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Archivio categorie: Cinema

Il titolo della pellicola che si è guadagnata la duecentoventisettesima posizione nella classifica dei migliori film della storia secondo la rivista Empire è semplicemente un nome proprio di persona, Léon, film del regista francese Luc Besson uscito nelle sale cinematografiche nel 1994, anno del debutto del cult Pulp Fiction di Quentin Tarantino.

La prima immagine di questo capolavoro che affiora alla mente non può che essere quella della piccola, ma solo per statura, Natalie Portman che con il suo caschetto nero interpreta il ruolo di Mathilda, affiancata sul set dal candidato al premio Oscar Jean Reno nel ruolo del cinico sicario Léon.

La trama, irrobustita del genere “gangster all’americana” dal regista Besson, va ad accostare a omicidi e poliziotti corrotti la tenerezza di una lolita diseducata all’affetto.

Gli occhi di Mathilda, scuri come la notte e carichi di rancore a causa di un’infanzia rubata, si fanno spazio sul viso ricoperto di lividi provocati dalle percosse del padre. Cresciuta assieme al fratello minore nel degrado familiare ricondotto a molestie psicologiche e fisiche, ritiene quest’ultimo il solo meritevole di attenzioni e cure.

La famiglia di Mathilda, decimata per una questione di droga la trasforma così in una vera e propria responsabilità sia per Léon, che si è ritrovato in casa una minorenne di cui non sa che farsene, sia per il regista il quale ci mostra una preadolescente già provvista di un passato ingombrante e matura nelle sue intenzioni ed esigenze.

L’obiettivo che scandirà tutta la convivenza forzata tra il sicario e la ragazzina sarà infatti la determinazione di quest’ultima nell’imparare “a fare le pulizie”, e cioè a uccidere per vendicare l’omicidio del fratellino.

La crescita fisica e psicologica di Mathilda sembra così essersi affidata alle cure dello spettatore attento, oltre che a quelle di Léon, presentandoci un cambiamento talmente reale da sembrare che esso sia avvenuto nella stessa attrice oltre che nel personaggio da lei interpretato.

La Portman ha addirittura rilasciato un’intervista nella quale ha spiegato come questo film abbia esercitato in lei non poche ripercussioni psicologiche, tanto che da quel ruolo in poi ha deciso di scegliere con attenzione le parti da interpretare in altre pellicole.

E a confermare tutto ciò vi è la modifica del copione: nella prima stesura il legame tra i due protagonisti era sviluppato in maniera più fisica ed erotica, una scelta questa che venne scartata in quella definitiva, forse proprio per la difficoltà interpretativa dell’attrice.

Fondamentale è il ruolo di Léon, sicario schivo e sempre vestito di nero, così attento da rendersi conto di tutto nonostante la sua discrezione abbia il sopravvento sulla reazione.

La figura di un uomo che ha sempre inteso la vita come un percorso fatto di abitudini e disciplina, tutto necessariamente nascosto e calcolato, tranne che l’arrivo di Mathilda.

Due vite parallele e distratte che prendono forma senza che ci vengano mostrate sullo schermo le estreme conseguenze di una vita costellata di rancore e brutti ricordi, le ragioni del cuore rimangono velate fino a un exploit finale e a incidere con forza in questo è l’azzeccatissimo brano usato per i titoli di coda, Shape of my heart (La forma del mio cuore nella traduzione italiana) cantato da Sting.

Desirée Formica

In momenti come questo in cui il cinema, fermo per la prima volta dalla sua nascita e bloccato nella surrealità che ci ha travolto tutti come un turbine, è fondamentale sognare e lasciarsi intrattenere dai film.

Non sono poche le pellicole viste in questi giorni, ma comincerei a parlarvi di quello che maggiormente ha spiccato su gli altri aprendo così la rubrica dal titolo I Film della Quarantena.

È Il sommelier (Uncorked), film drammatico/commedia del regista e sceneggiatore Prentice Penny presente sulla piattaforma Netflix dal 27 marzo 2020.

Un debutto cinematografico mancato a causa del Covid-19, ma che grazie a Streaming è riuscito ugualmente a marcare il territorio garantendosi il successo sperato e direi meritato vista la sua presenza nella Top 10 dei film più visti.

Un film incentrato sui sogni e su uno dei tanti piaceri della vita, la degustazione dei vini, che non è cosa da poco in quanto quello del sommelier può definirsi tutt’oggi uno dei pochi mestieri dotati di quell’eleganza e di quella raffinatezza che richiama alla mente tempi antichi e ricchi di valori.

La trama narra la storia di Elijah (Mamoudou Athie), un giovane ragazzo del Tennessee il cui sogno è quello di diventare un sommelier e il cui rapporto con il padre Louis (Courtney B. Vance), incentrato su grandi differenze generazionali, non è dei migliori proprio per le diverse idee riguardanti il futuro del figlio. Louis infatti lo vorrebbe alla guida dell’impresa a sua volta ereditata dal padre, non credendo in nessun modo all’aspirazione di Elijah definendola una perdita di tempo.

