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Archivio categorie: Cultura

Rallegratevi dei vostri poteri interiori perché sono la fonte della vostra salute e della vostra perfezione

Ippocrate

È da tale principio che nasce in Nadia Forte e Iolanda Di Lionardo l’idea di unire il proprio bagaglio professionale fornendo così, attraverso un massaggio a quattro mani, un aiuto concreto alla persona che si va a trattare, ma anche semplicemente un momento di rilassamento.

Il progetto di dar vita a un nuovo trattamento unendo il Naiadis®, massaggio bioenergetico brevettato dalla Forte, e il micromassaggio cinese, di cui è specializzata Iolanda, si è sviluppato nel corso degli anni ed è cominciato nel momento in cui, effettuando insieme un massaggio, le due operatrici notarono una sinergia nel tocco di determinati punti.

Due massaggi apparentemente differenti hanno dimostrato di essere in realtà molto simili oggettivamente.

Il micromassaggio cinese infatti si caratterizza per la pressione su alcuni punti del corpo (detti agopunti) che stimolati aiutano a riequilibrare l’intero organismo della persona trattata; il Naiadis® fa fondamentalmente lo stesso, ma lo stimolo del punto non è studiato razionalmente. Può infatti definirsi un tocco speciale, quasi platonico.

Con Iolanda c’è una vera e propria affinità. Ho trovato in lei sin dall’inizio la persona che avrebbe arricchito me stessa e il mio lavoro, è come se mi desse certezza. Quando mi ha trattato per la prima volta ho sentito il suo potenziale” spiega Nadia parlando della sua collega, la quale a sua volta ci parla così dei trattamenti della Forte: “Ho riscontrato dei risultati fisici e mentali attraverso il Naiadis®. Il suo massaggio mi ha aiutata a reagire, a cambiare. Nadia ha creduto in me dall’inizio”.

Una complicità professionale riscontrabile in quella sorta di completamento che va a crearsi tra le due operatrici durante il massaggio. La passionalità di Nadia diventa infatti un tutt’uno con la razionalità di Iolanda e questo binomio è fondamentale per dar vita a un trattamento a quattro mani.

Sono una persona molto metodica” dice la Di Lionardo, “e questo spiega la mia decisione di frequentare negli anni molti corsi, per me fondamentali perché mi hanno fornito spiegazioni logiche. I due massaggi si integrano perché viaggiano sulla stessa linea d’onda, proprio perché due figure così diverse come noi sono in realtà simili in campo professionale”.

È come se due facce della stessa medaglia si incontrassero sprigionando così l’energia necessaria per raggiungere uno scopo comune: riequilibrare l’aspetto psicofisico.

“Con la sintonia giusta si può raggiungere l’obiettivo, che è quello di aiutare gli altri non solo dal punto di vista fisico, ma anche emotivo. Questa è una base antica, addirittura legata al primo medico della storia, Ippocrate, ed è proprio partendo da questo principio che ho integrato il mio lavoro con gli Oli essenziali Naiadis, importanti per risvegliare i sensi, ritrovare la propria sicurezza, ristabilire un rapporto armonioso tra mente e corpo riportandoli in sintonia tra di loro”, sottolinea la Forte.

Armonia è dunque il termine adatto per comprendere ciò che vi è dietro a un trattamento che non solo offre alla persona un momento di stacco dai problemi di ogni giorno, ma anche l’occasione per ritrovare una serenità fisica e mentale e per provare un massaggio innovativo, eseguito da due operatrici preparate e competenti che, attraverso creatività e passione per il proprio lavoro, hanno progettato negli anni un momento di sincera evasione.

Maria Pettinato

Di tutti i campi collaterali al mondo dell’arte, sembra che lo studio per le copertine degli album musicali a 33 giri abbia a lungo tempo offerto lo scopo principale per l’evoluzione creativa del disegno commerciale.

Fino a che il compact disc non ha rivoluzionato il mercato dell’ascolto e le dimensioni degli involucri, sono state prodotte milioni di copertine e un numero considerevole di queste sono ancora in circolazione.

Una buona collezione di dischi rappresenta di solito una parte importante e significativa nella vita di chi ama la musica, e di conseguenza anche le copertine assumono lo stesso significato, certamente non ridotto alla sola funzione protettiva.

Le informazioni che esse forniscono sul contenuto del disco non si limitano solo alle parole ma vengono espresse più chiaramente e immediatamente dal disegno o dalla risoluzione grafica o fotografica che spesso denota e sottolinea il contesto in cui è collocabile il disco stesso, facendone al contempo un fattore pubblicitario facilmente riconoscibile ed efficace.

