra è La Nona Onda, chiamata così perché “la nona onda è l’ultima onda dello tsunami, la più pericolosa”.

Un’esposizione quest’ultima presentata come un grande evento pirotecnico, realizzato con polveri colorate biodegradabili. E’ un film degno di nota perché presenta allo spettatore un’arte innovativa e poco diffusa, tramite riprese sofisticate e ben realizzate. 

Si può cogliere la forte passione che Guo-Qiang ha sempre avuto nei confronti dell’arte durante tutto il corso della sua vita, attraverso il racconto di quest’ultima ben inserito all’interno del film.  

Sicuramente è un buon metodo per conoscere l’arte soprattutto in questo periodo storico che ne limita l’osservazione dal vivo.

Aldieri Valentina, Mattioli Eleonora, 1 B Classico

Paterson - Film (2016) - MYmovies.it

Paterson è il dodicesimo lungometraggio diretto nel 2016 dal noto cineasta indipendente Jim Jarmusch.

Il film offre allo spettatore la rappresentazione di una settimana nella vita di Paterson (Adam Driver), un conducente di pullman che si diletta a scrivere poesie e vive in New Jersey, assieme alla moglie Laura e al cane Marvin.

Come è noto a chi conosce il suo stile, Jarmusch privilegia la rappresentazione di individui ai margini della società, alienati da una routine perennemente uguale a se stessa. In questo, Paterson si rivela esemplare.

Il lungometraggio mette in scena una quotidianità monotona, volutamente piatta, e la regia stessa sottolinea gli aspetti che rendono le giornate uguali tra loro. Da questo punto di vista, il film rifugge esplicitamente i concetti cardine della sceneggiatura: in Paterson non ci sono antagonisti, non c’è un obiettivo definito; c’è solo un protagonista che vive la sua normalità.

È lecito affermare, in effetti, che per quasi tutto il film, ad eccezione del finale, non succeda nulla che scuota la narrazione.

Agli occhi dello spettatore, l’unica nota stonata che turba l’equilibrio di Paterson è la moglie Laura (Golshifteh Farahani). Con lo scorrere dei minuti del film, la figura femminile appare lievemente enigmatica agli occhi di chi guarda.

Il personaggio sembra scritto appositamente per risultare fastidioso: pare non apprezzare gli sforzi del marito, che invece la idolatra, e tende a dimostrarsi superficiale se non addirittura lievemente egoista. La stessa resa visiva sembra corroborare questa sensazione: gli onnipresenti motivi in bianco e nero che accompagnano Laura, i suoi vestiti e gli ambienti in cui si muove, se ad una prima occhiata paiono curiosi non tardano però a risultare ridondanti, quasi stucchevoli.

Essa troverà comunque modo di redimersi sul finale del film, a seguito del trauma che scuote il quotidiano del protagonista. La donna, di fronte all’inconveniente, apparirà tutto d’un colpo fragile, tenera e premurosa, permettendo allo spettatore di trovare una giustificazione alla visione che il marito ha di lei.

La critica ha elogiato il film, arrivando a definirlo “un mite e sorprendente lavoro anti-drammatico per i fan del cinema indipendente” (Todd McCarthy, The Hollywood Reporter).

Il progetto è stato a lungo presente nei meandri della mente di Jarmusch, regista e sceneggiatore, che definì le prime bozze della trama addirittura vent’anni fa. Per realizzarlo al meglio, ha deciso di affiancarsi al suo poeta contemporaneo preferito, Ron Padgett.

Quest’ultimo ha composto tutte le liriche che nel film sono attribuite al protagonista. Lo stesso Jarmusch ha però voluto dare il suo apporto alla componente poetica, scrivendo i versi che nel film risultano pensati da una precocissima bambina che Paterson incontra per caso.

In Paterson, il regista gioca anche con la tendenza cinematografica per cui ad un elemento narrativo vengono conferite sfumature di significato simboliche. Esemplare in questo senso risulta il leitmotiv dei gemelli: da quando Laura dice di aver sognato di partorirli, il marito inizia a vederne ovunque.

Questo elemento narrativo è stato inserito direttamente in fase di riprese, quando il regista ha notato che gli attori più piccoli venivano sostituiti, come spesso accade, da fratelli identici. A detta dello stesso Jarmusch, tuttavia, questo topos è privo di significato ulteriore (“anti-significant”).

Lo spettatore potrebbe interrogarsi su eventuali implicazioni narrative (un parto di Laura, altri eventi degni di nota), senza rendersi conto che si tratta di un elemento volutamente privo di significato, che rende il film nella sua totalità ancor più straniante.

Dopo le sue collaborazioni con Baumbach, Spielberg, e i fratelli Coen, l’ormai affermato Driver sin dagli albori della produzione non ha nascosto l’entusiasmo che provava nel lavorare con un caposaldo del cinema contemporaneo quale è Jim Jarmusch.

I più ironici credono che la scelta del protagonista fosse scritta nel destino, data la curiosa coincidenza tra il cognome dell’attore (Driver, in inglese autista) e la natura del ruolo, un conducente di bus. Ma pare addirittura che, per rendersi il candidato più idoneo al ruolo del protagonista, Driver abbia autonomamente deciso di prendere la patente per la guida di autobus, prima che gli fosse richiesto esplicitamente.

In questo modo, l’attore sperava di automatizzare l’aspetto pratico del suo ruolo per potersi concentrare sull’interpretazione al momento delle riprese. Non meno importante, Driver aveva giustamente immaginato che riuscire a guidare realmente gli ingombranti mezzi avrebbe consentito al regista la possibilità di ricorrere a più inquadrature, potendo lavorare con più libertà.

L’acclamato attore interpreta magistralmente il ruolo che gli è affidato. Il suo personaggio risulta a tratti annoiato, teneramente ingenuo.