Dolcezza, conflittualità e passione emergono in un film degno di nota perché capace di far riflettere, di far comprendere quanto sia importante non perdersi mai, credere ai propri sogni nonostante sembra che il destino vi remi contro, così com’è importante avere accanto una famiglia amorevole e rapporti incentrati sulla stima e sull’ascolto reciproci.

Attraverso il colore, il sapore, l’odore del vino si ritrovano i momenti felici che si credeva essersi persi da tempo, tornando così ad apprezzare le cose che fanno della vita un dono, così prezioso e importante da permettere a un padre e un figlio di capirsi e instaurare quel rapporto che mancava ormai da tempo.

Maria Pettinato

La Giuria di Esperti ha decretato le Nomination della V Edizione dell’IveliseCineFestival!

26 le opere in Concorso, selezionate attraverso un bando e 6 le Categorie di genere costituite: Commedia, Tematica Sociale, Drammatico, Documentario, Horror e Animazione.
Alle porte le tre giornate di proiezioni e la serata di premiazione.

Si è riunita la Giuria di Esperti per decretare le Nomination e i Vincitori del Festival di cortometraggi e documentari, prodotto dal Teatro Ivelise e dall’Associazione Culturale Allostatopuro.

Le Nomination sono state rese note, mentre per scoprire i vincitori sarà necessario attendere domenica 23 febbraio, giorno in cui si svolgerà la Premiazione con, a seguire, la Tavola Rotonda.

L’evento, patrocinato dalla Regione Lazio, dal Comune di Roma, da Acsi Metis Teatro e organizzato in collaborazione con Teatro Kopò, il Caffè Letterario Mangiaparole e il Laboratorio di Arti Sceniche diretto da Massimiliano Bruno, si articolerà in tre giornate di proiezioni della programmazione, dal 20 febbraio al 22 febbraio, con la premiazione e la tavola rotonda di chiusura festival, il giorno 23 febbraio, alla quale parteciperanno i concorsisti, gli addetti stampa e i membri della Giuria degli Esperti.

Dopo il grande successo ottenuto nelle passate edizioni, l’IveliseCineFestival continua a perseguire l’obiettivo principale di creare, attraverso l’arte, una rete di incontro, dialogo, condivisione, tra cineasti e spettatori. Inoltre, mira a offrire visibilità ad artisti emergenti, valorizzandone le opere.

A tal fine, Teatro Ivelise ha consolidato negli anni collaborazioni con importanti realtà del panorama artistico capitolino con l’intento di allargare la divulgazione delle opere partecipanti, attraverso una proiezione parallela dell’intera programmazione, in altre sedi artistiche della capitale in via di espansione.

Ad oggi sono confermate: il Caffè Letterario Mangiaparole, Metis Teatro, L’Istituto I.S.S. Auspicio Gatti di Anzio e Nettuno e il Laboratorio di Arti Sceniche diretto da Massimiliano Bruno.

Per questa V Edizione la Giuria di Esperti è composta da nomi illustri a partire dal Presidente Maurizio Di Rienzo (Presidente della Commissione dei Giurati – Giornalista e Critico Cinematografico), Daniele Barbiero (Vincitore per due edizioni di seguito del festival – Regista e Autore), Fabrizio Lucci (Direttore della Fotografia), Vincenzo Alfieri (Attore e Regista) e Maddalena Ravagli (Autrice e Sceneggiatrice).

Come nelle precedenti edizioni, il pubblico dell’IveliseCineFestival sarà partecipativo, in quanto, costituirà Giuria Popolare.

Seguono le Nomination decretate dalla Giuria di esperti:

MIGLIOR OPERA:

LA BELLEZZA IMPERFETTA di Davide Vigore

INANIMATE di Lucia Bulgheroni

THE ROLE di Farnoosh Samadi

SONG SPARROW di Farzaneh Omidvarnia

MIGLIOR REGIA:

Davide Vigore di LA BELLEZZA IMPERFETTA

Lucia Bulgheroni di INANIMATE

MIGLIOR FOTOGRAFIA:

Daniele Ciprì di LA BELLEZZA IMPERFETTA

Farzaneh Omidvarnia di SONG SPARROW

Lorenzo Scudiero di BLUE MATTER

Gianluca Sansevrino di SI SOSPETTA IL MOVENTE PASSIONALE CON L’AGGRAVANTE DEI FUTILI MOTIVI

MIGLIOR MONTAGGIO:

Riccardo Cannella di LA BELLEZZA IMPERFETTA

Raphael Pereira di INANIMATE

Andrea Gatopoulos di BLUE MATTER

Ehsan Vaseghi di THE ROLE

MIGLIOR SCENEGGIATURA:

