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Monthly Archives: Ottobre 2020

Nandan He, Walking in the Wall, Stop motion animation, Charcoal on Wall, 2019

28 ottobre-14 novembre 2020, MA-EC Gallery In collaborazione con Zing Art Group

Il prossimo 28 ottobre apre alla MA-EC Gallery la mostra Duality. Nothing is as it appears?, esposizione collettiva di artisti internazionali. La mostra si inserisce nel circuito CONTEMPORARY ART MILAN che presenterà periodicamente eventi selezionati di arte contemporanea a Milano.

La mostra sarà visitabile solo su appuntamento, prenotandosi al seguente link www.ma-ec.it.

Mercoledì 28 ottobre dalle 18 alle 20 saranno presenti lo staff ed alcuni artisti della mostra.

In un periodo complesso come quello che stiamo vivendo, dove verità e pseudoverità si sovrappongono, si vuole porre l’attenzione sulla dualità intesa proprio come condizione di compresenza di due principi.

La riflessione nasce dall’idea di non esistenza di assoluto e di unicità ma di gioco dialettico e concettuale in cui tutto sembra avere il suo contrario
e la sua altra parte complementare. Tutto è in costante cambiamento e l’armonia sta nel mantenere in equilibrio la dualità di due elementi opposti, assenze e presenze della nostra perenne trasformazione.

Xiaotong, Silent Dialogue In Front Of The Mirror carving, Drypoint and Chine Colle, 2017

Nelle prestigiose sale di Palazzo Durini, si alternano dipinti, fotografie e installazioni, opere con cui gli artisti offrono una chiave di lettura della dualità, e diverse declinazioni dei temi dell’apparire e dell’eterno paradosso che avvolge l’esistenza.

Tra gli artisti che espongono, meritano attenzione Xiaotong Chen, Nandan He, Jiaoyang Li, Rui Sha.

Jaoyangi, Promise to Enter The Oversized Hat o1, Video Art, 2019

Xiaotong Chen (1996 Pechino, Cina) è una artista di New York che si impegna con vari media d’arte per esplorare la potenza del sé e le espressioni artistiche. È interessata ad esplorare il linguaggio della materialità e dei media. Ibridando la nostalgia per l’estetica orientale con le tecniche artistiche occidentali, il suo lavoro si snoda fluidamente tra arte e artigianato, natura e artefatto, personale e universale. Tra le sue recenti mostre, 2020 Ode to Osedax, LATITUTE Gallery, 174 Roebling St. Brooklyn, New York 11211, We Will Meet Again, New Apostle Gallery, Unity (virtual gallery, CritiART), Art of the Book Pratt Institute Library, Brooklyn, NY 11205.

Jaoyangi, Promise to Enter The Oversized Hat o2, Video Art, 2019

Nandan He (Guangdong, Cina 1991) è una artista multimediale il cui lavoro oscilla principalmente tra scultura interattiva, mix media, video/animazione, installazione.
Le opere di Nandan sono frammenti di un viaggio di recupero verso il suo strano fantasma e la sua nichilista appartenenza. La sua generazione è cresciuta in una percezione tale che la realtà è la cosa più surreale. Quando tutto accelera, fluttua in una struttura sociale emarginata e cerca di capire l’equilibrio tra lei e il mondo.  Crea spazi intimi che esplorano la crudezza di un sé contemporaneo e rivela un ordine irrazionale di un paese delle meraviglie iper normalizzato.

Jaoyang Li è laureata alla Goldsmiths, University of London-BA English Literature and Creative Writing, e poi ha frequentato la New York University MFA Creative Writing-Poetry (2017-2019). Tra le sue mostre e performance, citiamo Video-performance in VR online Installation Selected by Bond International Virtual Live Performance Festival 2020Fish Skin City, mostra alla Greenpoint GalleryThe Young Who disappear into birch, Video-poema del Tenderness Project, finanziato da Ross Gay e Shayla Lawson. Il video “I Promise to Enter The Oversized Hat” è stato girato nell’agosto del 2020, al culmine della pandemia: un amico gay stava per tornare in Cina, e il futuro sospeso era sfocato come il suo genere. In ogni caso, decise di indossare una veste di piuma per l’ultimo ballo a Manhattan.  Nel mondo reale, le persone vivono come fantasmi. Che si tratti del corpo, della memoria, dell’identità politica o del genere, tutto può essere lasciato ovunque.

