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Tenshi no tamago (天使のたまご lett. “L’uovo dell’angelo”) è un film d’animazione del 1985, scritto e diretto dal regista Mamoru Oshii, disegnato dall’artista Yoshitaka Amano e prodotto dallo Studio Deen e dalla Tokuma Shoten.

Si tratta del primo lavoro di Oshii come regista indipendente e molti dei tratti caratteristici del suo lavoro appaiono qui per la prima volta al punto che, in un articolo di Senses of Cinema, Richard Suchenski, ha affermato che la pellicola si può considerare come una sorta di Stele di Rosetta per interpretare le sue opere successive.

Il film, che narra la storia dell’incontro tra una bambina e un viaggiatore in una terra in rovina e che è incentrato sul mistero dell’uovo da lei trasportato, fa poca leva sui dialoghi ed è disseminato di simboli e citazioni bibliche.

La storia è ambientata in un mondo buio e desolato, in particolare nei pressi di una città abbandonata, dallo stile gotico. Alla fine del film, la terra su cui si muovono i due protagonisti si rivela essere solo un punto simile allo scafo di una grande arca, in mezzo all’oceano.

In base alla storia raccontata nel corso del film è presumibile che questo mondo sia il risultato di una versione alternativa della storia biblica del diluvio universale, in cui la colomba mandata a cercare terra non ha più fatto ritorno, le persone hanno dimenticato del mondo prima del diluvio e tutti gli animali si sono trasformati in pietra.

Anche i personaggi, solo due, possiedono caratteristiche legate al mondo religioso.

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L’uomo, simbolo della fede perduta, è un soldato che trasporta un’arma a forma di croce. Nonostante non ci siano prove concrete, l’uomo vuole probabilmente rappresentare Gesù, non solo per via delle sue ferite sulle mani, nello stesso punto in cui Gesù è stato crocifisso, ma anche per il suo ruolo nella storia, nella quale mette a costante prova la fede della bambina. Sembra alla ricerca della sua identità e mette in discussione la propria esistenza e quella del mondo che lo circonda.

La bambina, simbolo di purezza e di completa fede, protegge costantemente un uovo misterioso. Vive da sola vicino a una città abbandonata e raccoglie giorno dopo giorno l’acqua del fiume in bocce che poi conserva nel suo rifugio. Il numero elevato di ampolle lì presenti fa intendere che si trovi in quel posto da molto tempo.

La sua propensione a proteggere l’uovo di cui non conosce il contenuto simboleggia inoltre la fede cieca della sua innocenza e purezza.

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Un’altra rappresentazione di questa fede cieca è data da una scena in cui delle statue di pescatori d’un tratto si ravvivano per inseguire e cercare in vano di colpire con degli arpioni quelli che credono essere pesci, ma che sono in realtà solamente delle ombre.

Anche loro, proprio come la bambina, compiono quest’azione senza dubitare della loro esistenza. È inoltre da
far notare che i pesci sono spessi visti come simboli del Cristianesimo e che nella Bibbia i fedeli di Dio erano spesso chiamati pescatori.

Una fede però la loro non pura, ma al contrario simbolo di come la fede e la religione siano ahimè spesso cause di conflitti fra gli uomini. I pescatori infatti, completamente accecati dalla fede al punto di dimenticare l’idea stessa, continuano a cercare di catturare i pesci senza badare alle conseguenze.

Serio e colmo di simbolismo, Angel’s egg riesce a creare atmosfere cupe anche senza l’utilizzo di musica e con un dialogo minimo.

Caratteristica quest’ultima che può rendere il film pesante e difficile da comprendere, ma talmente ricco di dettagli e significati nascosti da renderlo coinvolgente e apprezzabile dal vasto pubblico che ama questo genere di trame.

Porcedda Gandolfo Alice, Buzi Sara, Garibbo Sofia, 2 A Classico

Psycho (1960) - Rotten Tomatoes

Psycho, o meglio conosciuto in Italia come Psyco, è un thriller americano realizzato nel 1960 dal regista Alfred Hitchcock.

Un vero e proprio capolavoro, tanto da essere passato alla storia come un effettivo cult movie, al quale furono successivamente ispirate altre pellicole.