Roberto Marchionni, Davige Vigore di LA BELLEZZA IMPERFETTA

Andrew Eu, Lucia Bulgheroni di INANIMATE

Ali Asgari, Farnoosh Samadi di THE ROLE

Farzaneh Omidvarnia, Mehdi Rostampour di SONG SPARROW

MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA:

Fortunato Cerlino in HAPPY BIRTHDAY

Melino Imparato in LA BELLEZZA IMPERFETTA

Luca Di Giovanni in  LA VOCE

Babak Hamidian in THE ROLE

MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA:

Irene Ferri in SI SOSPETTA IL MOVENTE PASSIONALE CON L’AGGRAVANTE DEI FUTILI MOTIVI 

Mina Sadati in THE ROLE

Alice Pagani in PLEASE DON’T GO

Mariella Parisi in MARIA ON A WIRE

ATTORE RIVELAZIONE:

Pierpaolo Spollon in LO SCHIACCIAPENSIERI

Mario Russo in AMARE AFFONDO

Teodoro Giambanco in BLUE MATTER

Vincenzo De Michele in DEAF LOVE

ATTRICE RIVELAZIONE:

Giusy Emanuela Iannone in MILLE SCUDI

Anna Ferraioli Ravel in SI SOSPETTA IL MOVENTE PASSIONALE CON L’AGGRAVANTE DEI FUTILI MOTIVI 

Victoria Pisotska in LA BELLAZZA IMPERFETTA

Lorena Cesarini in L’INTERPRETE

Per informazioni sul festival e sul programma del festival, visitare il sito ufficiale (https://www.teatroivelise.it/ivelisecinefestival/ ) e scrivere a ivelise.teatro@gmail.com o contattare lo 0689527016.

“Ha rubato, per carità, però il suo prezzo lo ha pagato caro”, “Bettino Craxi?Un ladro! È morto come meritava”, “Ci è andato di mezzo solo lui, invece i veri colpevoli hanno vissuto da eroi.”

Quante volte abbiamo sentito queste frasi, noi generazioni nate negli anni Ottanta che quel periodo storico lo abbiamo vissuto, ma non lo ricordiamo.

E quante volte pensando a lui, a ciò che ha fatto, abbiamo compreso che in realtà quello era solo l’inizio di una lunga fase, attuale oggi più che mai, della nostra politica.

La politica delle “mani pulite”, di chi aveva tradito ma non lo ammetteva, di chi si eleggeva deputato leale ma in realtà poi non lo era, di chi parlava dicendo ciò che gli veniva suggerito, e di chi invece così… da un giorno all’altro era il solo colpevole, il solo ladro, il solo traditore.

Una verità che fa male, sbattuta in faccia da Gianni Amelio, regista e sceneggiatore di Hammamet, il quale decide di non presentarci un’opinione, ma semplicemente la storia di Bettino Craxi persona.

Una caduta la sua che già si presenta all’inizio del film nel massimo momento di gloria del socialista che, come gli altri personaggi del film, non viene mai chiamato per nome.

È il quarantacinquesimo Congresso del PSI, Craxi è dirompente, imperniato di egocentrismo e di quella persuasione comunicativa che rende la politica così bella e suadente per chiunque l’ascolta.

Ma già in quell’occasione qualcosa non quadra, la tragedia è negli occhi di Vincenzo-Sergio Moroni (Giuseppe Cederna), nelle bandiere rosse che cadono a terra e nei tulipani scoloriti, presagi di disfacimento.

E poi improvvisamente l’uomo anziano, non più altezzoso, non più giacca e cravatta, non più paroliere, ma semplicemente una persona, sola, dall’umore altalenante, malata, ridicolizzata da un sistema malsano, rassegnata al destino che con rammarico ha dovuto scegliere, l’esilio.

Una ricostruzione reale sui sentimenti vissuti da Bettino negli ultimi mesi della sua vita, conclusasi nel silenzio il 19 gennaio 2000 nella sua “fortezza” blindata ad Hammamet. Stati d’animo raccontati dall’amata figlia Anita-Stefania (Livia Rossi), rimasta con lui fino alla fine e dal cui sguardo si scorge ancora oggi il male fatto al padre.

Rabbia, incredulità, rassegnazione mista alla voglia di combattere, diligenza, ma anche tanta debolezza rivivono in un Pierfrancesco Favino reso perfettamente somigliante al “Ghino di Tacco”, come lo soprannominò nel 1986 l’allora direttore di Repubblica Eugenio Scalfari, dal make-up artist da premio Oscar Andrea Leanza.

La storia di un uomo. Lenta, silenziosa, crudele.

Ebbene ce la presenta così Amelio, con estrema lentezza, come se ci volesse svelare una volta per tutte la verità. La sua verità, quella di Craxi. Ora la dice, ora la svela, ora la rivincita arriva pensiamo davanti allo schermo!