La componente di fragile semplicità che Driver riesce a incanalare in Paterson lo rende incredibilmente realistico, quasi commovente nella sua purezza. Ciò che colpisce del protagonista è il suo modo di fare, sempre pacato e riflessivo, mai esuberante o eccessivo. Anche nel momento di peggior crisi, di maggior sconforto, non si lascia accecare dall’ira o da manifestazioni plateali di disperazione.

Silenzioso, Paterson cade in un pacato sconforto, comunque carico di intensità e malessere. Tutto ciò che riesce a dire a proposito delle sue poesie, forse perdute per sempre, è un elegante ma disilluso «they where only words written on water», forse citando il celebre epitaffio del poeta inglese John Keats (“Here lies One whose Name was writ in Water”).

La performance di Driver, particolarmente apprezzata, gli ha permesso negli anni successivi di collaborare con altri mostri sacri del cinema contemporaneo tra cui Scorsese (Silence, 2016), Soderbergh (La truffa dei Logan, 2017) e Lee (BlaKkKansman, 2018), fino ad arrivare alla nomination all’Oscar per miglior attore (non protagonista nel 2019 per il film di Spike Lee e protagonista nel 2020 per Storia di un matrimonio di Baumbach).

La narrazione di Paterson si sviluppa dunque attorno a un quotidiano semplice e ciclico, ad una circolarità monotona.

Per questa ragione, un evento perturbatore come quello del finale, che normalmente non sarebbe abbastanza forte da stravolgere l’andamento della storia, assume in questo caso connotazioni drammatiche e riverberi disastrosi.

Gli ultimi minuti del film, però, aprono ad un messaggio di speranza, illustrando come talvolta sia necessario fare un passo indietro per trovare nuove fonti di ispirazione. In questa chiusura molti critici hanno visto una forte dichiarazione da parte dello stesso Jarmusch, che dopo anni di esperienza continua a sorprendere il suo pubblico innovandosi ma rimanendo fedele alla sua concezione artistica.

In effetti, solo una mente creativa così solida ma al contempo propositiva poteva offrire al pubblico un’opera come Paterson, che sfidando qualsiasi convenzione narrativa riesce comunque a colpire dritto nell’animo dello spettatore.

Eleonora Noto

Da vent'anni dentro Matrix | Doppiozero

Ma se ciò che noi pensiamo realtà

fosse pura immaginazione?

Matrix è una trilogia di film di genere fantascientifico-avventura, scritta e diretta dalle sorelle Lana e Lilly Wachowski nel 1999 e prodotta dalla Warner Bros.

Protagonista è Thomas Anderson/Neo (Keanu Reeves), programmatore della Metacortex di giorno, e di notte è un pericoloso hacker. A causa dei suoi illeciti è tenuto sotto osservazione dall’agente Smith (Hugo Weaving), fino a quando non incontra un’altra hackerTrinity (Carrie-Anne Moss) che gli propone di seguirlo per conoscere il suo capo Morpheus (Laurence Fishburne), il quale gli spiegherà tutto riguardo ad una realtà chiamata Matrix.

Neo accetta incuriosito ed ecco che Morpheus lo pone di fronte ad una scelta: continuare a vivere la vita come l’ha conosciuta fino a quel momento optando per una pillola blu o essere trasportato in un’altra realtà, Matrix, optando per la pillola rossa. Neo decide di rischiare e si risveglia in una realtà totalmente diversa, un mondo post-apocalittico del XXIII secolo dove sono le macchine ad avere il controllo su tutto.

Morpheus, Trinity e i loro compagni fanno parte di una resistenza di ribelli che combattono le macchine. Di fatto Morpheus crede di aver finalmente trovato in Neo “l’Eletto”, cioè colui che secondo la profezia dell’Oracolo sarà in grado di codificare Matrix e di distruggerla, liberando così tutti gli esseri umani.

Neo dovrà così avventurarsi in questa nuova e difficile realtà, cercando di trovare la sua strada e la sua missione, misurandosi con i suoi limiti e i suoi dubbi, provando di chi e di che cosa può veramente fidarsi.

A colpire per i tratti caratteriali e psicologici sono decisamente Neo e Morpheus.

Il primo infatti emerge per una spiccata intelligenza, ma anche per le sue doti altruistiche; il secondo è fondamentale nello svolgimento della trama in quanto è colui che conosce perfettamente il modo di Matrix e che quindi offre a Neo la possibilità di liberarlo.

Il film è coinvolgente a livello psicologico e non solo, infatti la visione pone interrogativi esistenziali… Fa pensare alla vera esistenza di Matrix, intesa come mondo parallelo.

Le inquadrature, ricche di azione, riescono a comunicare questo aspetto, accompagnando una sceneggiatura che colpisce l’osservatore perché ricca di suggestioni psicologiche.

Narni Letizia, Acquarone Martina, 1 A Classico

Poster, Quadro Star Wars - Classic su EuroPosters.it

George Walton Lucas Jr., regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e montatore, può definirsi il il creatore del cinema moderno. A emergere in tal senso è il suo più grande capolavoro cinematografico, oltre a Indiana Jones: Guerre stellari o Star Wars, saga trionfale, conosciuto dalle generazioni di tutto il mondo, anche semplicemente per sentito dire.

La Saga è suddivisa in tre film collegati tra loro: Una nuova speranza (1977), L’Impero colpisce ancora (1980) e Il ritorno dello Jedi (1983).

Interessante è il fatto che inizialmente solo 42 sale cinematografiche in tutti gli Stati Uniti accettarono di proiettare il primo episodio, Una nuova speranza, perché la pellicola era ritenuta dalla Fox a rischio di flop. Ovviamente le sale salirono a ben 1750 di lì a poco.

Lucas, desideroso di offrire al pubblico emozioni mai provate prima, è riuscito a colpirlo attraverso effetti speciali a dir poco rivoluzionari per il mondo del cinema, grazie all’utilizzo di un innovativo sistema di ripresa a computer grafica.

A rendere il tutto ancor più suggestivo sono gli effetti sonori curati da molti specialisti dell’epoca. Uno dei suoni più famosi e riconoscibili, quasi un’icona, è quello delle spade laser, che venne realizzato combinando il suono emesso da un vecchio proiettore con quello dell’interferenza di un televisore su un microfono non schermato.