Rui Sha è una artista interdisciplinare che lavora principalmente nei campi della scultura e dei nuovi media. È cresciuta a Pechino e ha lavorato come designer, poi si è trasferita a Chicago, dove si è laureata presso l’Art Institute di Chicago. Utilizza materiali vari di uso quotidiano che diventano espressione della sua sfera emozionale. Le sue opere sono da guardare, ascoltare, percepire e coinvolgono lo spettatore. Il suo lavoro è stato esposto in luoghi come Roman Susan (Chicago, IL), Krasl Art Center (St. Joseph, MI), CICA Museum (Gimpo, Corea del Sud).

Artisti in mostra:

  • Gui Bin
  • Hai Chen
  • Xiaotong Chen
  • Maria Silvia Da Re
  • Daniela Da Riva
  • Hairuo Ding
  • Nordan He
  • Jiaoyang Li
  • Yan Li
  • Fangsuo Lin
  • Yuxin Liu
  • Oriella Montin
  • Cristina Navarro
  • Wenting Ou
  • Zhiwei Pan
  • Valeria Eva Rossi
  • Rui Sha
  • Zhangliang Shuai
  • Franco Tarantino
  • Tomas
  • Sine Zheng

Coordinate mostra:
Titolo: Duality. Nothing is as it appears?
Sede: MA-EC Gallery Palazzo Durini, Via Santa Maria Valle, 2 Milano 20123

Ingresso solo su prenotazione al seguente link www.ma-ec.it
Date: Dal 28 ottobre al 14 novembre 2020
Info: info.milanart@gmail.com; staff@ma-ec.it

La donna è da sempre un modello raffigurato nell’arte, da quella pittorica a quella scultorea, per arrivare a quella architettonica dimostrando così come la sua fisicità sia stata un motivo di studio artistico e con questo un mezzo per documentare la visione che nella società si aveva della donna.

È interessante notare come documenti artistici di vario genere abbiano contribuito non poco alla spiegazione dei cambiamenti di mode, di modi di pensare e di vedere del mondo fin dalla comparsa dell’uomo.

Partendo dal presupposto fondamentale che la donna sia ben altro che un semplice corpo, ho selezionato alcune opere che consentono di comprendere l’evoluzione (o degenerazione?) del canone fisico femminile nel corso della storia.

La Venere di Laussel appartiene al cosiddetto ciclo di Veneri preistoriche che collochiamo nel Paleolitico superiore. Trovata vicino a diverse rocce incise da soggetti abbinati al concetto di procreazione, la Venere di Laussel, dal nome del luogo di ritrovamento, altro non è che la raffigurazione della fertilità.

Venere di Laussel, 12.000 a.C.

Dal bassorilievo alto circa 43 cm traspare una donna con fianchi adiposi, attributi femminili accentuati e un corno sulla mano destra, simbolo anch’esso di feracità.

Ad emergere è dunque una donna formosa e abbondante, a dimostrazione del fatto che durante l’età primitiva il canone di perfezione femminile era la rotondità.

Uno dei più grandi capolavori esistenti secondo gli storici dell’arte è ovviamente l’Afrodite di Cnidia, opera di Prassitele andata purtroppo perduta, ma di cui rimane una copia romana fedele all’originale.

Chiamata Cnidia dagli abitanti di Cnido (Asia Minore), compratori dell’opera, dei quali si narra siano rimasti talmente abbagliati dalla bellezza e dalla sontuosità dell’opera classica da essersene innamorati, presenta due importanti novità.

Afrodite di Cnidia, Prassitele, 360 a.C.

La prima riguarda la nudità del soggetto femminile, che fino a quel momento era considerato un tabù per i greci, a differenza che per i soggetti maschili il cui corpo idealizzato era degno di essere mostrato.

Una novità ovviamente non da poco quindi e ancor più scandalosa perché non si parlava di una donna qualsiasi, ma di una dea.

La seconda novità riguarda il gesto che una dea non avrebbe mai fatto: asciugarsi con un panno dopo il bagno.

Un atteggiamento quotidiano, tipicamente umano, così com’è la figura in sé dalle cui forme morbide e dolci traspare una seduzione completamente naturale, tenera e lucente.