E invece no, nemmeno alla fine, nemmeno quando Fausto (Luca Filippi), che ha ucciso suo padre trasformando il ladro in martire come piace a noi italiani, la videocassetta della verità la tira fuori.

Eh no! Questo non accade, alla consegna segue infatti la fuga. Semplicemente perché la verità noi la conoscevamo, anzi la conosciamo.

Anche oggi. Anche quando ce la sbattono in faccia tutti i giorni. Perché noi siamo i furbi italiani di allora, quelli che un colpevole sul quale puntare il dito per coprirsi gli occhi, lo trovano sempre.

Maria Pettinato

Il 7 dicembre, nell’elegante location dell’Aula Magna del Green Park Pamphili, Maurizio Bianucci è stato premiato come “Attore in carriera” al prestigioso Premio Vincenzo Crocitti 2019, giunto alla VII edizione. Quest’anno l’evento si è contraddistinto per l’assegnazione del “Premio alla Carriera” al regista Francesco Nuti.

Grande emozione e soddisfazione per Bianucci, che nella prima stagione della serie Suburra ha vestito i panni del Consigliere Gramini e che per tale ruolo è stato notato dagli organizzatori del premio.

«Un premio è sempre inaspettato» racconta Bianucci «questo in particolare mi riempie di gioia, perché arriva a conclusione di un momento molto produttivo per me e ne apre uno nuovo».

Maurizio Bianucci, infatti, è nel cast del film di prossima uscita nelle sale cinematografiche L’amore a Domicilio insieme a Miriam Leone, con la regia di Emiliano Corapi.

L’amore per l’arte da sempre lo contraddistingue; egli, infatti, si dedica non solo alla recitazione ma anche alla musica e all’insegnamento. Esordisce come attore nel 1990 per un piccolo ruolo in Quelli del Collage, serie tv su Italia 1.

Successivamente si dedica alla musica, esibendosi come cantautore e chitarrista. L’amore per la recitazione, tuttavia, è sempre vivo in lui e nel 2000, dopo aver condotto laboratori teatrali riservati ad adolescenti, riapproda sulle scene come protagonista in La Scoperta de l’America, poema in romanesco, Emigranti di S. Mrozek e molti altri. Continua, negli anni, la sua attività in teatro, in spot televisivi, in cortometraggi e in serie tv.

Il 2017 è l’anno del suo consolidamento: approda, infatti, nella serie Suburra e negli anni successivi recita nelle fiction L’Aquila – Grandi Speranze con la regia di Marco Risi, in Aldo Moro – Il Professore con la regia Francesco Miccichèe ne La Compagnia del Cigno con la regia di Ivan Cotroneo.

Il prossimo film, in uscita al cinema, L’amore a domicilio è l’attesissimo nuovo progetto di Maurizio Bianucci, che con il suo talento e il suo ecclettismo si sta ritagliando sempre più un ruolo di rilievo nel panorama artistico italiano.

Comunicato stampa di Miriam Bocchino, L’Altrove Ufficio Stampa

Cosa c’è di meglio delle vacanze natalizie per godersi i propri affetti, mangiare in compagnia, rilassarsi davanti a un camino acceso, magari con un libro sotto mano?

È il periodo dell’anno del “buon riposo” e del “tempo necessario” per godersi finalmente la lettura del libro magari acquistato da un po’, ma mai aperto per impegni e stanchezza, o di una serata al cinema, o perché no, a teatro.

Ma cosa andare a vedere durante queste festività? E su quale libro immergersi? L’Artefatto ve ne ha voluti consigliare alcuni…

Cinema

Siamo in vena di allegria, quindi non c’è niente di meglio che la commedia all’italiana per svagarsi ridendo a più non posso… E chi meglio di Luca Pasquale Medici, conosciuto come Checco Zalone può offrirci la tanto attesa festosità?

Tolo tolo, quinto film di Checco Zalone, uscirà il primo gennaio in tutte le sale italiane e ancora una volta, come in passato, è già oggetto di discussioni, ma soprattutto è super atteso dal grande pubblico che, conoscendo l’attore pugliese, non sta più nella pelle!

Discussioni legate al trailer del film, apparentemente razzista per chi vuole vederla in questo modo, ma in realtà, per chi conosce Checco e la sua comicità, una presa in giro alla mentalità dell’italiano medio, che è per lo più mediocre e ignorante, ancorato a stereotipi che danno la colpa all’emigrato e non al governo per gli asfissianti problemi dell’Italia.

La comicità di Checco può infatti definirsi vera, capace di toccare la tragicità insita nelle piccole cose rendendola così un momento di riflessione che, per quanto leggero sia, si rivela essere protagonista.

Teatro

E poi c’è il teatro, che è in assoluto Natale, ma soprattutto ne è la rappresentazione, come avviene nello commedia tragicomica per eccellenza: Natale in casa Cupiello di Eduardo de Filippo.