A sorprendere il pubblico fu soprattutto il cambio di frequenza derivato dal movimento dell’arma durante i combattimenti. Tanto che, sebbene negli anni abbia subito diverse modifiche e migliorie, rimane la base del suono delle spade anche nella Trilogia Sequel degli anni 2000.

Il primo film ricevette numerosi riconoscimenti, tra cui dieci candidature ai Premi Oscar nel 1978, vincendone sette (tra cui miglior montaggio, migliore scenografia, migliori costumi, migliori effetti speciali, miglior colonna sonora e miglior sonoro). Nel 1998, l’American Film Institute ha inserito Star Wars al 1º posto dell’AFI’s Years of Film Scores. Nel 2007, lo stesso organo ha collocato il film al 13º posto nella sua lista dei 100 migliori film statunitensi di tutti i tempi.

Anche la colonna sonora del film, composta da oltre quaranta brani inediti scritti da John Williams ed eseguita dalla London Symphony Orchestra, ha contribuito a rendere famosa è inconfondibile l’opera ricevendo due dischi di platino e due Grammy Award negli Stati Uniti e nel Regno Unito e  cinque oscar nel 1972, 1976, 1978, 1983 e 1994. 

La tecnica per unire i brani tra loro senza stacco è quella del letimotion ovvero mediante un tema ricorrente. La colonna sonora si ispira a opere di grandi compositori classici come Prokofiev e Strauss, per questo alcuni critici hanno etichettato Williams come “poco originale”. Essendo però obiettivo del compositore quello di richiamare brani del passato, Williams considerò le contestazioni come dei veri e propri complimenti!

Ma andiamo a vedere nel dettaglio i tre film, per chi non avesse ancora visto questo capolavoro del cinema!

Una nuova speranza

In una galassia lontana regna un ostile Impero Galattico capitanato dall’Imperatore e dal suo apprendista Sith Darth Vader, ovvero un utilizzatore del Lato Oscuro della Forza armato di spada laser, responsabile della maggior parte delle uccisioni dei Jedi, che sono la controparte buona dei Sith, dall’ascesa dell’Impero. La Forza, utilizzata sia dai Jedi sia dai Sith, è un qualcosa di sovrannaturale che unisce tutte le cose viventi, mantiene unita la galassia e si divide in Lato Oscuro e Lato Chiaro. In contrapposizione al malvagio Impero vi sono i Ribelli, alcuni dei quali, durante una missione, sono venuti in possesso dei piani della Morte Nera, una stazione spaziale in grado di polverizzare un intero pianeta, con i quali avrebbero potuto distruggerla.

Tuttavia, durante la fuga, questi vengono abbordati da Vader. La principessa Leila affida i file all’astrodroide R2D2 insieme ad una richiesta d’aiuto per il superstite Maestro Jedi Obi-Wan Kenobi. R2D2, accompagnato dal droide C3po, scappa con un guscio di salvataggio su Tatooine, dove incontra Luke Skywalker, un giovane orfano che riesce ad ascoltare parte della richiesta d’aiuto rivolta ad Obi-Wan. Pertanto decide di rivolgersi a Kenobi, che, sentita tutta la registrazione, apprende di dover portare R2D2 presso Alderaan, per l’estrazione dei file. Obi-Wan decide di portare il ragazzo con sé per addestrarlo come Jedi e per aiutare la ribellione. Nel frattempo Darth Vader e il Grand Ammiraglio Tarkin decidono di varare l’arma contro il pianeta natale della ribelle, Alderaan, polverizzandolo totalmente. Obi-Wan e Luke giungono al pianeta indicato con l’aiuto di due contrabbandieri, Han Solo e Chewbacca, tuttavia, anziché trovarlo, incappano nella Morte Nera che li cattura. Lì trovano la principessa Leila imprigionata e la salvano, ma nella fuga vengono intercettati da Darth Vader che sconfigge in duello Obi-Wan. Gli altri riescono a scappare e si recano nella base ribelle, dove Luke si unisce alla ribellione, la quale organizza un attacco contro la base imperiale. Obi-Wan compare in voce a Luke e, grazie al suo aiuto, il ragazzo riesce a distruggere la stazione spaziale imperiale. L’Alleanza Ribelle ha salvato moltissimi pianeti annientando questa potentissima arma, ma la guerra contro l’Impero è appena iniziata.

L’Impero colpisce ancora

Darth Vader scova la base dei ribelli, i quali, appena in tempo, riescono a fuggire. Luke, sotto consiglio di Obi-Wan, si reca presso Dagobah per completare l’addestramento Jedi dal Grande Maestro Yoda. Una volta giunto, il ragazzo fa la conoscenza del Maestro, a cui rivela di voler addestrarsi soprattutto per via di suo padre, un potente Jedi risalente alle Guerre dei Cloni. Durante l’addestramento, Yoda rivela a Luke che l’apprendista di Obi-Wan era Darth Vader, un tempo un jedi che poi è ceduto al Lato Oscuro. Più lontano, l’Imperatore e il suo apprendista sono preoccupati perché temono che il giovane Jedi possa vincerli, dato che sono certi si tratti del figlio di un certo Anakin Skywalker. Nel frattempo Leila, Han e Chewbacca si trovano a scappare con il Millennium Falcon presso un pianeta apparentemente sicuro: quello di Lando Calrissian, un contrabbandiere amico di Solo. Tuttavia, lì, è già giunto Darth Vader che cattura i ribelli, congela nella grafite Han e lo consegna a Jabba The Hutt, un vecchio contrabbandiere nemico di Solo, e  attende che Luke vada a salvarli. Come previsto, il giovane percepisce che i suoi amici sono in difficoltà e si dirige verso il pianeta di Bespin, nonostante Yoda e Obi-Wan gliel’avessero sconsigliato temendo che potesse essere sconfitto o che cedesse al Lato Oscuro. Luke, però, parte promettendo di tornare per completare l’addestramento. Il ragazzo giunge su Bespin e duella con Darth Vader, che gli rivela di essere suo padre e tenta di portarlo dalla sua parte, ma il giovane Skywalker è determinato a resistere. Viene recuperato giusto in tempo dal Millennium Falcon, guidato da Leila, Chewbacca e Calrissian, che erano riusciti a scappare. Infine insieme si dirigono verso la nuova base ribelle.