Il film vede come sua protagonista Marion Crane (Janet Leigh), giovane e bella segretaria di un’agenzia immobiliare, la quale ha intrapreso da diverso tempo una relazione sconosciuta agli occhi del mondo con Sam Loomis (John Gavin), imprenditore e proprietario di una ferramenta non molto distante dalla città di residenza della propria amata, ovvero Phoenix, in Arizona.

Tutto ha inizio l’11 novembre 1959 quando Marion, in seguito a uno dei suoi soliti incontri segreti con Sam durante la pausa pranzo, fa ritorno presso il proprio ufficio, luogo in cui ha occasione di assistere a un ottimo successo lavorativo del proprio capo che si è concluso con un affare di £ 40.000 per l’acquisto di un’abitazione.

Alla protagonista è affidato il compito di portare tale cifra di denaro in banca, mansione che tuttavia non svolgerà mai in quanto, grazie alla scusa di una terribile emicrania, riesce ad ottenere un pomeriggio di ferie che sfrutterà per fuggire verso la città dove risiede il proprio compagno.

A causa di un’improvvisa e violenta pioggia però la ragazza non giungerà mai a destinazione in quanto si imbatterà nell’insegna del Bates Hotel, luogo in cui avverrà il suo memorabile assassinio.

Omicidio rimasto nella storia del cinema, ma soprattutto nella memoria collettiva per la cosiddetta “scena della doccia”, leggendaria e ancora oggi da brividi.

78/52, la scena della doccia di Psycho, la lezione di Alfred Hitchcock |  CameraLook

Una scena in cui il regista, astuto e di mestiere, non inquadra mai l’evidente accoltellamento della ragazza, ma lo lascia intendere allo spettatore contribuendo così all’alimentazione dello scenario di tensione che caratterizza l’intero film.

E ancor più indimenticabile perché inscritta nella sfida economica che Hitchcock dovette affrontare per la produzione della famosa pellicola. Il regista infatti dovette girare un film di qualità con mezzi limitati e in una forbice temporale ristretta.

Psycho infatti si ispirò all’omonimo romanzo di scarso valore dello scrittore Robert Block, tradotto in italiano come Il passato che urla, il quale vede come suo protagonista un serial killer realmente esistito, ovvero Edward Gein, il quale, sempre presso il territorio statunitense, uccise due persone e fece dei loro corpi degli ornamenti per la propria dimora.

La casa di produzione cinematografica Paramount Pictures, la quale aveva con Hitchcock un contratto per la realizzazione di un altro film, rifiutò, proprio per l’insuccesso del romanzo, l’offerta mossa dal regista di comprare i diritti cinematografici del thriller di Bloch.

Ecco che quindi Hitchcock si vide costretto a provvedere al loro acquisto autonomamente, spendendo oltre 10 mila dollari.

Scelta rischiosa che lo spinse a rendere il film meno violento di come lo aveva inizialmente immaginato dalla lettura del romanzo, pur di avvalersi del finanziamento della Paramount la quale, con un budget di appena $ 806. 947 e un limitato lasso di tempo, decise infine di cedere alle richieste del maestro.

Psycho” e l'emozione di massa del cinema autoriale | Cinefilia Ritrovata |  Il giornale della passione per il Cinema

In cambio il regista assicurò il bianco e nero, in quanto un film a colore avrebbe rischiato di essere troppo crudo e violento verso lo spettatore.

Le riprese ebbero luogo presso un’ambientazione appartenente alla Universal Studios, precedentemente impiegata per la realizzazione del film, situata ad Hollywood nella quale l’edificio dall’architettura gotica, ispirato al quadro The House by the Railroad (1925) di Hopper, si palesa come protagonista. 

Nelle immagini del film non si può fare a meno di notare la penna del maestro, la quale si manifesta grazie all’attenzione psicologica circa i fatti illustrati: il regista infatti scelse volontariamente di attribuire poca importanza alla personalità e al carattere dei personaggi per concentrarsi sulla creazione di un’atmosfera di suspense a partire da elementi quasi del tutto insignificanti e attraverso la perfetta coniugazione di strumenti cinematografici.