La rappresentazione di una festività tanto attesa, e preparata dettagliatamente soprattutto nella Napoli degli anni Trenta. Tragicomica perché in realtà quella che teoricamente è la festa della bontà, dell’amore e della gioia familiare diventa tutt’altro, la festa dell’ansia per i preparativi natalizi, della confusione, della famiglia che si riunisce ma che è sincera davvero o è solo facciata? Del denaro e dello status sociale che non vanno toccati per non infrangere l’equilibrio familiare.

Letteratura

E infine non è festa senza un libro! E qui non posso sbilanciarmi più di tanto, perché come dico sempre leggere fa bene in ogni caso!

Ma se posso consigliarvi… in questo periodo è bello riprendere in mano i grandi classici, da 1984 di George Orwell a Delitto e castigo di Fedor Dostoevskij, da Il Ritratto di Dorian Grey di Oscar Wilde a Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas.

O puntare su qualcosa di nuovo, come ho fatto io con La profezia della Curandera (Mondadori, 2018) di Hernàn Huarache Mamani, un romanzo che fa riflettere sulle grandi capacità della donna, che non sono solo fisiche come i più pensano nel mondo occidentale ahimè alle soglie del 2020, ma soprattutto mentali.

Doti femminili che ci consentono di ottenere tutto ciò che in realtà desideriamo, perché è la nostra energia la sola capace di riportare pace ed equilibrio a noi stesse e al mondo che ci circonda. Una visione orientale, prevalentemente andina, protagonista di un libro che consiglio ai miei lettori!

Maria Pettinato

Un errore giudiziario, un potere corrotto, in cui a perdere è il più debole, colui che è stereotipato dallo stesso sistema che per vincere è capace di tutto, perfino di uccidere.

Caratteristiche di un thriller politico da considerarsi a dir poco perfetto, J’accuse (L’ufficiale e la spia) di Roman Polanski, tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris.

Gennaio 1895, il capitano dell’esercito Alfred Dreyfus (Louis Garrel) viene accusato di aver fornito informazioni segrete ai nemici tedeschi e per questo condannato all’esilio nell’Isola del Diavolo. Elemento ancora più degradante per il condannato è il fatto di essere ebreo in una Francia di fine Ottocento in cui sempre più accentuato è l’antisemitismo e che spinge quindi il popolo a non credere assolutamente all’innocenza professata dall’imputato.

A smascherare l’ingranaggio di bugie che muove l’intero esercito è il colonnello Georges Picquart (Jean Dujardin), un uomo razionale, anch’esso legato alla normalità dell’antisemitismo galoppante e ai concetti retrogradi dell’epoca, ma amante comunque della verità, così tanto da rinunciare al suo ruolo e da andare contro tutto e tutti pur di riaprire un processo che si era rivelato fantomatico sin dall’inizio.

Ed ecco che Polanski ricostruisce il primo errore giudiziario della storia, l’Affaire Dreyfus, dal punto di vista di Picquart, ripercorrendone gli anni di emarginazione, di accuse e di solitudine in una Francia incapace di vedere l’oggettività, totalmente nascosta dietro a concetti razzisti che non fanno altro che richiamare nella mente dello spettatore la futura Germania nazista.

Un film che offre una riflessione importante sulla lotta tra realtà e menzogna, presente da sempre, confermata dai fatti reali che Polanski ci presenta, e mai come oggi così attuale, come attesta il futuristico mondo mediatico, capace di cambiare gli eventi e di trasformare chiunque in un nemico.

E viene fuori la descrizione di un sistema corrotto che ha sempre attanagliato i più deboli, ma anche i più veri, coloro che vivendo il proprio lavoro come missione hanno creduto e credono tuttora che le cose possano cambiare a discapito dei falsi, e a favore del mondo.

Uomini come Picquart, allontanato dall’esercito e da Parigi, Èmile Zola, accusato di calunnia per aver pubblicato l’editoriale J’accuse, una lettera al presidente della Repubblica in cui veniva spiegata l’oggettiva verità del colonnello, e condannato per questo a un anno di reclusione, e l’avvocato Fernand Labori, ucciso in un attentato poco prima della sentenza.

Un thriller perfetto dal punto di vista cinematografico, non solo per l’accurata descrizione di fatti storici, non sempre semplici da mettere in scena, ma anche per un film che di per sé è girato e studiato dettagliatamente, come dimostrano le favolose inquadrature che lo compongono, caratterizzate peraltro da uno straordinario livello cromatico.

Particolari importanti infatti emergono inevitabilmente, come l’impeccabile piano sequenza iniziale o la palese ricostruzione della belle époque francese in molte scene del film.

Un fattore quest’ultimo non da poco come dimostrano le scene raffiguranti la colazione sull’erba o le strade e i momenti di vita parigina, le quali riportano immediatamente alla mente gli omonimi quadri impressionisti di Claude Monet, o l’istantaneità di Gustave Caillebotte.