Il ritorno dello Jedi

L’Impero sta costruendo una nuova Morte Nera, che segnerebbe la fine della ribellione. Nel frattempo Luke si reca presso il palazzo di Jabba The Hutt e salva Han Solo, con l’aiuto di alcuni ribelli infiltrati. Fatto ciò, come promesso, il giovane Jedi fa ritorno su Dagobah per completare il suo addestramento. Lì trova Yoda, che gli dice che deve ancora fare un’ultima cosa per diventare uno Jedi: confrontarsi con Darth Vader. Inoltre il Grande Maestro riesce a comunicargli che c’è un secondo Skywalker, poi, data la vecchiaia, la vita lo abbandona. Obi-Wan appare a Luke e gli dice che, se necessario, dovrà uccidere Darh Vader, ma il giovane, una volta scoperto essere suo padre, non ne vuole sapere. Inoltre Kenobi gli rivela l’identità del secondo Skywalker: Leila. I due erano stati nascosti dal padre appena nati, poi divisi e affidati a persone diverse su pianeti diversi, affinchè l’imperatore non potesse trovarli. L’Alleanza Ribelle scopre che la nuova Morte Nera si trova sulla luna boscosa di Endor. Pur non essendo ancora del tutto operativa, la seconda Stazione Imperiale è protetta da uno scudo di energia situato sulla luna; distruggere quel generatore è fondamentale se si vuole attaccare la Morte Nera. Pertanto Luke, Chewbacca, Leila e Han si recano su Endor per disattivare lo scudo energetico, per poi permettere alla squadriglia di Ala-x, i caccia ribelli, di attaccare. Darth Vader percepisce la presenza di Luke sulla luna e decide di recarsi lì per catturarlo. Tuttavia anche il giovane Jedi avverte il pericolo incombere, quindi, per salvare i suoi amici, opta per consegnarsi al padre. Il giovane rivela ciò che ha appreso a Leila, che rimane esterrefatta e non vuole che il fratello vada da Lord Vader, ma lui è determinato nella sua intenzione: portare il padre nuovamente sulla via dei Jedi. Tuttavia il tentativo si rivela fallimentare  e Luke viene condotto sulla Morte Nera dall’Imperatore, che tenta di convircerlo di passare al Lato Oscuro. Nel frattempo i ribelli su Endor non sono riusciti a distruggere lo scudo e l’attacco degli Ala-x si sta trasformando in un suicidio. Il giovane, nonostante stia vedendo il fallimento dell’Alleanza, né cede né vuole duellare col padre. L’Imperatore, scocciato, è deciso a uccidere lo Jedi, ma Vader, mosso dai sentimenti per il figlio, si rivolta al despota e lo butta direttamente nel reattore principale della Morte Nera, la quale inizia a collassare. Vader è in fin di vita per il duello col potente Imperatore e, per la prima volta, si leva la maschera e guarda con i suoi occhi suo figlio. Luke ci è riuscito: ha fatto tornare in vita Anakin Skywalker, che si celava dietro Darth Vader. Il giovane Jedi prende il corpo ormai senza vita del padre, lo mette su una navetta e scappa appena prima che la Morte Nera esploda. Una volta giunto sul pianeta ribelle, iniziano i festeggiamenti per la vittoria e poi vi è il funerale del padre di Luke. Proprio in quel momento appaiono Obi-Wan, Yoda e Anakin Skywalker da giovane. L’imperatore è morto assieme a Darth Vader, mentre lo spirito di Anakin rimarrà per sempre. L’Alleanza Ribelle ha segnato così il declino dell’Impero Galattico, che, di lì a poco, cadrà definitivamente.

Niccolò Parisi, Cavanna Margherita, Raimondo Giulia, 1A Classico

Le Piccole donne di Greta Gerwig prenotano l'Oscar 2020 - Amica

Piccole Donne è un film diretto da Greta Gerwig e uscito nel 2019 e il 9 gennaio 2020 in Italia.

Ispirato all’omonimo libro della scrittrice statunitense Louisa May Alcott, nota principalmente come l’autrice della tetralogia di libri per ragazzi Piccole donne composta da due volumi usciti rispettivamente nel 1868 e nel 1869 ed editi dalla casa editrice Roberts Brothers.

Il film, stupefacente già solo per il cast che lo compone, tratta della storia delle quattro sorelle March, Meg (Margaret), Jo (Josephine), Beth (Elizabeth) e Amy, le quali vivono nella loro casa a Concord (USA) insieme alla madre (Marmee March), mentre il padre è in guerra come cappellano del fronte.

La protagonista principale, proprio come nel romanzo, è Jo March (Saoirse Ronan), giovane insegnante che tenta di farsi strada nel mondo della scrittura senza però ottenere grossi risultati per il semplice fatto di essere donna. Ma nonostante sia lei il personaggio principale, nella trama spiccano anche le quattro sorelle con le loro vite fatte di amori e di difficoltà, di sofferenze e di esperienze.

Oscar 2020: Piccole Donne conquista l'Academy e ottiene 6 nomination! -  Movieplayer.it

Caratteristiche presenti nel romanzo autobiografico in cui emergono difatti le difficoltà economiche della scrittrice che, nonostante un’egregia istruzione privata, fu costretta a lavorare fin da giovane come insegnante occasionale o sarta; così come ad influire nel cambiamento psicologico della donna è la morte della sorella Lizzie, per non parlare del fatto che all’epoca essere una donna non era facile, soprattutto se si voleva far carriera come Louisa May Alcott-Josephine March. 