Mentre la ricerca di immagini e la ricchezza delle tecniche utilizzate è dovuta principalmente alla loro qualità di oggetto destinato a durare nel tempo, a differenza ad esempio degli involucri per cibo o per profumi a cui vengono invece attribuiti criteri di impatto commerciale, e che vengono gettati via quando il prodotto è stato consumato.

Differentemente anche dalle copertine dei libri che “soffrendo” della loro tradizione per così dire “classica”, tendono a rimanere anonime rispetto al contenuto e solo sporadicamente riportano immagini quasi sempre non rilevanti dal punto di vista artistico o di costume.

Questo ha portato dunque alla considerazione che il contesto grafico della copertina di un long playing potesse e dovesse avere prerogative tali da essere validamente considerato come risultato artistico, facente parte della compiutezza stessa dell’opera musicale, rispecchiandone o annunciandone il feeling ma anche avendo essa stessa prerogative, sfumature, riferimenti o significati propri.

Lo spazio modulare di 12 pollici per lato e da una parte può costituire una limitazione alla verve creativa, e peraltro anche una valida sfida alla ricerca ed interpretazione immaginativa, la quale trova nelle dimensioni standard degli ‘LP una condizione imprescindibile di sintesi, dove poter esprimere adeguatamente e in modo fantasioso concetti, idee o intuizioni, in rapporto al momento musicale e soprattutto di costume che quel determinato prodotto discografico rappresenta.

La grande varietà e diversità degli stili musicali ha aperto infinite possibilità al cover design, sia pur molte volte in disaccordo con la politica commerciale delle grosse case discografiche, le quali tendono a non sentire come necessario uno studio approfondito di tale settore reputato marginale e secondario rispetto ai costi di realizzazione.

Nelle grandi compagnie spesso le diverse fasi di produzione non entrano in contatto tra di loro, ed il lavoro è mosso da criteri di valutazione legati sopratutto ad una logica di mercato più che alla validità complessiva del prodotto.

Sono invece le piccole etichette indipendenti ad aver avuto il merito di essere state maggiormente consapevoli di questo potenziale apporto artistico.

Avendo un totale coinvolgimento in tutto l’iter della creazione di un disco, i piccoli operatori hanno sviluppato un genuino interesse nel collegare l’approccio musicale a quello visuale, insieme alla maggiore capacità di rischiare commercialmente anche dal punto di vista musicale.

Alla musica jazz degli anni ‘40 va il grande merito di aver rivoluzionato il sistema discografico. Dall’ingombrante e poco capiente 78 giri si è passati al più veloce sistema di ascolto del 33 giri e un terzo stampato in vinile, materiale che possedeva anche prerogative di minor peso, maggior resistenza e fedeltà di riproduzione rispetto alla ceramica dei primi dischi in commercio.

Il jazz di quell’epoca è una musica che si impone come rivoluzionaria, rispetto all’ambiente di provenienza popolare e di derivazione culturale “nera”, sia proprio dal punto di vista della composizione musicale, dei tempi e delle interpretazioni tra i vari strumenti.

Musica veloce, ritmata, di rottura rispetto a tutta la tradizione musicale occidentale, si diffonde con successo tra le giovani generazioni americane prima, ed europee in secondo tempo, proprio per la sua anima libera dai condizionamenti della greve cultura classica.

Di conseguenza anche gli involucri di carta prima e di cartone poi, che contengono i dischi jazz vengono studiati in modo che abbiano un impatto “colorato” sul pubblico.

Sia nell’iniziale studio formale e cromatico del marchio discografico, che appariva preponderante nelle prime edizioni musicali, sia successivamente nella vera e propria costruzione della copertina l’impronta jazz era facilmente riconoscibile.

La grafica, ancora molto semplice, evidenzia più le prerogative della casa discografica che quelle vere e proprie della registrazione o dell’artista, andando però via, via, sviluppando la tendenza ad inserire immagini a colori dell’autore o dell’orchestra ritratti di solito in modo semplice e diretto.

Il primo dato sociologico con cui dovrà confrontarsi il design degli album discografici si presenterà più tardi, negli anni ‘50, quando il blues ed il sound di colore prenderà piede nei gusti del grande pubblico.

All’epoca le copertine erano spesso corredate da immagini fotografiche degli esecutori, ma nella democratica America veniva ancora considerato socialmente e moralmente degradante mostrare le immagini di artisti di colore.

