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Archivio tag: CATARSI

Quando si parla di energia le interpretazioni variano fortemente, anche se sono tutti concordi sul fatto che essa sia in primis il motore che guida la nostra interiorità e quella degli altri.

Energia è infatti azione, vigore, dinamismo, forza, e per questo può considerarsi il vortice dinamico della nostra esistenza.

La sua essenza è presente in noi stessi, nel nostro movimento, nella nostra voce, nelle nostre qualità intellettive, ma anche nella bellezza della natura. La vediamo in effetti nella luce del sole, nel movimento della luna, nei cambiamenti climatici, nel dinamismo del mare.

Ma se noi volessimo darle una forma o un colore o se volessimo semplicemente accostarla a uno stato d’animo?

Lo ha fatto – e lo fa – l’arte figurativa che da sempre ha manifestato la grande capacità di presentare all’osservatore, in modo personalizzato, ciò che vive-viveva nella mente dell’artista. In un certo senso la sua energia.

È difatti dimostrato scientificamente come gli impulsi ricevuti dal cervello vengano trasmessi sulla tela dopo essere entrati in simbiosi con l’emozione e l’istinto.

Un connubio perfetto si direbbe perché è da questo che si creano sensazioni ed emozioni di grande impatto quando quella tela la si ha davanti e che spiegherebbe il concetto di catarsi, associato spesso all’arte.

Ma andiamo a vedere alcuni degli artisti e i rispettivi movimenti artistici che hanno incentrato la propria essenza sulla raffigurazione di ciò che per loro poteva definirsi energia.

Il primo è decisamente il Romanticismo, movimento artistico nato tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800, il quale ha impostato, nella sua corrente naturalistica, il sublime come concetto chiave.

L’energia della natura in tutte le sue sfumature è potente e vitale, capace di schiacciare l’uomo, impotente, piccolo, un puntino di fronte alla suprema immensità.

Grande esponente di questo pensiero è William Turner che, mediante un altissimo livello di astrazione e una materia pittorica molto spessa, presenta un piccolo uomo di fronte alla potente energia luminosa nel dipinto del 1843 intitolato Luce e colore. Il mattino dopo il diluvio.

Luce e colore. Il mattino dopo il diluvio (1843)

La luce qui è ambivalente, così come la natura, perché è colei che può distruggere e creare a suo piacimento. È amica e nemica dell’essere umano.

Un uomo che diventa però il protagonista da un punto di vista dinamico, di forza e di movimento quando si parla di un’altra corrente artistica, il Futurismo.

Ad emergere a riguardo è la necessità di esprimere il reale attraverso il concetto di energia dinamica, sinonimo di sintesi e velocità. Elementi che solo l’uomo e la sua innovazione possono esprimere.

Ed ecco che l’energia è rappresentata dalla città fatta di lavoro e meccanizzazione in La città che sale (1910), dipinto realizzato da Umberto Boccioni, uno dei maggiori esponenti della grande avanguardia italiana, la cui data di nascita è convenzionalmente associata al 1909 e quindi alla pubblicazione de Il manifesto futurista di Filippo Tommaso Marinetti.

La città che sale (1910)

Un dipinto dai colori caldi quello di Boccioni, sinonimo di passione, di forza, ma anche di vitalità primordiale rappresentata metaforicamente dall’immagine del cavallo, frammentata e replicata quattro volte per esprimere la rapidità del movimento, ma allo stesso tempo il confronto tra civiltà meccanica ed energia iniziale.

L’energia però è anche sentimento, intensità, emozione individuale. E l’arte, nella sua essenza, trasmette anche quella.

Questo è un concetto chiave per comprendere un altro movimento artistico, più attuale, ma a mio avviso più intenso rispetto ad altri: l’Action painting.

Un modo di dipingere l’azione e il sentimento in modo dinamico, automatico, in cui non è più “l’oggetto” il protagonista, ma è finalmente l’atto del dipingere.

È colore che cola attraverso la tecnica del dripping, è scelta cromatica e tutto ciò che ne scaturisce. Travolge, graffia, attacca nella sua forza creando impatto e comunicando impulso.

Ora difatti i protagonisti sono l’espressione, l’inconscio, le pulsazioni dell’artista, e quindi la sua energia interiore. Ecco che l’arte diventa esperienza liberatoria allo stato puro.

Convergence (1952)

L’esponente principale di tale azione è Jackson Pollock, per il quale la tela, come si nota in questo dipinto del 1952 appartenente alla serie intitolata Convergence, è un’arena in cui la sua psicologia, il suo gesto e il suo stato d’animo escono fuori e comunicano forza all’osservatore-spettatore invadendolo letteralmente e offrendogli così un’esperienza unica.

Maria Pettinato

Avete presente la “catarsi”? Quella sensazione di liberazione, di sprigionamento delle proprie energie, emozioni, stati d’animo magari repressi. Un momento che nella vita bene o male ognuno di noi ha provato almeno una volta.

Può essere intesa come la liberazione da una situazione o persona danneggiante per il proprio essere oppure, come riteneva Aristotele, dalle passioni che inducono al male dell’anima.

La domanda che sorge spontanea è: cosa c’entra in tutto ciò la figura del grande filosofo greco? Ovviamente è associabile alla cosiddetta Grecia classica, periodo di estrema importanza per ciò che riguarda la nostra storia intesa nelle sue varianti filosofiche, mediche, psicologiche. Importante è però specificare come questa era sia significativa anche dal punto di vista del teatro inteso come esperienza di unione.

Ma partiamo dall’inizio descrivendo sinteticamente le caratteristiche basilari del teatro greco (V secolo a.C). Si svolgeva innanzitutto in tre periodi dell’anno corrispondenti a tre feste in onore del dio Dioniso (le Grandi Dionisie, le Lenee e le Dionisie rurali) in un edificio generalmente costruito in collina per sfruttarne la pendenza.

Teatro greco ad Atene

Questo era dotato di scenografia e di uno spazio detto orchestra dove presumibilmente era inserito il coro, da definirsi la metafora di giudizio nella rappresentazione teatrale.

L’aspetto più importante di questo periodo è pressoché uno ed è la capacità di creare una simbiosi vera e propria tra attori e spettatori i quali andavano a vivere un’esperienza unica che provocava il cosiddetto fenomeno della “catarsi”, da intendersi come una sorta di purificazione dell’anima.

Il tutto avveniva prevalentemente tramite il genere della tragedia, la quale suscitava nello spettatore la riflessione necessaria per “rinascere puro” offrendogli l’occasione di liberarsi dagli impulsi, dalle passioni che provocavano inciviltà, ingiustizie, vessazioni.

Edipo re di Sofocle interpretato da Franco Citti nel film di Pier Paolo Pasolini (1967)

La rappresentazione di storie appunto tragiche nelle quali i protagonisti finivano per morire o “sopravvivere” con sensi di colpa, rimorsi, angosce, conseguenze di scelte irrazionali, offrivano allo spettatore la possibilità di lasciarsi coinvolgere dagli stessi “peccati”, di immedesimarsi e perciò di non viverli nella realtà quotidiana.

Ad ampliare le sensazioni di tormento del protagonista ci pensava la maschera, fondamentale mezzo di riconoscimento del personaggio stesso in quanto costituita da caratteri distintivi, lacrime per la tragedia e sorriso per la commedia, oltre che un mezzo di amplificazione della voce vista la distanza tra attore e pubblico.

Esempio di maschera greca

Essa può essere inoltre interpretata come la metafora dell’irrazionalità e del trasposto della passione che oscura e domina quello che realmente si è: una bellezza fanciullesca e pura.

Maria Pettinato