Un film che rispecchia in tutto e per tutto il libro della Alcott, con una sola differenza: il tempo della storia, infatti il film non inizia a Natale come il romanzo. Nonostante ciò rimane un capolavoro coinvolgente, degno di nota per la gradevolezza e la pura bellezza che trasmette.

A dimostrarlo sono i numerosi premi vinti come il Critics’ Choice Movie Award alla migliore sceneggiatura o il New York Film Critics Circle Award alla miglior attrice non protagonista per citarne solo alcuni e le varie candidature (Oscar al miglior film e alla migliore colonna sonora, Critics’ Choice Movie Award al miglior compositore e al miglior cast, Golden Globe per la migliore colonna sonora originale, Producers Guild of America Award alla migliore produzione di un lungometraggio cinematografico… )

De Ghetaldi Emma, Gonella Laura, 1 B Classico

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Tenshi no tamago (天使のたまご lett. “L’uovo dell’angelo”) è un film d’animazione del 1985, scritto e diretto dal regista Mamoru Oshii, disegnato dall’artista Yoshitaka Amano e prodotto dallo Studio Deen e dalla Tokuma Shoten.

Si tratta del primo lavoro di Oshii come regista indipendente e molti dei tratti caratteristici del suo lavoro appaiono qui per la prima volta al punto che, in un articolo di Senses of Cinema, Richard Suchenski, ha affermato che la pellicola si può considerare come una sorta di Stele di Rosetta per interpretare le sue opere successive.

Il film, che narra la storia dell’incontro tra una bambina e un viaggiatore in una terra in rovina e che è incentrato sul mistero dell’uovo da lei trasportato, fa poca leva sui dialoghi ed è disseminato di simboli e citazioni bibliche.

La storia è ambientata in un mondo buio e desolato, in particolare nei pressi di una città abbandonata, dallo stile gotico. Alla fine del film, la terra su cui si muovono i due protagonisti si rivela essere solo un punto simile allo scafo di una grande arca, in mezzo all’oceano.

In base alla storia raccontata nel corso del film è presumibile che questo mondo sia il risultato di una versione alternativa della storia biblica del diluvio universale, in cui la colomba mandata a cercare terra non ha più fatto ritorno, le persone hanno dimenticato del mondo prima del diluvio e tutti gli animali si sono trasformati in pietra.

Anche i personaggi, solo due, possiedono caratteristiche legate al mondo religioso.

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L’uomo, simbolo della fede perduta, è un soldato che trasporta un’arma a forma di croce. Nonostante non ci siano prove concrete, l’uomo vuole probabilmente rappresentare Gesù, non solo per via delle sue ferite sulle mani, nello stesso punto in cui Gesù è stato crocifisso, ma anche per il suo ruolo nella storia, nella quale mette a costante prova la fede della bambina. Sembra alla ricerca della sua identità e mette in discussione la propria esistenza e quella del mondo che lo circonda.

La bambina, simbolo di purezza e di completa fede, protegge costantemente un uovo misterioso. Vive da sola vicino a una città abbandonata e raccoglie giorno dopo giorno l’acqua del fiume in bocce che poi conserva nel suo rifugio. Il numero elevato di ampolle lì presenti fa intendere che si trovi in quel posto da molto tempo.

La sua propensione a proteggere l’uovo di cui non conosce il contenuto simboleggia inoltre la fede cieca della sua innocenza e purezza.

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Un’altra rappresentazione di questa fede cieca è data da una scena in cui delle statue di pescatori d’un tratto si ravvivano per inseguire e cercare in vano di colpire con degli arpioni quelli che credono essere pesci, ma che sono in realtà solamente delle ombre.

Anche loro, proprio come la bambina, compiono quest’azione senza dubitare della loro esistenza. È inoltre da
far notare che i pesci sono spessi visti come simboli del Cristianesimo e che nella Bibbia i fedeli di Dio erano spesso chiamati pescatori.

Una fede però la loro non pura, ma al contrario simbolo di come la fede e la religione siano ahimè spesso cause di conflitti fra gli uomini. I pescatori infatti, completamente accecati dalla fede al punto di dimenticare l’idea stessa, continuano a cercare di catturare i pesci senza badare alle conseguenze.

Serio e colmo di simbolismo, Angel’s egg riesce a creare atmosfere cupe anche senza l’utilizzo di musica e con un dialogo minimo.

Caratteristica quest’ultima che può rendere il film pesante e difficile da comprendere, ma talmente ricco di dettagli e significati nascosti da renderlo coinvolgente e apprezzabile dal vasto pubblico che ama questo genere di trame.

Porcedda Gandolfo Alice, Buzi Sara, Garibbo Sofia, 2 A Classico

Laurence Anyways - Film (2012) - MYmovies.it

Laurence Anyways (2012) – il terzo tra i lungometraggi realizzati dal giovanissimo Xavier Dolan – si potrebbe banalmente catalogare come la rappresentazione del percorso di transizione di Laurence che, da uomo, decide di riconoscersi come donna.

Complessivamente, però, sarebbe forse più corretto considerarlo la rappresentazione di due persone che si amano ma che non possono più stare insieme, sebbene non riescano ad accettarlo.

Il percorso di cambiamento di Laurence (Melvil Poupaud) è tallonato dagli stravolgimenti che vive Fred (Suzanne Clément) a seguito di questa svolta nell’uomo amato. Nella loro vita di coppia fatta di risate simbiotiche, elettrica libertà ed esuberanza si impone una necessità di quiete; lo stesso silenzio che chiede Laurence a Fred per trovare il coraggio di dichiararle ciò che pensa, mentre lei, euforica come sempre quando sono insieme, non riesce a zittirsi.

La transizione di Laurence sembra passare quasi inosservata negli eccentrici anni Ottanta: i suoi studenti la accettano all’istante, amici e colleghi la supportano e si interrogano con ammirazione sulla sua esperienza.