Per questo motivo la maggior parte delle Cover-production Blues di quel decennio riproduce un’idea “bianca” riconducibile ad un contesto “etnico” della musica blues: personaggi anonimi del popolo nero, seduti in un patio o in cammino quasi sempre con la chitarra, nel suggestivo paesaggio del Sud.

Dopo aver faticosamente superato l’impatto razziale, per molti anni le Jazz-cover hanno teso ad una sostanziale sobrietà realistica dell’immagine per distanziarsi ed evidenziarsi rispetto al “romanticismo tradizionale” o alla seriosità datata che abbondano invece sulle copertine dei dischi di musica classica, mai, peraltro, approdate ad un linguaggio stilistico tale da rendere merito alle profondità immaginifiche che la musica classica possiede.

Nell’ambito jazz degli anni ‘60 è da ricercarsi anche la prima copertina apribile a due ante, edita dalla Impulse Records americana ed i pregevoli lavori fotografici di Wolff, per la Blue Note, di Bob Fischer per la RCA e di Toni Frissel per la United Artist Records.

Per la Blue Note tra il 1957 e il 1958 lavorerà anche Andy Warhol nella realizzazione di due cover per altrettanti ‘LP di Kenny Burrell.

Con il passare del tempo la ricerca jazz è andata intellettualizzandosi, e fondendosi con altre sonorità musicali, staccandosi sempre più dall’ambito popolare che l’ha vista nascere.

Perciò, essendo sempre più rivolta ad un pubblico specifico, la produzione jazz non ha avuto bisogno di immagini eclatanti e colori sgargianti, né di seguire particolari condizionamenti delle mode, pur non mancando mai di giocare linguisticamente con temi grafici molto diversi tra loro come l’umorismo, il mondo delle fiabe, il collage surrealistico.

Esistono anche esempi di primitivismo etnico, di riferimenti all’Arte Moderna o di feroce satira verso la produzione classica: senza però che sia mai stato abbandonato un certo stile sobrio ed elegante.

Ne sono conseguite scelte raffinate e molto curate delle fotografie, delle impostazioni scritturali e grafiche ed una ricerca estetica dell’impaginazione che ha creato vere e proprie linee di tendenza stilistiche per cui data una copertina già si riconosce l’impronta inconfondibile dello stile e del tipo di ricerca musicale proprie della casa discografica che l’ha prodotta.

Emblematica in tale senso è l’etichetta tedesca ECM Records (Eicher Club Music) fondata nel 1979 da Manfred Eicher per coniare un nuovo modo di intendere il jazz nei suoi risvolti di perfezione tecnica, di ricercatezza delle sonorità o di fusione etnologica.

Nell’ECM sono confluiti musicisti come Don Cherry (scomparso recentemente), John Abercrombie, Gavin Bryars, Jon Hassell, Ralph Towner ed altri della stessa levatura.


Manfred Eicher ha sempre avuto una particolare sensibilità verso gli involucri dei suoi album, curatissimi dal punto di vista ipaginativo.

Fotografi come Roberto Casotti, Franco Fontana, Luigi Ghiri e Frieder Grindler sono pregevoli autori di molte delle covers ECM, mentre l’aspetto grafico è quasi sempre affidato al raffinato gusto estetico di Barbara Wojirsch. Del 1980 è la copertina firmata Michelangelo Pistoletto dell’album Ah per il quartetto di Enrico Rava.

Per quanto riguarda il jazz inglese, soprattutto degli anni ‘70, vorrei infine soffermarmi sulla casa discografica Vertigo Records, la quale ha posto come etichetta tonda al centro del disco di vinile una delle “spirali” di Marcel Duchamp che ruota di fatto quindi, proprio a spirale come è nello spirito originale dell’opera duchampiana.

Della Vertigo Records vorrei citare le copertine di Ian Carr e dei Nucleus realizzate in stile cartoon da Keith Davis o da Roger Dean che più tardi svilupperà l’illustrazione fantastica nell’ambito pop, in particolare le copertine degli Yes e di altri noti gruppi rock inglesi dell’epoca.

Cristina M. D. Belloni

La cultura è uno stato d’animo e per tale motivo ha la capacità di esercitare una notevole influenza sul nostro modo di pensare e quindi di vivere e di comportarci.

