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Archivio tag: JEAN ANTOINE WATTEAU

Non credo esista persona che non conosca la Commedia dell’Arte o che comunque non vi sia entrata a contatto almeno una volta nella vita. Le sue maschere fanno parte della nostra tradizione popolare, così come i suoi caratteri e le sue espressioni artistiche. Chi non ha visto almeno una volta, in contesti carnevaleschi ad esempio, le maschere di Arlecchino o Pulcinella o Colombina?

La Commedia dell’Arte fa quindi parte del nostro linguaggio, non solo per le sue rappresentazioni e i suoi personaggi, ben saldi da epoche remote, – si parla addirittura di Antica Roma – ma anche perché i suoi caratteri la rendono totalmente vera, unica, anche se imperniata di comicità.

Le sue maschere sono infatti “astute, ruffiane, a volte ignoranti e volgari”, un po’ come noi, e si ritrovano sempre, proprio a causa della loro superficialità e furbizia, in situazioni imbarazzanti e diciamo anche un po’ tragiche e grottesche, anche se poi fanno divertire.

Ma per quanto sembrino dotate di frivolezza e leggerezza, queste maschere hanno fatto la rivoluzione nel vero senso della parola, inserendo la donna nella rappresentazione teatrale, sostituendo il testo dialogato con l’improvvisazione basata su una traccia chiamata canovaccio, entrando a far parte del linguaggio popolare e diventando in tal modo vere e proprie protagoniste non solo in campo teatrale, ma anche iconografico.

Interessante infatti è notare come siano diventate soggetti artistici e lo siano rimaste per secoli attirando l’attenzione di incisori e pittori che ci hanno regalato dei veri e propri capolavori, ma anche strumenti di ricerca per gli storici del teatro.

Mi riferisco a Jacques Callot, incisore dei ventiquattro Balli di Sfessania (1616 circa) in cui sono riconoscibili i costumi e i tipici movimenti dei Comici dell’Arte, o a Claude Gillot e al suo Scène des Carrosses (1722) che ci offre una caratteristica tipica della Commedia, il travestimento da donna.

E poi ci sono gli artisti che hanno raffigurato la Commedia dell’Arte in un modo diverso, unico, presentandoci la maschera nella sua interiorità, nella sua verità. Non è più frivola, superficiale, ma è dotata di sentimento perché è nostalgica, è tragica, è umana.

Il primo è Jean Antoine Watteau che con il suo Gilles (1718-1719) ha raffigurato non solo un Pierrot in tutta la sua malinconia, ma anche un’epoca come quella settecentesca che sta abbandonando i grandi ideali della moralità per lasciare spazio alla decadenza culturale e umana. La maschera è perciò nostalgica, spaesata di fronte alla perdita dei valori sociali.

Epoca diversa, ma un’interpretazione simile è quella di Pablo Picasso che ne I Saltimbanchi (1905) si immedesima nella figura di un Arlecchino incapace di reagire perché chiuso in una vita ormai materiale e priva di emozioni, raffigurando in tal modo il disagio interiore del genere umano.

Riproduzioni uniche sono riuscite quindi ad offrirci testimonianze differenti che spaziano dalla raffigurazione della pratica scenica, della gestualità e della mimica, all’utilizzo della maschera come mezzo per manifestare la tristezza della società.

Maria Pettinato