Ma passerà poco tempo prima che Laurence si renda conto di essere in realtà diventata una creatura ai margini della società. In modo bruto e violento verrà infatti allontanata, sia metaforicamente che letteralmente, a più riprese nel corso del film, e la sua condizione le crollerà addosso inaspettatamente, di colpo: “ecce homo”, come lei stessa esplicita dopo uno dei primi segnali di scherno che le saranno rivolti, ingiustamente condannata per la sua condizione esistenziale.

Laurence sceglie di rifugiarsi dalla sua compagna, trovandosi allontanato anche dalla famiglia di provenienza. Se la madre fatica a comprenderla, tra Laurence e il padre sembra frapporsi una cortina d’incomunicabilità.

Laurence Anyways e il desiderio di una donna... - Wikipedia

Sebbene all’inizio si dimostri reticente a comprendere, Fred sceglie di sostenere Laurence nella sua scelta. Anche lei ostacolata dalla madre e dalla sorella, che non comprendono la sua scelta, decide di cullare la persona amata in questa fase così critica della sua vita.

Fred la vizia, la rallegra, le promette di essere al suo fianco nella sua rivoluzione; ma, suo malgrado, nonostante la buona volontà, non riesce a reggere la pressione del contesto. Fred cerca momenti di riflessione, si allontana a più riprese da Laurence per poi tornare, dopo aver raccolto le forze.

In uno di questi momenti, quello dell’eccentrica festa detta Cinébal, Fred si traveste per concedersi un momento di
evasione e spensieratezza. Il suo gesto assume però un valore completamente diverso da quello di Laurence: per la prima il travestimento è una parentesi di divertimento, per la seconda la trasformazione è una necessità interiore.

Già l’inizio del film anticipa l’atmosfera che caratterizzerà i minuti successivi. L’inizio, un dialogo su sfondo nero che precede il visivo, può facilmente risultare simbolico: le immagini si svelano difatti a poco a poco, così come fa Laurence nel corso del film.

Laurence Anyways – Dostoevskij e dintorni

Il regista, anche sceneggiatore, sceglie di non mettere in scena il momento in cui Laurence confessa alla compagna di voler diventare donna. Lo spettatore vede solo il prima e il dopo, senza poter assistere all’evento scatenante.

Una scelta che, per quanto azzardata possa apparire, permette di percepire le conseguenze del momento come ulteriormente inaspettate e caustiche: nessun crescendo ci porta a quell’esplosione, motivo per cui appare ancora più forte.

Terzo film del promettente giovane autore e regista canadese, Laurence Anyways è il primo in cui non recita (se si esclude un quasi impercettibile cameo nella scena del Cinébal).

Dolan, già noto per la sua abitudine a lavorare con determinati interpreti che si ripetono nei suoi film, sceglie in questo caso di collaborare con alcune delle sue “attrici feticcio”: Suzanne Clément (qua Fred), già comparsa nel film d’esordio Ja’i Tué Ma Mère e in Mommy, e Monia Chokri (Stéfanie Belair, sorella di Fred), co-protagonista assieme allo stesso Dolan in Les Amours Imaginaires.

Troviamo inoltre alcuni temi e situazioni narrative cari al regista, come il topos dell’incomunicabilità, i dialoghi urlati (qua come in J’ai Tué Ma Mère) e l’espediente del tè riconciliatorio (qua tra Fred e Laurence, in Les Amours Imaginaires tra Francis e Marie).

Non meno importanti, molti stilemi registici tipici di Dolan compaiono anche in questo lungometraggio, come il ricorso al ralenti e l’insistenza sui primi piani. Soprattutto, troviamo in Dolan la tendenza a esplicitare sensazioni e metafore: ad esempio, quando Fred è sconvolta, il regista sceglie di ritrarla imperturbabile, nel suo elegante salotto, mentre un travolgente getto d’acqua proveniente dall’alto la colpisce.

Probabilmente, proprio il suo stile ben definito e la sua vicinanza a temi della comunità LGBT+ lo rendono il regista più idoneo a narrare per immagini una vicenda del genere, creando una commistione di intimità e lirismo, fragilità e passioni viscerali che caratterizzano Laurence Anyways, rendendolo unico nel suo genere.

Eleonora Noto

The Five Coolest Scenes From the Harry Potter Movies That Weren't In the  Books - Willamette Week

Nicholas Edward Cave, in arte Nick Cave, è un compositore australiano e autore, durante un periodo mesto e malinconico della sua vita, di O Children (2004).

Fondatore assieme a Mick Harvey della band Concrete Vulture e rinominata in seguito Boys Next Door, pubblica il suo primo brano di successo Door Door raggiungendo la fama a livello internazionale.

Un successo che ahimè si trasforma in un giudizio a dir poco critico quando trasferitosi a Londra con la band ormai nominata The Birthday Party diventa noto per l’esuberanza animalesca sul palco e per i concerti rissosi, dovuti perlopiù all’abuso di alcool e di droga. Situazione che porta la band a sciogliersi nel 1983.

“The cleaners are coming, one by one” ossia I pulitori stanno arrivando uno a uno dice O Children, il brano che parla della deportazione nazista nei campi di concentramento dal momento iniziale, quello del viaggio sul treno della morte.

Il significato della canzone è molto profondo: il testo sembra infatti una sorta di discorso fatto dagli adulti ai bambini, prima del viaggio verso il campo di lavoro, un viaggio senza ritorno, un viaggio verso la morte.

A colpire, oltre alle parole del testo, è il ritmo malinconico di questo brano musicale, dal quale emergono le difficoltà e le paure, ma allo stesso tempo la voglia di reagire, di viver.

Il messaggio è infatti l’amore che trionfa nonostante tutto e la speranza di una vita ricca di gioia e di serenità.

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Nel discorso ai bambini, gli adulti a tratti nascondono loro la verità, descrivendo il viaggio come una gita verso un regno, a tratti invece chiedono scusa, sia per i momenti e le liti in famiglia, sia per il futuro che aspetta ai propri figli e nipoti, un futuro incerto e pieno di sofferenze.