Interessante è il ricorso al tema del doppio ad esempio, tipico della produzione cinematografica del regista, con lo scopo di attirare a sé l’attenzione dello spettatore: la sessualità intesa come peccato o massima espressione dell’amore, il bianco contrapposto al il nero, la follia all’accortezza, la confusione mentale alla chiarezza del pensiero ecc…

Uno dei motivi per cui Psycho ha riscontrato tale successo, come attesta il ricordo collettivo, oltre al Premio Oscar di cui si è avvalso nel 1961, è stato sicuramente il significato psicologico che sta dietro alla trama.

78/52, la scena della doccia di Psycho, la lezione di Alfred Hitchcock |  CameraLook

Dando uno sguardo più profondo e attento ai dettagli – anche a quelli più apparentemente insignificanti – si può infatti notare come il film lavori nella nostra mente senza che noi ce ne rendiamo conto.

Ciò su cui l’autore ha mirato principalmente a far leva è la sensibilità.
Il film in sé, per quanto ci possa sembrare assurdo, negli anni Sessanta era qualcosa di terrificante.

Per comprendere l’importanza della reazione e della volubilità degli spettatori basti pensare alla scelta del bianco e nero o al taglio di scene ancor più crude.

Uno sguardo accurato incide sui personaggi e in particolare a quello di Norman Bates (Anthony Perkins), protagonista dell’intera vicenda.

È un soggetto con molteplici disturbi, causatogli dai vari problemi familiari. La mancanza del padre in età infantile lo ha condotto ad attaccarsi in maniera eccessivamente morbosa alla madre, sviluppando con ella una sorta di complesso edipico.

Norman è infatti invidioso del compagno della madre e dopo la morte della stessa inizia a provare una forte pazzia che lo porta a travestirsi, atteggiarsi e, addirittura, parlare come la figura materna.

Un comportamento a dir poco agghiacciante capace di aiutare il giovane uomo a staccarsi dalla realtà e, nella sua testa, a riportare in vita la defunta madre.

Questo travestimento diventa talmente risonante da impossessarsi di lui diventando un acceso e pesantissimo disturbo della personalità.

La “madre” dunque desidera essere l’unica donna nella vita di Norman, sviluppando una gelosia tale da uccidere qualunque signora accanto al figlio.

Considerato dalla critica come il “capostipite” dei generi horror e thriller, non è un caso che Hitchcock sia da molti definito il Mozart dell’arte cinematografica.

Rossi Giulio, Rossi Eleonora, Zerbone Stefanì Ginevra, 2 A Classico

Vincent van Gogh, notte stellata > Artesplorando

La carriera di Vincent Van Gogh dura poco meno di dieci anni vista la morte avvenuta in età prematura. Pochi anni si direbbe, ma assolutamente florida in quanto realizza oltre novecento opere.

Soffriva di distrubi mentali, condusse una vita sregolata ma con i suoi capolavori ha influenzato profondamente le correnti artistiche dal XX secolo in poi.

Solitario e tormentato, istintivo e sensibile, egoista e violento, ha di fatto utilizzato l’arte come veicolo delle proprie emozioni e visioni.

Attraverso un’anima inquieta e una visione distorta della realtà è riuscito a dipingere prendendo a modello la pittura realista e usando come soggetto gli umili, i lavoratori dei campi, i minatori, le nature morte, i paesaggi e gli autoritratti.

Soggetti che caratterizzano le sue opere insieme alla ricerca dei colori, in particolare del “giallo cromo” che contraddistingue molte delle sue opere  come I girasoli e La casa gialla. Elementi importanti perché capaci di trasmettere a chi guarda queste opere la sua tormentata esistenza.

Definire lo stile di Van Gogh è davvero difficile: alcuni lo definiscono impressionista, altri post-impressionista, altri ancora espressionista. In realtà il suo è uno stile unico proprio perché caratterizzato da un’energia malinconica, misteriosa e a tratti tenebrosa.

Potrebbe essere definita la pittura delle emozioni contrastanti e questo emerge dal fatto che ogni ritratto, così come ogni paesaggio, assumono caratteristiche soggettive.