Prive di forme, caratterizzate da ripetitività e bidimensionalità sono le Vergini della decorazione musiva della Basilica di Saint’Apollinaire Nuovo (Ravenna).

Vergini, Basilica di Saint’Apollinaire Nuovo, 526 d.C.

Sono donne immobili, prive di volume, completamente coperte. Caratteristiche queste tipicamente bizantine, ma allo stesso tempo capaci di comunicare il ruolo secondario della donna, “schiacciata” dall’uomo medioevale. Una donna che non doveva emergere perché questo avrebbe significato indurre l’uomo al peccato.

Uno dei capolavori indiscussi del Rinascimento, La Nascita di Venere di Sandro Botticelli, rappresenta una donna slanciata e aggraziata, la cui nudità non è più sinonimo di fertilità, così come non è più il simbolo del peccato, ma è naturalmente bellezza spirituale.

La Nascita di Venere, Sandro Botticelli, 1485

Lei, Afrodite, i cui tratti del volto sembrerebbero essere quelli della nobile Simonetta Vespucci, nasce portando con sé purezza, semplicità e nobiltà d’animo.

E ancora una volta la bellezza della donna è rappresentata dalla morbidezza delle forme.

Evidente è la fastosità barocca nelle Tre Grazie, opera realizzata dal pittore fiammingo Pieter Paul Rubens, il quale rappresentando la danza delle tre divinità della grazia e della gioia di vivere, ci offre l’immagine della perfezione femminile seicentesca: fianchi e cosce con adiposità e forme morbide.

Tre Grazie, Pieter Paul Rubens, 1638

Nel secondo Ottocento la bellezza femminile non è nuda, ma vestita ed è questo che la mostra in tutta la sua sensualità ed eleganza. A renderne l’idea è la Parigina di Édouard Manet, ritratto dell’attrice francese Ellen André.

Parigina, Édouard Manet, 1881

È una donna moderna, uno status symbol irraggiungibile, la donna che tutte vorrebbero essere, il cui abito diventa il protagonista e l’oggetto della sua voluttuosità.

Seducenti e dall’aspetto classicheggiante sono le donne ritratte dal pittore preraffaellita/neoclassico John William Godward.

Donna con drappo giallo, John William Godward, 1901

Una di queste è la Donna con drappo giallo, la quale comunica nella posa ammaliante, nella vivacità coloristica e nella trasparenza della veste dalla quale si intravedono i seni e le forme femminili una forte componente erotica.

Rappresentazione della cosiddetta femme fatale novecentesca è l’austriaca Adele Bauer ritratta durante il suo periodo d’oro dal pittore Gustav Klimt, meglio conosciuta con il titolo Donna in oro, viste le origini ebraiche della donna e l’occupazione nazista dell’Austria.

Adele Bauer (Donna in oro), Gustav Klimt, 1907

La bocca è rossa, la carnagione è molto chiara, le guance sono rosee e le mani sono intrecciate nervosamente tra loro, caratteristiche queste ultime che richiamano quello che era la donna dell’epoca.

Unici elementi tridimensionali in un dipinto quasi completamente bidimensionale e dal forte richiamo bizantino come si nota dall’oro e dalle forme che richiamano fortemente le tessere musive.

Ed ecco che la formosità e la morbidezza del corpo femminile che ci hanno accompagnato fino a questo momento cominciano a lasciare spazio ad un fisico scheletrico e ad un volto da bambina negli anni Sessanta.

Un periodo nuovo è infatti alle porte, la donna delle nuove generazioni è diversa, o meglio si sente diversa dalle proprie madri. È emancipata, porta la minigonna e vuole emergere.

Twiggy, anni Sessanta

Lo dimostra Twiggy, il “ramoscello” dal quale traspare una magrezza fino a quel momento considerata malata. Un fisico che da lì a poco si sarebbe trasformato nel canone fisico da inseguire perché a dire che doveva essere così ci pensavano le riviste di moda.

Un criterio che ci ha accompagnate in periodi più o meno lunghi, magari intervallati da momenti in cui la forma del corpo femminile “arretrava” un po’ verso la formosità delle origini, ma che bene o male è rimasto ben impresso nella mente di giovani donne che spesso, talmente offuscate da immagini a dir poco pubblicizzate, cadono vittime di malattie alimentari e nell’annullamento della propria individualità.

Maria Pettinato