Matt Biffa, supervisore musicale di Harry Potter and the Deathly Hallows: Part 1, ha spiegato in un’intervista di aver scelto questo brano come colonna sonora del film perché si identificava con i suoi testi a livello personale, poiché si stava separando dalla moglie in quel momento ed era preoccupato come questa situazione avrebbe influenzato i loro due figli piccoli:

«C’era qualcosa di veramente edificante in O Children , con frasi come rallegrati / alza la tua voce e tutte quelle cose. Stavo pensando ai miei figli. I testi dicono Perdonaci per quello che abbiamo fatto».

Un brano malinconico e capace di far riflettere, ancor più famoso e celebre tra le nuove generazioni per la scena del ballo tra Harry e Hermione nel film Harry Potter and the Deathly Hallows: Part 1, rimasta alla memoria del pubblico come momento cult dell’intera pellicola.

Muca Gloria, Ricca Lorenzo Linceo, Lanteri Matilde, 1 A Classico


Psycho (1960) - Rotten Tomatoes

Psycho, o meglio conosciuto in Italia come Psyco, è un thriller americano realizzato nel 1960 dal regista Alfred Hitchcock.

Un vero e proprio capolavoro, tanto da essere passato alla storia come un effettivo cult movie, al quale furono successivamente ispirate altre pellicole.

Il film vede come sua protagonista Marion Crane (Janet Leigh), giovane e bella segretaria di un’agenzia immobiliare, la quale ha intrapreso da diverso tempo una relazione sconosciuta agli occhi del mondo con Sam Loomis (John Gavin), imprenditore e proprietario di una ferramenta non molto distante dalla città di residenza della propria amata, ovvero Phoenix, in Arizona.

Tutto ha inizio l’11 novembre 1959 quando Marion, in seguito a uno dei suoi soliti incontri segreti con Sam durante la pausa pranzo, fa ritorno presso il proprio ufficio, luogo in cui ha occasione di assistere a un ottimo successo lavorativo del proprio capo che si è concluso con un affare di £ 40.000 per l’acquisto di un’abitazione.

Alla protagonista è affidato il compito di portare tale cifra di denaro in banca, mansione che tuttavia non svolgerà mai in quanto, grazie alla scusa di una terribile emicrania, riesce ad ottenere un pomeriggio di ferie che sfrutterà per fuggire verso la città dove risiede il proprio compagno.

A causa di un’improvvisa e violenta pioggia però la ragazza non giungerà mai a destinazione in quanto si imbatterà nell’insegna del Bates Hotel, luogo in cui avverrà il suo memorabile assassinio.

Omicidio rimasto nella storia del cinema, ma soprattutto nella memoria collettiva per la cosiddetta “scena della doccia”, leggendaria e ancora oggi da brividi.

78/52, la scena della doccia di Psycho, la lezione di Alfred Hitchcock |  CameraLook

Una scena in cui il regista, astuto e di mestiere, non inquadra mai l’evidente accoltellamento della ragazza, ma lo lascia intendere allo spettatore contribuendo così all’alimentazione dello scenario di tensione che caratterizza l’intero film.

E ancor più indimenticabile perché inscritta nella sfida economica che Hitchcock dovette affrontare per la produzione della famosa pellicola. Il regista infatti dovette girare un film di qualità con mezzi limitati e in una forbice temporale ristretta.

Psycho infatti si ispirò all’omonimo romanzo di scarso valore dello scrittore Robert Block, tradotto in italiano come Il passato che urla, il quale vede come suo protagonista un serial killer realmente esistito, ovvero Edward Gein, il quale, sempre presso il territorio statunitense, uccise due persone e fece dei loro corpi degli ornamenti per la propria dimora.

La casa di produzione cinematografica Paramount Pictures, la quale aveva con Hitchcock un contratto per la realizzazione di un altro film, rifiutò, proprio per l’insuccesso del romanzo, l’offerta mossa dal regista di comprare i diritti cinematografici del thriller di Bloch.

Ecco che quindi Hitchcock si vide costretto a provvedere al loro acquisto autonomamente, spendendo oltre 10 mila dollari.

Scelta rischiosa che lo spinse a rendere il film meno violento di come lo aveva inizialmente immaginato dalla lettura del romanzo, pur di avvalersi del finanziamento della Paramount la quale, con un budget di appena $ 806. 947 e un limitato lasso di tempo, decise infine di cedere alle richieste del maestro.

Psycho” e l'emozione di massa del cinema autoriale | Cinefilia Ritrovata |  Il giornale della passione per il Cinema

In cambio il regista assicurò il bianco e nero, in quanto un film a colore avrebbe rischiato di essere troppo crudo e violento verso lo spettatore.

Le riprese ebbero luogo presso un’ambientazione appartenente alla Universal Studios, precedentemente impiegata per la realizzazione del film, situata ad Hollywood nella quale l’edificio dall’architettura gotica, ispirato al quadro The House by the Railroad (1925) di Hopper, si palesa come protagonista. 

Nelle immagini del film non si può fare a meno di notare la penna del maestro, la quale si manifesta grazie all’attenzione psicologica circa i fatti illustrati: il regista infatti scelse volontariamente di attribuire poca importanza alla personalità e al carattere dei personaggi per concentrarsi sulla creazione di un’atmosfera di suspense a partire da elementi quasi del tutto insignificanti e attraverso la perfetta coniugazione di strumenti cinematografici.

Interessante è il ricorso al tema del doppio ad esempio, tipico della produzione cinematografica del regista, con lo scopo di attirare a sé l’attenzione dello spettatore: la sessualità intesa come peccato o massima espressione dell’amore, il bianco contrapposto al il nero, la follia all’accortezza, la confusione mentale alla chiarezza del pensiero ecc…

Uno dei motivi per cui Psycho ha riscontrato tale successo, come attesta il ricordo collettivo, oltre al Premio Oscar di cui si è avvalso nel 1961, è stato sicuramente il significato psicologico che sta dietro alla trama.