Una pittura perciò originale come si può notare da Notte stellata, un olio su tela realizzato nel 1889.

È uno dei dipinti più famosi di Van Gogh e rappresenta il vivace paesaggio notturno di un paesino della Provenza, le cui finestre, illuminate da luci artificiali, con un movimento a vortice ottenuto da circolari pennellate – simbolo di inquietudini interiori – , sono collegate alla luce della natura, proveniente dalla luna e dalle stelle.

Ed ecco che da una lettera scritta al fratello emerge la concezione che l’artista aveva della notte: viva e molto più colorata del giorno, caratteristica assolutamente evidente nell’opera.

L’inquietudine è qui proporzionata alla vastità del grande cielo blu: gli spazi sono colpiti dai raggi chiari della luna, rappresentata in modo stilizzato e accesa dal giallo dorato, stessa tonalità che rende protagoniste le stelle in contrasto al blu profondo del cielo.

Esse sembrano infatti piccole boe galleggianti in un mare notturno, trasportate da onde gigantesche nel turbine marino, quello di tutti noi spettatori che, abbagliati dalla notte stellata, viviamo emozioni senza tempo.

Fresia Pietro, 2 A Classico

Same Love | Discogs

Same Love, uscito nel 2012, e’ un brano musicale di Macklemore e Ryan Lewis, artisti americani molto conosciuti.

Macklemore – pseudonimo di Benjamin Hammond Haggerty – è nato nella città più piovosa d’America, Seattle, ed è cresciuto insieme ai suoi genitori fino al periodo del liceo, quando la coppia decide di separarsi.

Dopo aver seguito un corso sulle arti liberali, frequenta un programma focalizzato sull’identità culturale e l’educazione, grazie al quale scopre qualche segreto per raggiungere più facilmente il pubblico musicale, composto prevalentemente da giovani.

Nonostante la sua non sia una famiglia di musicisti, i suoi cari hanno sempre approvato la sua scelta di diventare cantante in quanto già da bambino dimostrava un grande interesse verso la musica.

Si racconta infatti che già all’età di sei anni avrebbe cantato la sua prima canzone hip hop e di come da ragazzo amasse trascorrere i weekend in tenda con gli amici ad ascoltare radio e a fare mixtape di canzoni.

Anche Ryan Lewis nasce nello stato di Washington, dove frequenta la Ferris High School per poi diplomarsi alla Roosevelt High School di Seattle e laurearsi presso la University of Washington.

Dopo essere diventato un importante fotografo professionista inizia nell’estate del 2006 a lavorare con il rapper Macklemore, instaurando con lui una forte amicizia oltre alla collaborazione lavorativa che emergerà fortemente dal 2008, anno in cui nasce la Macklemore & Ryan Lewis.

Collaborazione musicale caratterizzata dalla produzione di diversi album e dal raggiungimento di numerosi riconoscimenti come ad esempio quattro Grammy Award, tra cui uno al miglior artista esordiente, due American Music Awards, due Billboard Music Awards e due MTV VMAS.

Tornando a Same Love, questo può considerarsi un brano dedicato al supporto dei diritti gay e della legalizzazione dei matrimoni omosessuali.

È presente difatti un riferimento al “Washington Referendum”, una riforma in merito all’approvazione o all’abrogazione della legge del Febbraio 2012 che legalizzò i matrimoni omosessuali nello stato di Washington.

Il testo in sé parla di uguaglianza dell’amore tra tutte le persone, di qualunque sesso esse siano. Nel video musicale analogo viene narrata infatti la storia di un ragazzo e delle difficoltà che deve affrontare quotidianamente insieme al suo compagno.

Con questo componimento gli artisti erano indubbiamente intenzionati a diffondere un messaggio di rivoluzione dell’hip hop su questo tema, il quale tra l’altro emerge dalla copertina del singolo, in cui sono ritratti lo zio di Macklemore con il suo compagno.

In conclusione possiamo affermare che oltre a toccare un tema delicato, accompagnato da una melodia orecchiabile e molto efficace nella sua leggerezza, questa canzone può divenire fonte di ispirazione per la sensibilizzazione di questa tematica, ancora oggi in alcuni paesi discriminata e accantonata.