È cultura tutto ciò che riguarda la nostra persona e perciò non è limitata a mera conoscenza intellettuale. Anche se, ahimè, il pensiero occidentale l’ha definita più volte un elemento razionale imprescindibile al nostro benessere. Molto all’illuminista per dirla corta!

In realtà le cose anche qui stanno cambiando. Il pensiero attuale infatti comincia a orientarsi verso aspetti diversi, i quali richiamano luoghi e tematiche orientali incentrate sul benessere mentale e fisico, fondamentali per vivere nel migliore dei modi, soprattutto in questo periodo storico, caratterizzato da stress e alienazione, due veri e propri mali per la nostra salute.

Ma per farlo occorre affidarsi alle mani di personalità preparate professionalmente. L’Artefatto ha incontrato una di loro, Iolanda Di Lionardo, operatrice olistica imperiese specializzata in riflessologia plantare e in micromassaggio cinese.

Due tipologie di massaggio incentrate sul “riequilibrio dell’energia vitale, fondamentale per il benessere psico-fisico permettendo all’individuo di vivere in serenità con se stesso e con il mondo circostante” ha precisato la Di Lionardo che, con costanza e passione ha frequentato importanti corsi che le hanno permesso di sviluppare le proprie capacità.

“Oggi si lavora sulla persona trattata da un punto di vista energetico, quindi fortunatamente in tal senso si sta praticando un’evoluzione culturale”, spiega. “È infatti importante conoscere la causa di un malessere e lavorare su di essa, anziché oscurare il problema. È quindi essenziale uscire da determinati schemi interiori”.

Ed ecco che viene fuori lo scopo di queste due terapie, nate dalla medicina cinese e incentrate sul tocco di precisi punti del corpo, per ciò che concerne il micromassaggio cinese, e in particolare del piede e della mano per quanto riguarda la riflessologia plantare.

In quest’ultimo caso, precisa la Di Lionardo, “il massaggio viene effettuato esercitando una pressione decisa sui cosiddetti ‘punti riflessi’, sempre tenendo conto della percezione e risposta al dolore di chi riceve. Ad esempio: se la persona che vado a trattare lamenta dolori alla testa concentrerò il massaggio sul ‘punto riflesso’ corrispondente in questo caso all’alluce del piede”.

E come si fa a capire che è quello il punto adatto e corrispondente alla problematica della persona trattata? “Bisogna partire dal presupposto che il piede è lo specchio della nostra persona e come tale ogni suo punto corrisponde alla problematica fisica”.

“Mi spiego meglio… Il piede è suddiviso in vere e proprie zone riassumibili in mentale, emozionale, intimo-profonda e istintivo-sessuale. A loro volta queste zone corrispondono ai nostri organi. Se una di queste ‘emozioni’ viene colpita, a sua volta verrà colpito l’organo corrispondente. Partendo dalla causa può risolversi il problema fisico e ovviamente quello mentale”.

Trattamenti importanti per la nostra persona che, se eseguiti con costanza, la trasformano interiormente rendendola più consapevole e determinata nel voler agire e risolvere il ‘problema’ una volta per tutte.

Fondamentale è dunque il concetto di vita in sé che secondo l’antico pensiero cinese è “un circolo continuo e come tale è legata sotto ogni aspetto alla natura, che è anch’essa trasformazione e movimento costante”, caratteristiche non da poco per comprendere i nostri cambiamenti fisici ed emotivi in corrispondenza ad esempio a quelli delle stagioni.

È importante dunque entrare nel profondo della persona trattata e ottenere così la sua fiducia. Un aspetto questo non sempre facile da raggiungere, soprattutto quando si parla di persone anziane, diciamo più diffidenti rispetto ad altre, a causa di mentalità e idee diverse.

Una questione delicata è ad esempio la difficoltà dell’anziano, e non solo, nello spogliarsi davanti a una persona comunque estranea. Iolanda ha voluto precisare in tal senso che “sia il micromassaggio cinese, sia la riflessologia plantare si possono effettuare benissimo anche da vestiti, in quanto la pressione sui punti trattati viene raggiunta efficacemente anche in tal modo”.

Inoltre, per tutti coloro che hanno problemi nel raggiungere il centro estetico L’Isola che c’è (Via G. Straforello 32, Imperia), con il quale collabora, è da lei offerto il trattamento a domicilio. Un elemento a dir poco positivo, soprattutto per persone con problematiche motorie.

Concludiamo l’articolo augurando un grande in bocca al lupo alla nostra Iolanda Di Lionardo e un buon massaggio a voi cari lettori!