78/52, la scena della doccia di Psycho, la lezione di Alfred Hitchcock |  CameraLook

Dando uno sguardo più profondo e attento ai dettagli – anche a quelli più apparentemente insignificanti – si può infatti notare come il film lavori nella nostra mente senza che noi ce ne rendiamo conto.

Ciò su cui l’autore ha mirato principalmente a far leva è la sensibilità.
Il film in sé, per quanto ci possa sembrare assurdo, negli anni Sessanta era qualcosa di terrificante.

Per comprendere l’importanza della reazione e della volubilità degli spettatori basti pensare alla scelta del bianco e nero o al taglio di scene ancor più crude.

Uno sguardo accurato incide sui personaggi e in particolare a quello di Norman Bates (Anthony Perkins), protagonista dell’intera vicenda.

È un soggetto con molteplici disturbi, causatogli dai vari problemi familiari. La mancanza del padre in età infantile lo ha condotto ad attaccarsi in maniera eccessivamente morbosa alla madre, sviluppando con ella una sorta di complesso edipico.

Norman è infatti invidioso del compagno della madre e dopo la morte della stessa inizia a provare una forte pazzia che lo porta a travestirsi, atteggiarsi e, addirittura, parlare come la figura materna.

Un comportamento a dir poco agghiacciante capace di aiutare il giovane uomo a staccarsi dalla realtà e, nella sua testa, a riportare in vita la defunta madre.

Questo travestimento diventa talmente risonante da impossessarsi di lui diventando un acceso e pesantissimo disturbo della personalità.

La “madre” dunque desidera essere l’unica donna nella vita di Norman, sviluppando una gelosia tale da uccidere qualunque signora accanto al figlio.

Considerato dalla critica come il “capostipite” dei generi horror e thriller, non è un caso che Hitchcock sia da molti definito il Mozart dell’arte cinematografica.

Rossi Giulio, Rossi Eleonora, Zerbone Stefanì Ginevra, 2 A Classico

Amour", Storia d'Amore e Distruzione - RECENSIONE (M. Haneke, 2012)

Esiste una poesia molto celebre nel patrimonio lirico italiano: scritta per mano di Eugenio Montale, esordisce con un intenso e pregnante “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto a ogni gradino”.

L’abbiamo sentita sin da bambini, quando ci veniva proposta con l’aura che possono vantare solo i beni più preziosi, elogiata dagli insegnanti e citata dagli adulti.

Abbiamo finito, probabilmente, per evocarla rapidamente studiandola alle scuole superiori, recitando i primi due versi con l’intonazione di un’infantile filastrocca, una nenia svuotata di significato.

L’abbiamo letta, parafrasata, studiata, talvolta anche un po’ odiata, abbiamo continuato a intonarne solo l’inizio come una cantilena, ma probabilmente non l’abbiamo mai veramente compresa.

Poi, però, è arrivato Amour (2012).

La regia di Michael Haneke, priva di orpelli sentimentalisti ma sempre molto bruscamente reale, ci trasporta nella vita di un’anziana coppia legata indissolubilmente.

Per la prima volta, negli sguardi che Georges (Jean-Louis Trintignant) riserva ad Anne (Emmanuelle Riva), percepiamo il tono che giaceva sotto alle parole usate da Montale in seguito alla scomparsa della moglie: entrambi portano, ognuno a modo proprio, il fardello del vedere l’amata di una vita dissolversi di fronte a sé.

Sentendo Anne spegnersi lentamente al suo fianco, Georges lotta instancabilmente affondando però al contempo nella più cupa delle disperazioni, poiché sa che (come per Montale) tra di loro “le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate” erano quelle della moglie.

Era lei a stimolarlo, ad aprirgli la porta verso mondi di arte e creatività, e quando lei non può più farlo Georges si trova smarrito.

L’uso della macchina da presa, da questo punto di vista, rende il turbamento di Georges ben visibile.

Le lunghissime inquadrature, che lasciano ben poco spazio al montaggio, creano un senso di staticità che appartiene allo stesso protagonista. Ora che la donna che ha sempre avuto al suo fianco si sta affievolendo, Georges è immobile, inerte fra le quattro mura della sua elegante casa.

Non a caso, la scelta di ambientare (dal momento in cui la vita di Anne si stravolge) l’intero film negli interni dell’abitazione sottolinea l’angoscia e l’oppressione dell’anziano marito. Da quando Anne perde se stessa, anche Georges si smarrisce, riducendosi all’immobilità e rinunciando al mondo esterno.

Il regista, Haneke, prima di girare questa pellicola era già noto al pubblico per lungometraggi quali Funny games (sia nella prima versione del 1997 che nel remake del 2007 ad opera dello stesso) o per il più recente ma altrettanto acclamato Il nastro bianco (2009).

L’attrice principale di questo film, Emmauelle Riva, già icona della Nouvelle Vague per il suo lavoro in Hiroshima mon amour (Resnais, 1959), unisce magistralmente eleganza e fragilità in questa interpretazione, la penultima della sua carriera.

Per stessa ammissione di Haneke, però, il film è stato scritto appositamente per Trintignant, l’interprete maschile principale. L’attore, che aveva già lasciato il cinema da nove anni per dedicarsi al teatro, torna sul set proprio per l’ammirazione nutrita nei confronti del regista.

Sarà proprio l’interprete a suggerire ad Haneke il titolo per il film, che verrà selezionato al posto degli altri pensati dal regista (la scelta altrimenti sarebbe stata ridotta ad un didascalico These two o a un più metaforico Music stops).

L’unica indicazione che Haneke ha fornito ai suoi attori, girando questo film, è stata quella di evitare sentimentalismi.

In questo modo, come risulta evidente allo spettatore, la narrazione e l’interpretazione rifuggono il patetismo, contribuendo a creare quell’atmosfera di cruda realtà mista a disperata fragilità che rende il film così degno di nota.

Eleonora Noto

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