Colazione sull’erba (1895),
Claude Monet
Una strada di Parigi; tempo di pioggia (1877),
Gustave Caillebotte

Una cura per il dettaglio da sempre legata alla personalità registica di Polanski e che, non a caso, gli ha permesso di essere elogiato di molti riconoscimenti tra cui, per J’accuse, del Leone d’argento, Gran premio della giuria alla 76° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.

Elogi degni di un pilastro portante del cinema, come attestano opere di grande ricerca espressiva ed è ciò che a noi spettatori interessa, anche se Polanski con questo film, forse, ha voluto toccare un tasto bollente, l’accusa di violenza sessuale a suo discapito, e inviare un messaggio, che è appunto la lotta tra realtà e menzogna.

Maria Pettinato

È un’attesa scalpitante quella per l’uscita della seconda versione cinematografica di Diabolik diretta dai Manetti Bros, programmata per la fine del 2020.

Ebbene sì, perché Diabolik ha accompagnato intere generazioni e perché, nonostante le sue avventure sfidino i limiti legislativi, lui è un vero e proprio vip, uno di quei personaggi che entrano nella mente e nel cuore del lettore-spettatore e difficilmente vi escono.

È difatti nato nel 1962 quando le sorelle Angela e Giuliana Giussani, fondatrici della casa editrice milanese Astorina, ce lo hanno presentato sotto forma di fumetto garantendogli da subito un successo strepitoso.

Fama confermata dall’omonimo film in pieno stile sessantottino con tanto di spirito pop art, futurista e psichedelico diretto nel 1968 da Mario Bava.

Ma arriviamo al dunque… Diabolik, uomo misterioso, autorevole, sfuggente, sarebbe davvero quel Diabolik senza Eva Kant?

Ho sempre pensato, sin da bambina quando ogni settimana era tappa fissa in edicola a comprare il mio giornalino preferito, che in realtà la vera protagonista fosse indubbiamente Eva, femme fatale del fumetto italiano, dotata di fascino irraggiungibile, razionale, ma allo stesso passionale, abile nel gestire il marito e la sua temerarietà.

Questo personaggio, nato nel 1963, ha in realtà una storia precedente all’incontro con Diabolik, importante per comprenderla e giustificare il suo spirito di vendetta.

Figlia illegittima di Lord Rodolfo Kant, passa la sua giovinezza in un orfanotrofio, consapevole del fatto che la sua vita un giorno sarebbe cambiata, come dimostra la successiva fuga in Sud Africa e la carriera di spia industriale.

Prime immagini di Miriam Leone nel set di Diabolik dei Manetti Bros

La volontà di ritorsione viene fuori nel momento in cui scopre che, ad avere ucciso il padre, vittima di un intrigo familiare, ci ha pensato il cugino Anthony Kant che ingannato, sposa la stessa Eva. Un matrimonio concluso con l’omicidio di quest’ultimo per mano di una pantera nera inviata dalla stessa Kant.

Diabolik diretto da Mario Bava

Un racconto pragmatico legato a una donna cresciuta sola e per questo determinata e carismatica. Una personalità forte, apparentemente capricciosa e forse futile inizialmente, ma in realtà complessa intellettualmente e perciò autonoma nelle sue scelte e nelle sue azioni, viene fuori come tutti i protagonisti che si rispettino.

Marisa Mell nel ruolo di Eva Kant in Diabolik (1968, Mario Bava)

Non mancano infatti occasioni in cui è lei a muovere le redini, ad agire razionalmente, dimostrando sicurezza ed emancipazione dal marito.

E per questo è lei a salvarlo in varie occasioni, ma soprattutto a progettare azioni dalle quali emergono sfumature malvagie, ancor più diaboliche rispetto a quelle del re del terrore, Diabolik appunto, frutto della freddezza emotiva che la caratterizza.

Ma che la rende anche inevitabilmente perfetta non solo nel modo di agire, ma anche nella sua sensuale fisicità. Eva è infatti atletica, bella, curata, dai tratti nordici e con un cognome tedesco, diva si suol dire come dimostra la somiglianza alle più famose attrici degli anni Sessanta, partendo da Grace Kally per citarne una, alla quale le sorelle Giussani si ispirarono per la sua creazione.

Una bellezza intrigante e passionale, capace di travolgere Diabolik, attratto ovviamente da una donna di questo genere, capace di mantenere acceso il loro rapporto che è complice e duraturo e perciò spesso invidiato.

Legame moderno che attesta lo spirito innovatore degli anni Sessanta, in cui lei non è remissiva e nascosta dietro l’autorevolezza di un uomo come lui, ma è al suo stesso livello, se non addirittura più ingegnosa, ladra impeccabile e complice amante.

Caratteristiche non facili da interpretare, ma che sicuramente Miriam Leone, protagonista del prossimo Diabolik, riuscirà a presentarci impeccabilmente, non solo perché sensuale per natura, ma anche e soprattutto grazie alla già dimostrata bravura attoriale.

