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La donna è da sempre un modello raffigurato nell’arte, da quella pittorica a quella scultorea, per arrivare a quella architettonica dimostrando così come la sua fisicità sia stata un motivo di studio artistico e con questo un mezzo per documentare la visione che nella società si aveva della donna.

È interessante notare come documenti artistici di vario genere abbiano contribuito non poco alla spiegazione dei cambiamenti di mode, di modi di pensare e di vedere del mondo fin dalla comparsa dell’uomo.

Partendo dal presupposto fondamentale che la donna sia ben altro che un semplice corpo, ho selezionato alcune opere che consentono di comprendere l’evoluzione (o degenerazione?) del canone fisico femminile nel corso della storia.

La Venere di Laussel appartiene al cosiddetto ciclo di Veneri preistoriche che collochiamo nel Paleolitico superiore. Trovata vicino a diverse rocce incise da soggetti abbinati al concetto di procreazione, la Venere di Laussel, dal nome del luogo di ritrovamento, altro non è che la raffigurazione della fertilità.

Venere di Laussel, 12.000 a.C.

Dal bassorilievo alto circa 43 cm traspare una donna con fianchi adiposi, attributi femminili accentuati e un corno sulla mano destra, simbolo anch’esso di feracità.

Ad emergere è dunque una donna formosa e abbondante, a dimostrazione del fatto che durante l’età primitiva il canone di perfezione femminile era la rotondità.

Uno dei più grandi capolavori esistenti secondo gli storici dell’arte è ovviamente l’Afrodite di Cnidia, opera di Prassitele andata purtroppo perduta, ma di cui rimane una copia romana fedele all’originale.

Chiamata Cnidia dagli abitanti di Cnido (Asia Minore), compratori dell’opera, dei quali si narra siano rimasti talmente abbagliati dalla bellezza e dalla sontuosità dell’opera classica da essersene innamorati, presenta due importanti novità.

Afrodite di Cnidia, Prassitele, 360 a.C.

La prima riguarda la nudità del soggetto femminile, che fino a quel momento era considerato un tabù per i greci, a differenza che per i soggetti maschili il cui corpo idealizzato era degno di essere mostrato.

Una novità ovviamente non da poco quindi e ancor più scandalosa perché non si parlava di una donna qualsiasi, ma di una dea.

La seconda novità riguarda il gesto che una dea non avrebbe mai fatto: asciugarsi con un panno dopo il bagno.

Un atteggiamento quotidiano, tipicamente umano, così com’è la figura in sé dalle cui forme morbide e dolci traspare una seduzione completamente naturale, tenera e lucente.

Prive di forme, caratterizzate da ripetitività e bidimensionalità sono le Vergini della decorazione musiva della Basilica di Saint’Apollinaire Nuovo (Ravenna).

Vergini, Basilica di Saint’Apollinaire Nuovo, 526 d.C.

Sono donne immobili, prive di volume, completamente coperte. Caratteristiche queste tipicamente bizantine, ma allo stesso tempo capaci di comunicare il ruolo secondario della donna, “schiacciata” dall’uomo medioevale. Una donna che non doveva emergere perché questo avrebbe significato indurre l’uomo al peccato.

Uno dei capolavori indiscussi del Rinascimento, La Nascita di Venere di Sandro Botticelli, rappresenta una donna slanciata e aggraziata, la cui nudità non è più sinonimo di fertilità, così come non è più il simbolo del peccato, ma è naturalmente bellezza spirituale.

La Nascita di Venere, Sandro Botticelli, 1485

Lei, Afrodite, i cui tratti del volto sembrerebbero essere quelli della nobile Simonetta Vespucci, nasce portando con sé purezza, semplicità e nobiltà d’animo.

E ancora una volta la bellezza della donna è rappresentata dalla morbidezza delle forme.

Evidente è la fastosità barocca nelle Tre Grazie, opera realizzata dal pittore fiammingo Pieter Paul Rubens, il quale rappresentando la danza delle tre divinità della grazia e della gioia di vivere, ci offre l’immagine della perfezione femminile seicentesca: fianchi e cosce con adiposità e forme morbide.

Tre Grazie, Pieter Paul Rubens, 1638

Nel secondo Ottocento la bellezza femminile non è nuda, ma vestita ed è questo che la mostra in tutta la sua sensualità ed eleganza. A renderne l’idea è la Parigina di Édouard Manet, ritratto dell’attrice francese Ellen André.

Parigina, Édouard Manet, 1881

È una donna moderna, uno status symbol irraggiungibile, la donna che tutte vorrebbero essere, il cui abito diventa il protagonista e l’oggetto della sua voluttuosità.

Seducenti e dall’aspetto classicheggiante sono le donne ritratte dal pittore preraffaellita/neoclassico John William Godward.

Donna con drappo giallo, John William Godward, 1901

Una di queste è la Donna con drappo giallo, la quale comunica nella posa ammaliante, nella vivacità coloristica e nella trasparenza della veste dalla quale si intravedono i seni e le forme femminili una forte componente erotica.

Rappresentazione della cosiddetta femme fatale novecentesca è l’austriaca Adele Bauer ritratta durante il suo periodo d’oro dal pittore Gustav Klimt, meglio conosciuta con il titolo Donna in oro, viste le origini ebraiche della donna e l’occupazione nazista dell’Austria.

Adele Bauer (Donna in oro), Gustav Klimt, 1907

La bocca è rossa, la carnagione è molto chiara, le guance sono rosee e le mani sono intrecciate nervosamente tra loro, caratteristiche queste ultime che richiamano quello che era la donna dell’epoca.

Unici elementi tridimensionali in un dipinto quasi completamente bidimensionale e dal forte richiamo bizantino come si nota dall’oro e dalle forme che richiamano fortemente le tessere musive.

Ed ecco che la formosità e la morbidezza del corpo femminile che ci hanno accompagnato fino a questo momento cominciano a lasciare spazio ad un fisico scheletrico e ad un volto da bambina negli anni Sessanta.

Un periodo nuovo è infatti alle porte, la donna delle nuove generazioni è diversa, o meglio si sente diversa dalle proprie madri. È emancipata, porta la minigonna e vuole emergere.

Twiggy, anni Sessanta

Lo dimostra Twiggy, il “ramoscello” dal quale traspare una magrezza fino a quel momento considerata malata. Un fisico che da lì a poco si sarebbe trasformato nel canone fisico da inseguire perché a dire che doveva essere così ci pensavano le riviste di moda.

Un criterio che ci ha accompagnate in periodi più o meno lunghi, magari intervallati da momenti in cui la forma del corpo femminile “arretrava” un po’ verso la formosità delle origini, ma che bene o male è rimasto ben impresso nella mente di giovani donne che spesso, talmente offuscate da immagini a dir poco pubblicizzate, cadono vittime di malattie alimentari e nell’annullamento della propria individualità.

Maria Pettinato

Author: Maria Pettinato

Maria Pettinato, Laureata con Lode in Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo e in Scienze dello spettacolo presso l'Università degli Studi di Genova (Facoltà di Lettere e filosofia). Nel 2013 pubblica il libro “Potere e libertà. Briganti nella Calabria post-unitaria (1861-1865)”. Si dedica quindi ad alcune esperienze in campo giornalistico ed editoriale, e nel 2019 decide di avviare L’Artefatto, un progetto culturale, al tempo stesso dinamico e critico.