Cresta Elisabetta, Maraucci Giada, Dedej Giorgia, 2 A Classico

CHIARA FERRAGNI ACCUSATA DI PLAGIO • MVC Magazine

Chiara Ferragni… ormai il suo nome è conosciuto da anni, e si direbbe per svariati motivi: lo si conosce per il suo brand, per il suo lavoro, per The blonde salad, ma soprattutto perché è ad oggi uno dei pilastri della moda internazionale.

Possiamo dire infatti che è stata, ed è attualmente una delle primissime influencers a livello mondiale, proprio perché ha avuto l’intuito, se così vogliamo definirlo, di capire che la società era in piena fase di trasformazione e che il digitale sarebbe diventato il nuovo mondo reale.

Un contesto che l’ha spinta ad aprire il suo profilo instagram nel gennaio 2012 e che ad oggi conta ben 22.5 milioni di followers.

Chiara è difatti dotata di un carisma e di una semplicità che la rendono unica nel suo genere e che l’hanno fatta apparire per quella che tutti noi conosciamo: semplicemente se stessa, che è anche il segreto per piacere o meno alla gente.

Non c’e bisogno di spiegare come sia divenuta l’imprenditrice digitale più influente al mondo, ma sappiamo benissimo che in qualsiasi cosa faccia ci mette il cuore e la passione, mezzi fondamentali per riuscire a raggiungere i propri obiettivi.

A dimostrazione della grandezza mediatica di cui è dotata è ad esempio il record di incassi raggiunto dal docu-film Chiara Ferragni-Unposted uscito nelle sale cinematografiche nel 2019, in cui emerge una biografia completa dell’influencer, accompagnata da molti video realizzati dalla madre Marina di Guardo, i quali racchiudono gli anni della gioventù della figlia e i momenti più intimi e famigliari.

Ma andiamo a vedere nel dettaglio come nasce Chiara Ferragni…

Nell’ottobre 2009 apre un blog dedicato alla moda e intitolato The Blonde Salad, in collaborazione con l’ex fidanzato Riccardo Pozzoli, inizialmente geloso per le conseguenti foto pubblicate sul web.

Nonostante ciò però il progetto viene avviato, e addirittura il fidanzato sarà il primo grande sostenitore di Chiara, il quale si dedicherà a fotografarla in prima persona spronandola a dedicarsi al fashion blog.

Così, con un investimento iniziale di circa 500 euro, necessari per l’acquisto di una macchina fotografica e del dominio Internet, il blog inizia a mietere successi, complice anche l’aspetto fisico della Ferragni, tipica ragazza acqua e sapone.

All’inizio nel suo blog la giovane studentessa lombarda racconta la sua vita che si divide tra Milano, dove studia e vive durante la settimana, e Cremona, dove torna ogni week-end per stare insieme alla famiglia, protagonista anch’essa nella vita mostrata sui social.

Successivamente, con il passare del tempo, Chiara si concentra soprattutto sui suoi outfit, sui vestiti che compra e sui consigli di moda che dispensa a lettori e lettrici.

Nel 2013 arriva anche il momento di un e-book dal titolo The Blonde Salad, al quale seguirà l’anno successivo un fatturato di circa 8 milioni di dollari, che diventeranno più di 10 nel 2015.

Anno in cui, tra l’altro, Chiara Ferragni è oggetto di studio da parte della Harvard Business School dimostrando così di aver capito prima di altri che il cambiamento economico/sociale si stava sviluppando.

Conosciuto in tutto il mondo, The Blonde Salad oggi non è solo un semplice blog sulla moda, ma è anche un punto di riferimento nel settore del fashion: un mix di stile e ispirazione, che ha portato la blogger da un lato a collaborare con le più note e prestigiose luxury & fashion brand, dall’altro ad affermarsi come opinion maker e modella sulle riviste internazionali.

Tanto che la fashion community l’ha definita “una delle figure più influenti dell’intero panorama della moda”, nomina confermata se si pensa al fatto che la Ferragni negli ultimi anni è diventata anche una stilista di successo disegnando e firmando diverse collezioni, e allo stesso tempo testimonial per importanti case di moda come ad esempio Lancôme.

