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Psycho (1960) - Rotten Tomatoes

Psycho, o meglio conosciuto in Italia come Psyco, è un thriller americano realizzato nel 1960 dal regista Alfred Hitchcock.

Un vero e proprio capolavoro, tanto da essere passato alla storia come un effettivo cult movie, al quale furono successivamente ispirate altre pellicole.

Il film vede come sua protagonista Marion Crane (Janet Leigh), giovane e bella segretaria di un’agenzia immobiliare, la quale ha intrapreso da diverso tempo una relazione sconosciuta agli occhi del mondo con Sam Loomis (John Gavin), imprenditore e proprietario di una ferramenta non molto distante dalla città di residenza della propria amata, ovvero Phoenix, in Arizona.

Tutto ha inizio l’11 novembre 1959 quando Marion, in seguito a uno dei suoi soliti incontri segreti con Sam durante la pausa pranzo, fa ritorno presso il proprio ufficio, luogo in cui ha occasione di assistere a un ottimo successo lavorativo del proprio capo che si è concluso con un affare di £ 40.000 per l’acquisto di un’abitazione.

Alla protagonista è affidato il compito di portare tale cifra di denaro in banca, mansione che tuttavia non svolgerà mai in quanto, grazie alla scusa di una terribile emicrania, riesce ad ottenere un pomeriggio di ferie che sfrutterà per fuggire verso la città dove risiede il proprio compagno.

A causa di un’improvvisa e violenta pioggia però la ragazza non giungerà mai a destinazione in quanto si imbatterà nell’insegna del Bates Hotel, luogo in cui avverrà il suo memorabile assassinio.

Omicidio rimasto nella storia del cinema, ma soprattutto nella memoria collettiva per la cosiddetta “scena della doccia”, leggendaria e ancora oggi da brividi.

78/52, la scena della doccia di Psycho, la lezione di Alfred Hitchcock |  CameraLook

Una scena in cui il regista, astuto e di mestiere, non inquadra mai l’evidente accoltellamento della ragazza, ma lo lascia intendere allo spettatore contribuendo così all’alimentazione dello scenario di tensione che caratterizza l’intero film.

E ancor più indimenticabile perché inscritta nella sfida economica che Hitchcock dovette affrontare per la produzione della famosa pellicola. Il regista infatti dovette girare un film di qualità con mezzi limitati e in una forbice temporale ristretta.

Psycho infatti si ispirò all’omonimo romanzo di scarso valore dello scrittore Robert Block, tradotto in italiano come Il passato che urla, il quale vede come suo protagonista un serial killer realmente esistito, ovvero Edward Gein, il quale, sempre presso il territorio statunitense, uccise due persone e fece dei loro corpi degli ornamenti per la propria dimora.

La casa di produzione cinematografica Paramount Pictures, la quale aveva con Hitchcock un contratto per la realizzazione di un altro film, rifiutò, proprio per l’insuccesso del romanzo, l’offerta mossa dal regista di comprare i diritti cinematografici del thriller di Bloch.

Ecco che quindi Hitchcock si vide costretto a provvedere al loro acquisto autonomamente, spendendo oltre 10 mila dollari.

Scelta rischiosa che lo spinse a rendere il film meno violento di come lo aveva inizialmente immaginato dalla lettura del romanzo, pur di avvalersi del finanziamento della Paramount la quale, con un budget di appena $ 806. 947 e un limitato lasso di tempo, decise infine di cedere alle richieste del maestro.

Psycho” e l'emozione di massa del cinema autoriale | Cinefilia Ritrovata |  Il giornale della passione per il Cinema

In cambio il regista assicurò il bianco e nero, in quanto un film a colore avrebbe rischiato di essere troppo crudo e violento verso lo spettatore.

Le riprese ebbero luogo presso un’ambientazione appartenente alla Universal Studios, precedentemente impiegata per la realizzazione del film, situata ad Hollywood nella quale l’edificio dall’architettura gotica, ispirato al quadro The House by the Railroad (1925) di Hopper, si palesa come protagonista. 

Nelle immagini del film non si può fare a meno di notare la penna del maestro, la quale si manifesta grazie all’attenzione psicologica circa i fatti illustrati: il regista infatti scelse volontariamente di attribuire poca importanza alla personalità e al carattere dei personaggi per concentrarsi sulla creazione di un’atmosfera di suspense a partire da elementi quasi del tutto insignificanti e attraverso la perfetta coniugazione di strumenti cinematografici.