Maria Pettinato

Dopo il successo del Montecatini International Short Film Festival in cui ha ricevuto l’ambito Premio Innovazione Cinematografica, Mirko Alivernini è pronto a presentare al pubblico il suo nuovo atteso progetto Nika – vite da strada.

Nika – vite da strada è un’opera attuale e di profondo rilievo sociale. La violenza sulle donne, il bullismo e l’alcolismo sono temi presenti all’interno del film. È un lungometraggio in cui si trattano problematiche forti e dolorose ma in grado di produrre la forza necessaria per cambiare il proprio destino e salvarsi.

L’opera è stata girata interamente con uno smartphone; nello specifico i modelli P20 Pro e il P30 Pro della Huawei. Mirko Alivernini, da sempre innovatore, è infatti, il primo regista italiano ad utilizzare nelle sue opere una tecnologia a doppia intelligenza artificiale.

Il pregio di questi modelli di smartphone è la qualità tecnica fornita. Dotati di una doppia intelligenza artificiale, possono contare su una ottimale registrazione audio, su tre fotocamere con le prestigiose ottiche della Leica e sulla possibilità di utilizzare uno stabilizzatore; tutto ciò rende le immagini prodotte pulite e nitide anche tenendo in mano il dispositivo correndo. Questo consente di abbattere i tempi di realizzazione di ogni singola scena e quindi i tempi di lavorazione dell’intero progetto.

Negli Stati Uniti molte produzioni cinematografiche stanno iniziando ad utilizzare questa nuova metodologia ma, in Italia, Mirko Alivernini e la sua casa di produzione, la Mainboard Production, con sede a Cinecittà, sono i primi in assoluto a lavorare in questo modo.

“Il mio intento è quello di far capire agli addetti ai lavori e al pubblico che si può fare un cinema di alta qualità non utilizzando necessariamente dei metodi tradizionali. Il cinema è stupire e creare. Questa per me è la regola” dichiara Mirko Alivernini.

L’alta qualità del suo cinema gli ha consentito di ampliare il progetto: il lungometraggio, infatti, nato originariamente per le piattaforme sarà proiettato anche nelle sale cinematografiche, grazie alle tante proposte giunte dagli addetti ai lavori.

Nika – vite da strada è la storia di una ragazza che vive ai margini di una borgata di periferia romana alle prese con pesanti problemi economici familiari causati da forti debiti accumulati dal padre. La protagonista conduce una vita basata su combattimenti clandestini per consentirle di vincere somme di denaro ma incombe anche la figura di un losco strozzino il quale pretende in poco tempo la restituzione di un prestito. La giovane decide di farsi allenare in una palestra da un ex campione di pugilato con l’intento e l’obiettivo di sfidare nel titolo mondiale della sua categoria la campionessa del mondo in carica. Tuttavia i regolamenti sono chiari e appare difficile che la Federazione possa accettare di far disputare un incontro ufficiale ad una atleta senza alcun titolo. Come risolvere il problema e come trovare la soluzione più idonea per i debiti familiari?

Nel cast Noemi Esposito, Giulio Dicorato, Stefania Della Rocca, Luigi Converso, Andrea Sasso e Vincent Papa.

Le musiche originali del film Nika – vite da strada sono ad opera di Giordano Alivernini (canale Youtube: www.youtube.com/aliverjmusic).

Comunicato stampa di Miriam Bocchino, L’Altrove Ufficio Stampa

Mirko Alivernini, classe 1980, è un attore, autore, regista e conduttore romano che fin da giovanissimo sviluppa un amore sviscerale per l’arte e il mondo dello spettacolo, facendo diventare la sua passione una professione. Inizia, infatti, la sua carriera in televisione, dove debutta nel 2004 a livello regionale e successivamente nazionale. Fonda, in seguito, una sua casa di Produzione insieme ad Alessio Purger, la Mainboard Production, con sede a Cinecittà. Cura e crea molti format televisivi, per poi approdare ai film nel 2010 con Storie di Borgata in cui è autore e attore e per cui vince un prestigioso premio al Premio Euro Mediterraneo a Roma. I suoi lavori riscuotono successo, conquistando il pubblico e la critica. La passione e il talento gli fanno ottenere importanti riconoscimenti. Nel 2016 la serie tv Il Potere di Roma, prodotta nel 2015, in cui è autore, regista e protagonista, viene premiata all’International Rome Web Festival come Miglior Idea Originale ed ottiene la qualificazione al Washington Web Festival, dove nella primavera nel 2017 ottiene un altro riconoscimento. La serie tv era l’unica produzione italiana a partecipare al concorso negli Stati Uniti.