Maria Pettinato

IOLANDA DI LIONARDO

Ha conseguito il Corso biennale di formazione professionale per operatore di riflessologia plantare presso l’Associazione culturale Bios di Genova (2013), il Corso di riflessologia avanzata (2015) e il Corso di micromassaggio cinese (2015) presso La Verbena di Albenga.

È operatrice olistica a domicilio e collabora con il centro estetico imperiese L’isola che c’è.

Contatti: tel. 339 7379417, mail. idilion@libero.it

Sono passati tre anni dal terremoto del 24 agosto 2016, tre anni da quando Amatrice si è spenta assieme a quasi trecento persone portando via con sé la serenità dei suoi abitanti.

Le sue case, le sue cento chiese, i ricordi e le emozioni di quei luoghi si sono trasformati in Memoria.

E per fortuna la musica ha la capacità di lasciare un’impronta tale da farli ancora vibrare, come fa l’arte delle sue chiese che riesce comunque a rimanere, nonostante anch’essa ha smesso di esistere da quella maledetta notte.

Un vero e proprio patrimonio artistico mantenuto in vita dal commovente Matrix Pulcherrima, canto malinconico in versi di Concetta Persico, accompagnato dalla musica di Camillo Berardi, suonata al pianoforte da Emanuele Mancini, ed eseguito vocalmente da Mara Vittori.

Una melodia struggente e così dolce da strappare a chi l’ascolta una lacrima, ma allo stesso tempo un sorriso, se pur nostalgico, come se dalle sue emozionanti note trapelassero episodi e momenti di quotidianità insiti in quei luoghi.

Delicata dedica d’amore dal cui testo, scritto dalla Persico in un vernacolo dell’alta Sabina, traspare il viscerale attaccamento per la propria terra, che è sinonimo di origini, famiglia, legame.

Ricordi che tornano alla mente nei sogni in cui Amatrice è luce trionfante sull’oscurità della notte e per questo capace di riaccendere l’emozione nel cuore.

E le opere quattrocentesche che ornavano le chiese amatriciane vengono illuminate da quella stessa luce e cullate da una sorta di ninna nanna caratterizzata da armonie diverse tra loro come attesta, per tutta la sua durata, la successione di svariati accordi.

Matrix Pulcherrima è in tal modo un canto materno, un dolce ricordo, talmente intimo e sentito da trascinare con sé l’ascoltatore, che entra in un’atmosfera surreale in cui gli affreschi di Amatrice, con tutta la loro originale eleganza, assieme ai sogni, ai sorrisi e alle speranze emergono ancora più belli di prima.

Maria Pettinato

Il Festival di Venezia 2019, o meglio la 76° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, sta per concludersi e anche quest’anno ha garantito l’occasione per esporre le proprie creazioni filmiche, ma anche e soprattutto per esporsi.

Perché è ormai chiaro a tutti il fatto che il Festival di Venezia in realtà non sia solo e semplicemente un evento culturale, un momento di dibattito intellettuale, la Manifestazione cinematografica con la “M” maiuscola, organizzata con passione e competenza dalla rinomata Biennale di Venezia.

Eh no, cari miei! Venezia a fine estate è il Festival, è la Rassegna, è l’Occasione tanto attesa per pubblicizzarsi, presentarsi, mostrarsi tra tanti e tante.

Ma in realtà ahimè, a emergere dalla passerella rossa, nella massa di attori, fashion blogger (o presunte tali!), influencer e tutti i nuovi personaggi di questi disastrosi anni (e spero che rimarranno solo anni!), aleggia aria di talento ed eleganza molto raramente.

E dalla famosa pedana a distinguersi dalle altre, perché dotata di inconfondibili finezza, sensualità, talento e unica bellezza c’è Penélope Cruz, in concorso a Venezia con il film Wasp network di Olivier Assayas, thriller politico nel quale la vediamo nei panni di Olga, moglie di René Gonzalez, dissidente anti-castrista fuggito in Florida, “moglie del traditore” in pieno regime a Cuba 1990.

Olga (Penélope Cruz) in Wasp network di Olivier Assayas in concorso alla 76° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia

Conosciuta nel mondo per le sue capacità attoriali, oltre che per la sua bellezza, la Cruz è esempio di determinazione, riuscita e riservatezza.