Interessante è il ricorso al tema del doppio ad esempio, tipico della produzione cinematografica del regista, con lo scopo di attirare a sé l’attenzione dello spettatore: la sessualità intesa come peccato o massima espressione dell’amore, il bianco contrapposto al il nero, la follia all’accortezza, la confusione mentale alla chiarezza del pensiero ecc…

Uno dei motivi per cui Psycho ha riscontrato tale successo, come attesta il ricordo collettivo, oltre al Premio Oscar di cui si è avvalso nel 1961, è stato sicuramente il significato psicologico che sta dietro alla trama.

78/52, la scena della doccia di Psycho, la lezione di Alfred Hitchcock |  CameraLook

Dando uno sguardo più profondo e attento ai dettagli – anche a quelli più apparentemente insignificanti – si può infatti notare come il film lavori nella nostra mente senza che noi ce ne rendiamo conto.

Ciò su cui l’autore ha mirato principalmente a far leva è la sensibilità.
Il film in sé, per quanto ci possa sembrare assurdo, negli anni Sessanta era qualcosa di terrificante.

Per comprendere l’importanza della reazione e della volubilità degli spettatori basti pensare alla scelta del bianco e nero o al taglio di scene ancor più crude.

Uno sguardo accurato incide sui personaggi e in particolare a quello di Norman Bates (Anthony Perkins), protagonista dell’intera vicenda.

È un soggetto con molteplici disturbi, causatogli dai vari problemi familiari. La mancanza del padre in età infantile lo ha condotto ad attaccarsi in maniera eccessivamente morbosa alla madre, sviluppando con ella una sorta di complesso edipico.

Norman è infatti invidioso del compagno della madre e dopo la morte della stessa inizia a provare una forte pazzia che lo porta a travestirsi, atteggiarsi e, addirittura, parlare come la figura materna.

Un comportamento a dir poco agghiacciante capace di aiutare il giovane uomo a staccarsi dalla realtà e, nella sua testa, a riportare in vita la defunta madre.

Questo travestimento diventa talmente risonante da impossessarsi di lui diventando un acceso e pesantissimo disturbo della personalità.

La “madre” dunque desidera essere l’unica donna nella vita di Norman, sviluppando una gelosia tale da uccidere qualunque signora accanto al figlio.

Considerato dalla critica come il “capostipite” dei generi horror e thriller, non è un caso che Hitchcock sia da molti definito il Mozart dell’arte cinematografica.

Rossi Giulio, Rossi Eleonora, Zerbone Stefanì Ginevra, 2 A Classico

Arriva 'Io sono l'abisso' di Donato Carrisi - Libri - ANSA

Thriller psicologico dalla narrazione pluriprospettica e dalla trama complessa è il nuovo romanzo di Donato Carrisi, Io sono l’abisso, edito da Longanesi Editore nel 2020.

La trama, apparentemente tranquilla all’inizio, si trasforma in una storia travolgente e ricca di suspense.

È il compleanno del figlio di Vera il giorno in cui quest’ultima decide di insegnargli a nuotare. L’euforia del piccolo però scompare quando, assieme alla madre, giunge in una piscina diversa da quella immaginata.

Essa si presenta infatti sporca e viscida anticipando in questo modo il clima inquietante che da lì a poco colpirà il lettore. Vera infatti lascerà in balia del terrore il figlio nella putrida piscina, sperando così nella sua morte.

In realtà essa non avviene in quanto il piccolo abbandonato dalla madre riesce a salvarsi e a diventare un uomo, anzi si direbbe “l’uomo”, il netturbino dalla duplice personalità, colui che, senza nome, di giorno pulisce di vie della città e di notte si trasforma in Mike, l’assassino metodico.

Ma è realmente la malvagità del netturbino a venire fuori o in lui si nasconde un briciolo di umanità che lo trasformerà in una sorta di angelo custode?

Donato Carrisi: su molestie e violenze, indignarsi non è abbastanza - Life  - D.it Repubblica

Il romanzo di Carrisi fornisce numerose incognite durante la lettura, le cui risposte si presentano nella tensione che arricchisce le pagine scorrevoli e coinvolgenti.

L’autore utilizza infatti la tecnica della focalizzazione interna in terza persona, ovvero descrive i fatti prendendo come punto di vista quello di un determinato personaggio ed è così che nel corso della lettura siamo “un assassino” che si riscopre umano, “una ragazzina” costretta a crescere troppo in fretta, “un’ispettrice” bloccata nel passato, “un bambino” sottomesso dalla violenza.