Caratteristica non da poco quest’ultima perché il suo volto è capace di avvicinare un grande numero di acquirenti ai vari brand da lei pubblicizzati.

Insomma un’imprenditrice, una mamma e una donna di successo, ma soprattutto dalle mille risorse!

Semplicemente… il fenomeno Ferragni!

Calzia Gabriele, Fassio Ilaria, Gagliardi Marttina, 2 A Classico


Red Hot Chili Peppers - Californication, il video che anticipò GTA

Californication, brano dei Red Hot Chili Peppers pubblicato l’8 Giugno 1999 in collaborazione con la casa discografica Warner Records, appartiene all’omonimo album Californication.

Un pezzo molto apprezzato in tutto il mondo per la sua musicalità e per il suo essere completamente privo di filtri.

Nel giro di pochissimo tempo ha infatti raggiunto più di un milione di vendite, vincendo il Disco di platino in Italia e il Disco d’oro in ben tre paesi: gli USA, la Danimarca e il Regno Unito.

Da un punto di vista musicale, il pezzo è classificabile come funky alternative rock presentando un ritmo e un metronomo relativamente lenti se comparati ad altri pezzi degli stessi autori come Can’t Stop, o Scar Tissue.

Buy "Californication" - Red Hot Chili Peppers - Microsoft Store

Tuttavia, se combinato con il video musicale, acquisisce il sound funky tipico dei Red Hot, con una chitarra accattivante e una coordinazione del basso elettrico che sviluppa la sua parte principalmente in arpeggi di accordi con la batteria unica i quali, verso la fine del brano, hanno persino il loro spazio da “solisti”, per quanto non facciano improvvisazioni come nel vero jazz.

In generale, il pezzo è perfettamente a metà tra jazz e pop, ed è a parer nostro il vero capolavoro del suo album.

Emerge inoltre un significato implicito molto profondo e interessante da frasi come It’s the edge of the world and all of Western civilization o The sun may rise in the East at least it’s settled in a final location, per citarne solo alcune.

Tutte frasi che sembrano indicare uno stesso concetto: l’occidentalizzazione del mondo che sta avvenendo sempre più velocemente e la conseguente perdita del valore dell’autenticità.

Il testo lascia intendere come ormai la cultura americana sia “il sole del mondo” , come ogni altra cultura stia prendendo spunto da essa e come il mondo intero stia perciò acquisendo un ritmo sempre più serrato, cadendo in una spirale di falsi sogni e fantasie irrealizzabili.

La canzone inoltre insiste su una similitudine: l’industria dei film, quindi Hollywood, nota località nel cuore di Los Angeles (California), sta ad indicare come gli Stati Uniti siano la terra delle Meraviglie per tutti, tranne che per chi ci vive.

Riguardo al video musicale ciò che salta di più all’occhio è sicuramente l’ambientazione in cui i quattro membri del gruppo sono inseriti, la quale è palesemente ispirata a videogames come il celeberrimo Grand Theft Auto.

Il video infatti si apre con l’inquadratura su un menu di selezione dei personaggi che riprende quelli tipici dei videogiochi anni ‘90. Il chitarrista John è il primo ad apparire, correndo per la famosa Walk of Fame di Hollywood; la sua sequenza, come tutte le altre, si conclude quando afferra il logo dei Red Hot Chili Peppers.

Dopo un breve intermezzo dove il gruppo in carne ed ossa suona in cima ad una collina, intento a fare snowbard si presenta Chad, il batterista del gruppo, il quale però, cadendo da un burrone, si ritrova ad atterrare su un treno in corsa.

Il terzo, in una tipica ambientazione surreale è il cantante Anthony, riprso mentre nuota in mezzo a degli squali. Completa il cerchio in corsa Flea, il bassista, intento a tirare pugni a persone, alberi e orsi.

La scelta in pieno stile videogame chiaramente legata al tema della canzone. I membri della band infatti compiono azioni totalmente impensabili e irrealistiche, azioni che, nell’immaginario collettiv, sono irrealizzabili dovunque… meno che in America.

Amoretti Francesco, Barberis Francesco Marcos e Ramoino Eleonora, 2 A Classico