Ma a contraddistinguerla vi è il sacrificio, come ha dimostrato il periodo delle porte sbattute in faccia, degli incontri con persone sbagliate, di rinunce, che si è trasformato poi nel periodo dello studio, della determinazione, delle conoscenze positive come quella avvenuta con il maestro e amico Pedro Almodòvar, che ha creduto in lei contribuendo così alla trasformazione di Penélope ne “La Madonna di Madrid” prima e di icona mondiale poi.

Momenti belli e brutti, ma fondamentali perché è anche grazie a essi che lei oggi è ciò che è, una donna umile, portatrice di valori, una di Noi, la ragazza della porta accanto che ce l’ha fatta, che proviene da una famiglia altrettanto umile.

Diva “raggiungibile”, amata e innamorata del suo pubblico come attesta la passione impressa nei suoi occhi, la dolcezza del suo sorriso, l’ironia tipicamente spagnola, la volontà di tenere fuori dai riflettori la sua vita privata.

Qualità così vere da toccare i presenti che solo a guardarla in una foto pubblicata sui social de L’Artefatto decidono di votare lei preferendola alle altre che, pur dotate di fascino e qualità come dimostrano Monica Bellucci, Alessandra Mastronardi e Cristiana Capotondi – tutte presenti sul red carpet veneziano – spicca diffondendo “luce propria”.

Maria Pettinato

E una settimana è passata calando il mondo della cultura in un’atmosfera nostalgica, per certi aspetti riflessiva perché è proprio questo il momento giusto, quello che fa tirare le somme.

Sono i grandi nomi di coloro che non ci sono più, ma che rimarranno per sempre nella memoria di intere generazioni come il passato ha dimostrato per qualcun altro.

Si studieranno a scuola, si parlerà delle loro imprese, dei loro successi, delle loro opere, di ciò che hanno e che non hanno fatto. Si criticheranno anche, eccome se si criticheranno! Passerà qualche giorno, qualche mese, ma poi in qualche trasmissione televisiva, su qualche canale radio, addirittura su qualche libro il loro nome uscirà di nuovo nel bene e nel male.

Ma è giusto così, questo accade quando si fa tanto per il pubblico, quando si raggiunge l’obiettivo sperato, quando si fa questo lavoro.

Ciò che comunque nella memoria e nella storia culturale rimarrà sarà il loro ricordo…

Saranno Séverine, il professor Bellavista, il commissario Montalbano a rimanere tra noi. Unicamente i loro personaggi, quelli che non moriranno comunque mai, nonostante la loro morte sia avvenuta davvero rendendo così l’Italia un po’ più triste, un po’ più silenziosa anche se solo per qualche momento.

Questo articolo non vuole essere una critica, né un parere, tanto meno un’opinione, ma vuole semplicemente omaggiare Loro, i Grandi della nostra cultura, coloro che al cinema, alla letteratura, al teatro ci hanno creduto fino all’ultimo, coloro che hanno criticato poco, ma fatto tanto.

A Loro, che meritano l’applauso più lungo che c’è, L’Artefatto offre una chiusura di sipario unica e trionfale.

A Loro, Luciano De Crescenzo, Andrea Camilleri, Valentina Cortese, L’Artefatto dice GRAZIE.

Maria Pettinato

Se vai in Calabria sentirai che c’è un odor di Calabria come c’è un odor di neve, come c’è un odor di sole.


Anselmo Bucci

Per la rubrica I luoghi del Cuore, non posso non parlarvi, cari Artefattini, di quello che per me, più di tutti, lo rappresenta: la Calabria.

La mia Regione. Ci sono nata, per lei ho dato, ho scritto, ho avuto, ho rinunciato. A volte mi ha fatto anche arrabbiare, forse in alcuni casi mi ha addirittura delusa, ma quello che sento quando penso a lei o quando la devo lasciare è indescrivibile, è tante emozioni insieme racchiuse però in una sola parola: malinconia.

Forse perché è vero il detto “quando vieni al Sud piangi due volte, quando arrivi e quando parti!”, o forse perché “il male di casa propria” come lo hanno definito gli antropologi culturali esiste davvero.

L’unicità sta nella sua capacità di racchiudere in sé mille sfaccettature diverse, che la rendono per questo vera e pura.

La Calabria è durezza, fragilità, bontà, amore, famiglia.

La Calabria è mare cristallino, montagna innevata e collina verde, ma di quel verde che sotto il sole diventa quasi giallo e quasi nuvola, una nuvola sulla quale lasciarsi trasportare da quanto è soffice, ed è poi cielo stellato, la cui luminosità si imbatte negli argentei ulivi.