Il tema della violenza e dei suoi aspetti più occulti vengono trattati da Carrisi il quale abbatte stereotipi e analizza un comportamento umano ahimè comune.

Degna di nota è l’analisi della psicologia umana che rende il romanzo ricco di spunti di riflessione e capace di trasmettere al lettore il brivido della tensione che lo rende così emozionante e avvincente.

Ardissone Maria Bianca, 1B Classico

Chloe di Atom Egoyan è il nome scelto per il remake americano di Nathalie (2009), versione francese del 2003 scritta e diretta da Anne Fontaine.

La ginecologa Catherine Stewart, interpretata da un’eccezionale Julienne Moore, organizza una festa di compleanno a sorpresa per il marito David (Liam Neeson), un professore di musica.

Gli invitati sono arrivati e si attende solo l’arrivo del festeggiato ma la donna riceve una chiamata nella quale lui le comunica di aver perso l’aereo di ritorno.

Il giorno seguente Catherine trova sul cellulare del marito un messaggio inviatogli da una studentessa: “grazie per la bella serata, baci” e in allegato una foto in cui sono insieme in atteggiamenti amicali, cosa che inizia a far sospettare la donna su un presunto tradimento del marito.

Il figlio Michael (Maximillion Drake Thieriot) non fa che peggiorare la situazione: è schivo con la madre, ha un atteggiamento tipicamente adolescenziale, porta la fidanzata a casa di nascosto e infrange le regole di buona convivenza. In un dialogo tra Catherine e un amico si deduce che Michael in passato possa avere avuto qualche leggero problema a livello neurologico.

Una famiglia-modello acclamata e invidiata anche dalla stampa con un positivo equilibrio tra carriera e famiglia in realtà si sta disfacendo dentro quel loft curato davanti agli occhi impotenti della matriarca.

In una cena tra amici Catherine, entrata alla toilette, e sentendo piangere una ragazza le chiede se va tutto bene ed è lì che iniziano a parlare: un’interazione minima che per Chloe (Amanda Seyfried) sembra necessaria.

Finge infatti di aver trovato a terra una spilla per capelli e chiede a Catherine se fosse sua ma lei risponde di no. Allora la ragazza gliela porge regalandogliela ma la donna rifiuta gentilmente e torna dal marito in sala. Questa preziosa spilla sarà il simbolo di un legame tra le due donne che non è destinato a spezzarsi.

Chloe è una ragazzina di facili costumi e Catherine se ne accorge osservandola al tavolo con un uomo che sembra avere più anni di lei. Ha lo sguardo spento seppur gli occhi grandi esprimano un forte bisogno di attenzioni.

La moglie del professore intuisce di poter usare questo legame per scongiurare l’inclinazione al tradimento del marito.

Le due donne si accordano per vedersi e decidere le dinamiche di questa prova di fedeltà ma già al primo incontro tra Chloe e David le notizie non sono tranquillizzanti: la ragazza racconta a Catherine di averci flirtato fino a farlo cadere in tentazione.

Il piano continua così come gli presunti incontri tra i due amanti che vengono narrati minuziosamente alla moglie. Catherine sprofonda nelle sue stesse insicurezze fino al punto di vedere in Chloe un espediente per non rovinare definitivamente il suo matrimonio.

La ragazza dai lunghi capelli biondi diventerà lo specchio di quell’amore intenso che l’ha spinta a sposarsi: un amore carnale che adesso si alimenta attraverso il corpo di una terza persona.

Il filo rosso di questa tela fatta di sensazioni implose è lo sguardo, tutto il non detto è espresso magnificamente dalla capacità interpretativa degli attori. La conoscenza tra Cloe e Catherine inizia in un ristorante e finisce (almeno per quest’ultima) in un caffè.

I coniugi sono seduti a un tavolo e Catherine aspetta che arrivi Chloe che scappa fuori, David chiede a Catherine chi fosse quella ragazza ed è in questo momento che viene svelata la grande menzogna: Chloe non aveva mai incontrato né visto quell’uomo, quelle storie sui loro incontri erano false e servivano a Chloe affinché Catherine non sparisse dalla sua vita.

La ragazza sembra essersi legata così tanto alla ginecologa da sviluppare una sorta di dipendenza affettiva generatrice di vendetta. Approfitterà infatti del ritardo di Michael per creare un flirt e ledere così l’equilibrio della famiglia che la coppia di sposi aveva da poco ritrovato.

Desirée Formica