Nel 2017 con il cortometraggio prodotto nel 2016 L’Ultimo Pescatore, per la regia di Gianluca Della Monica, in cui Mirko Alivernini è protagonista, ottiene il Premio Vincenzo Crocitti. Il 2017 è l’anno in cui Mirko Alivernini accresce ulteriormente le sue produzioni dedicandosi come autore, regista e attore protagonista, al mondo del web system con il film Il Ribelle, uscito sulla piattaforma Shout Distribution. Seguirà Il Ribelle 2 – Escape from the City e il cortometraggio Armageddon. Nika – vite da strada è il suo ultimo progetto di prossima uscita nelle sale cinematografiche e sulle piattaforme smart tv e web.

La forza dell’amore è il tema centrale di un film dal quale apparentemente traspare complicità per le tematiche affrontate, Tutto il mio folle amore diretto dal premio Oscar Gabriele Salvatores.

In realtà di complicato non ha nulla, perché non c’è niente di più semplice che il naturale legame tra genitore e figlio. Così puro e genuino che a volte ci si commuove solo a immaginarselo, figuriamoci a viverselo.

È la storia di Vincent (Giulio Pranno), un ragazzo autistico cresciuto con la madre Elena (Valeria Golino) e il padre adottivo Mario (Diego Abatantuono). Una famiglia tenuta in piedi da un fragile equilibrio, che però si rompe quando Will (Claudio Santamaria), padre biologico del ragazzo, chiede di poterlo incontrare.

Una richiesta alla quale segue l’ira di una donna che è stata abbandonata sedici anni prima da un uomo che amava e dalla fuga del loro figlio il quale, a insaputa dei tre, si nasconde nel furgone del famoso cantante nei Balcani.

Ed ecco che un ragazzo “strano” comincia il suo viaggio con un uomo altrettanto “strano”, un padre che non odia perché lui, Vincent, è diverso da tutti gli altri, lui ama davvero, lui non prova rancore. Non sa cosa sia e perciò chiede solo amore.

Un amore folle. Perché la follia è ciò che lo muove, nella sua genuinità, nella sua verità.

E strano è un viaggio dal quale emergono assieme ai sentimenti, gli aspri paesaggi sloveni e croati che mano a mano si addolciscono lasciando il posto alla dolcezza e alla calma del mare. Metafora di un cambiamento che tocca il cuore di tutti i personaggi del film.

Tema caro a Salvatores che, in un certo senso, Mediterraneo ce lo vuole ricordare qua e là riprendendo con la macchina da presa i valori genuini e la purezza insiti nelle piccole cose offerte dalla vita, da un semplice tramonto a un matrimonio gitano, dal vento sulla faccia allo sguardo di un cavallo salvatore.

La vera musica della nostra esistenza, ciò che la movimenta, la diversità. Centrale perché è ciò che diffonde note di colore.

E quando Elena – madre arrabbiata con la vita perché questa l’ha colpita violentemente punendola dei suoi errori – si accorge che la bellezza è proprio in quelle cose, ecco che, finalmente, si perdona e comincia a vivere.

E lo fa nella diversità di suo figlio, in quella di Will, in quella di un popolo che ha vissuto la sofferenza ma che ne è uscito con gioia, in quella di un marito che l’ha salvata, ma soprattutto e consapevolmente nella sua.

Una pellicola tratta dal romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Flavio Ervas, nato a sua volta da una storia vera e proprio per questo reale, forte a volte, ma unica nella sua semplicità. Perché è famiglia e come tale è bonaria.

Figlia di un film da definirsi perfetto dal punto di vista critico, non solo per quanto riguarda il ritorno sul podio di Salvatores, regista nostrano e perciò artigiano come ormai pochi rimasti, ma anche quando si parla degli attori che lo hanno reso così speciale, da una malinconica e combattente Golino a un equilibrato Abatantuono che, ancora una volta, ha trionfato.

Degna di nota è l’emblematica interpretazione di Giulio Pranno, per la prima volta nelle vesti di attore. Un ruolo, quello di Vincent, non semplice da mettere in scena, ma a dir poco riuscito.

Così come eccezionale è quella di Claudio Santamaria, il cui carisma ancora una volta traspare nel ruolo di un personaggio debole e perciò vittima dei suoi stessi errori, ma allo stesso tempo voglioso di farcela, di dimostrare a se stesso e a Vincent di essere padre prima di tutto.

Ma anche uomo, e non più solo il Modugno della Dalmazia. Soprannome-omaggio al cantante pugliese che emerge non solo nello stile e nelle canzoni offerte dal personaggio durante il suo tour nei Balcani, come Nel blu, dipinto di blu o Tu si na cosa grande, ma anche nel titolo stesso del film, Tutto il mio folle amore, verso della canzone Cosa sono le nuvole.

Musica non da poco, confermata peraltro dalla scelta di usare come colonne sonore le autorevoli e azzeccate Vincent di Don Mc Lean e Next to me degli Imagine Dragons.

Maria Pettinato