La Calabria è colori, tradizioni, musica, cultura, storia.

La Calabria è il mio paese, Sersale, è caminetto, è panino con ‘a soppressata, è Nonno Pasquale.

La Calabria è Noi, che pur girovagando per il mondo, vittime forse di un sistema ormai ahimè penetrato nello stereotipo comune, non ci dimentichiamo di lei, rimanendone orgogliosi nonostante tutto.

La Calabria è Calamita pura.

Maria Pettinato

Genova è senza dubbio uno dei miei luoghi del cuore, non solo perché quando penso a lei mi tornano alla mente gli anni dell’università, quelli spensierati, ricchi di progetti e di ambizioni, ma anche perché è per eccellenza, e da sempre, la città della forza, della cultura e dei sogni.

Sogni perché è proprio dal suo porto che migliaia e migliaia di persone si sono imbarcate per le terre della fortuna, credendo e affidandosi al destino. Forza nel vero senso della parola! Da sempre i genovesi dimostrano unione e determinazione affidandosi al gruppo, ad una sorta di patriottismo direi, un forte legame alla propria città come i fatti recenti hanno ben dimostrato.

E poi c’è la cultura, presente non solo nella storia attoriale e musicale di Zena, ma anche semplicemente nel modo di fare tipicamente genovese, apparentemente scontroso e indispettito, e allo stesso tempo artistico e unico, accogliente nel suo modo che è suo e basta, vivo ed elegante.

Un mix di culture secolari, un grande bagaglio conoscitivo e l’orgoglio di appartenenza sono riassumibili nelle piccole cose, dalla focacceria dietro l’angolo ai vicoli multietnici che riportano alla mente i brani di Fabrizio De Andrè, dalla zona universitaria di Via Balbi in cui sembra quasi che il tempo si sia fermato ai musei curati e studiati nel dettaglio perché il loro compito è quello di valorizzare l’identità genovese.

Uno di questi è il Galata, Museo del Mare, suddiviso in cinque piani (comprendendo il piano terra), ognuno dei quali dotato di una propria essenza e coerenza storica, ma con un tema centrale che crea autenticità: la cultura marittima genovese.

Si passa dall’esposizione di importanti documenti e dipinti, tra cui i ritratti di figure importanti per la storia marittima e non solo di Genova, come Cristoforo Colombo e Andrea Doria, alla ricostruzione della vita a bordo di una galea per citare una piccolissima parte di ciò che offre il Galata.

Ma la parte che forse più di tutte trasmette unicità ed emozioni così forti da lasciare il visitatore a bocca aperta per lo studio e la ricerca inerenti al contesto offerto, è situata al terzo piano e riguarda la storia delle emigrazioni italiane e delle nuove immigrazioni.

La vita dell’emigrante diventa quella del visitatore che mediante un passaporto e un biglietto di imbarco diventa uno di loro celandosi nei suoi panni, entrando nella sua storia di persona e nella sua avventura transoceanica, drammatica sotto tanti aspetti e per questo a volte, come dimostrato dalle documentazioni epistolari, cancellata, almeno apparentemente.

La dogana, le camerate che dividevano le donne dagli uomini, la scarsa alimentazione, le malattie che a volte si diffondevano e che ponevano fine alla speranza di giungere a destinazione, l’arrivo tanto atteso e spesso il ritorno per mancanza di requisiti, vengono alla luce mediante testimonianze fotografiche, lettere, video e ricostruzioni dell’ambiente in sé.

Un tempo che sembrava non finire mai all’interno del piroscafo che avrebbe cambiato la vita di queste persone, ma anche di coloro che rimanevano a casa attendendo e pregando l’arrivo e il cambiamento.

E tu visitatore, nella tua grandezza di uomo, ma a volte nella tua piccolezza perché immerso nell’indifferenza che caratterizza ahimè questo secolo, ti senti indifeso di fronte a ciò che è stato e a ciò che è di nuovo e lo capisci non appena giungi in una delle ultime sale del museo, dalla quale è riconoscibile il barcone dei telegiornali, delle fotografie, ma questa volta è vuoto e proveniente direttamente da Lampedusa per far sì che questa nuova parentesi storica non venga dimenticata.

Comprendi, vivendolo, il viaggio della speranza che ci ha caratterizzato e ci caratterizza come nazione da secoli. E giungi poi, più ricco culturalmente, ma diciamo anche più consapevole della tua storia, nella terrazza panoramica, situata all’ultimo piano, ed è qui che respiri il mare e la bellezza di Genova in tutta la sua maestosità.

Maria Pettinato

Ricordate Il Tocco dell’Arte? La mostra itinerante che ha visto come protagonisti sessanta artisti provenienti da tutta Italia e giudicati dal critico d’arte Vittorio Sgarbi? (se non hai ancora letto “IL TOCCO DELL’ARTE” tra centro storico e valutazioni clicca qui!).

Il mio interesse verso un evento unico come questo, in cui l’arte è stata esposta nella sua essenza tra i vicoli del centro storico di Taggia (Im) coinvolgendo e inglobando passanti appassionati e non del mondo artistico, è proseguito anche nei giorni successivi.

Tra le opere esposte infatti ce ne sono state alcune che mi hanno particolarmente colpita per il dinamismo che emanano mediante tratti veloci e colori ricchi di enfasi.

Sono i dipinti di Silvio Papale, pittore torinese, la cui tecnica, se pur associabile sotto certi aspetti a quella futurista spicca di originalità tra le altre per un elemento molto interessante: al posto della tela l’artista utilizza il foglio di giornale.

Una data, un evento, un fatto, un luogo vengono così illustrati mediante le sensazioni e le emozioni che esse suscitano in lui. In questo modo l’attimo viene colto nella sua realtà, dalla quale traspare movimento, dinamicità e forza.

Ho deciso di contattarlo, intervistarlo e presentarvi così la sua arte…

Intervista a Silvio Papale

Ci parli dei suoi inizi spiegandoci il suo primo approccio con l’arte. Quando è avvenuto?

Il mio interesse per la pittura è cominciato già da piccolo. A scuola il disegno e l’arte erano le mie materie preferite. Ricordo di aver vinto a undici anni il primo premio ad un concorso di disegno dedicato ai ragazzi delle scuole medie; si chiamava Disegna il tuo carnevale, fu un’emozione unica.

Qual è il suo rapporto a livello emotivo con il mondo dell’arte?

L’arte mi regala emozioni personali uniche così intense che è difficile esternarle e condividerle.

Che tecnica utilizza e come decide i soggetti da dipingere? Sono legati a luoghi, circostanze, emozioni, vita personale? Ci racconti…

La mia tecnica è molto particolare. Utilizzo come base il foglio di un quotidiano, che ha come scopo non solo quello di essere un supporto alla pittura, ma anche quello di rendere unico un momento. Usando il giornale di quel giorno fermo un momento fisico e temporale, è un’esecuzione datata e univoca. Spesso mi trovo in giro per l’Italia a dipingere en plain air ed ecco che il giornale di quel giorno e di quel luogo diventa la base per rappresentare con colori e strumenti la mia visione della realtà percepita nel contesto in cui in quel momento mi trovo. Il risultato è la verità della notizia contrapposta alla mia visione della stessa.

Idea originale e importante. Da cosa nasce questa scelta?

Il giornale, la notizia, il vero raccontato nei titoli deve rappresentare un momento unico. Partendo da esso e attraverso colori ed emozioni-visioni racconto la realtà che mi circonda.

Visioni sulla Reggia di Caserta

C’è qualche movimento artistico passato o pittore, di cui sente l’influenza?

Devo dire che non c’è stato un movimento particolare. Nello stesso tempo posso dire che il futurismo è una corrente artistica che mi affascina particolarmente.

Visioni su Torino

Qual è l’opera che maggiormente ha nel cuore?

Senza dubbio Libertà e pace. È un quadro realizzato in un giorno particolare, l’uccisione di Mu’ammar Gheddafi, della quale parlavano tutti i quotidiani. Mi è venuto in mente di rappresentare un bambino che corre… è felice in un campo di grano o fugge spaventato dalla tragica guerra?

Libertà e pace

Come definisce l’attuale mondo dell’arte e l’approccio della società con esso?

Sono convinto che oggi l’arte ha lo scopo di raccontare e trasmettere emozioni. Non sempre questo avviene, siamo purtroppo distratti da milioni di immagini che prepotentemente entrano nelle nostre vite. L’arte deve perciò diventare un filtro capace di entrare nel cuore della gente.

Silvio Papale e Vittorio Sgarbi a Il Tocco dell’Arte

Pittura unica, intensa, in cui la verità emerge nella sua semplicità. Un ringraziamento speciale ad un’artista che l’arte la vive ancora per quella è: un canale per arrivare alla mente e al cuore dell’osservatore.

Maria Pettinato