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EUROPA

La trasferta europea del gruppo storico di Fluxus aveva creato nuovi contatti, che daranno in seguito il loro contributo, con realtà molto diverse da quella americana, crogiolo di moltissime esperienze che lì si incontravano.

Il clima sociale europeo si presenta più “ristretto” in tradizionalismi radicati e chiuso negli angusti ambiti nazionalistici, ma per certi versi è più “rilassato” di quello d’oltreoceano, anche se non tarderanno a maturare i frutti di scompensi ideologici e sociali profondi legati ai veloci cambiamenti dell’industrializzazione.

L’Europa occidentale sta attraversando un periodo economico “felicemente consumistico”, pur tra forti divisioni politiche nelle strategie nazionaliste che tuttavia registrano ora le prime aperture. Lo spauracchio del socialismo reale viene vissuto da vicino quindi con più realismo rispetto all’isteria collettiva che il confronto ideologico provoca nel lontano continente americano.

L’Europa orientale è chiusa strettamente nelle maglie dei regimi comunisti, di conseguenza anche le espressioni artistiche vengono strumentalizzate alla logica partitocratrica. L’eredità delle Avanguardie storiche è raccolta solo da alcune, per altro fertili, sacche di dissidenza costretta ad operare clandestinamente e che tuttavia riescono a mantenere i contatti con gli ambienti culturali d’oltre cortina.

Le posizioni della critica ufficiale e degli studiosi nell’Europa dell’era industriale sono ancora attestate in roccaforti dove la richiesta di continuità nel prodotto ideologico e artistico di un mezzo secolo già ricco di contraddizioni e stimolanti eventi, è ovviamente di difficile soddisfazione. Per cui il rifugio logico rimane una sterile rilettura del “glorioso passato”, con infruttuosi evacui tentativi di “recuperi selettivi”.

In questo contesto tuttavia gli ambienti artistici non solo sono pronti a ricevere quei messaggi pregnanti dell’indeterminatezza che avvolgono il fare nel “Flusso”, ma già hanno creato premesse linguistiche molto vicine alle intenzionalità insite in slogan come: “l’Arte è facile” o “tutto è Arte, tutti possono farla”.

Se infatti, come abbiamo già avuto modo di constatare, le istanze dada sono state alla base dell’evoluzione Fluxus, ancora prima esistevano i presupposti per una trasformazione radicale dell’Arte nel suo senso etico ed esistenziale.

Umberto Boccioni nelle teorizzazioni sul “tempo nuovo” dell’Arte, in Estetica e Arte futuriste dichiarava: «Verrà un tempo forse, in cui il quadro non basterà più […]Altri valori sorgeranno, altre valutazioni, altre sensibilità di cui non concepiamo l’audacia […]Usciamo forse dai concetti tradizionali di pittura e scultura che imperano da quando il mondo ha una storia? Giungiamo alla distruzione dell’Arte come è stata intesa sino ad oggi? Forse! Non lo so! Non è importante saperlo».

Il rapporto multimediale, i collegamenti tra prodotto artistico -o più propriamente prodotto di pensiero- e vita, e quotidianità del pensiero stesso, azione ed oggettualità trovano negli anni ’40 e ’50 risposte che, pur partendo da posizioni filosofiche diverse, con motivazioni e per molti aspetti risoluzioni diverse, approdano ad una tipologia comportamentale analoga all’imprinting del Fluxus.

Inoltre il “collettivo” nell’azione del movimento americano si fondava sulla valorizzazione e collaborazione del “individuale”, per cui non precludeva nessuna diversità di espressione, aumentando anzi il suo aspetto di sintesi globale del pensiero di un’intera epoca.

Esperimenti di coinvolgimento del pubblico nell’azione scenica, di teorizzazione di una “estetica alternativa” (Isidore Isou), di progettazione di “opere in progress” vengono compiuti in questo periodo da movimenti come il lettrismo, i cobra, che nel ’49 presentano “oggetti semplici” in una mostra (L’object à travers les ages) tenuta a Bruxelles, l’Internazionale Situazionista e altri, come pure da parte di singoli ricercatori come Piero Manzoni, Lucio Fontana, Heiz Marck, Otto Piene, nonché da tutta l’area della Poesia Visuale italiana, che sviluppa l’aspetto fonetico ed i legami tra immagine e concetto tra suono e scrittura.

Situazioni artistiche eterogenee, complesse e costituite concettualmente secondo criteri di espansione dello specifico dell’arte e del ruolo dell’artista, contribuiscono alla formazione di quei personaggi che agiranno poi attivamente per coinvolgere la cultura europea nello spirito di Fluxus, ma anche alla individuazione delle diversità sia pragmatiche che intellettuali esistenti.

Già a Colonia abbiamo visto svilupparsi un fitto tessuto di ricerca, da cui emergono varie personalità ed anche divergenti posizioni. L’assunto musica-azione che costituisce il perno della costituzione del gruppo tedesco, non soddisfa pienamente Wolf Voistell, il quale vede nell’azione l’elemento di importanza primaria che sviluppa poi nei suoi decoll/ages e TV decoll/ages, sperimentando metodi di divulgazione elettronica dell’immagine.

Parallelamente artisti come Joseph Boys trovano nella sofferta creazione oggettuale, nella parafrasi simbolistica risposte concrete al bisogno di trascesa catartica insito nella scelta di vita che l’Arte comporta.

Anche per il francese Ben Vautier, vicino alle teorizzazioni lettriste, di cui ammette le influenze esercitate sul suo lavoro, ma dalle quali presto si staccherà, il binomio arte-vita è inscindibile. E di questo binomio è parte concreta l’oggetto. L’oggetto che però esista già, l’oggetto di consumo o di recupero, attraverso cui confrontare la propria singolarità di artista all’interno della vita stessa.

Quindi «appropriarsene, firmando tutto quanto già non lo sia stato», in un “fagocitare” e rendere poi come proprio un concetto, un prodotto, il nulla. Il rapporto “casuale”, l’appropriazione della casualità fermata in un momento qualunque del suo manifestarsi e riproposta come “opera” in quanto tale, è alla base del lavoro di Daniel Spoerri, presentato per la prima volta a Parigi nel 1960 in occasione del Festival d’Avan-Gard.

Sul fronte italiano è ancora la musica a legare le esperienze. È il caso della “mutica” di Gian Emilio Simonetti, consistente in “percorsi” casuali su spartiti musicali; o per le ricerche musicali di Giuseppe Chiari, la “musica senza contrappunto”, per “scoprire l’intima qualità formale e musicale degli oggetti”. Ma avremo modo in seguito di puntualizzare meglio l’apporto di ogni singolarità artistica all’interno di questo eterogeneo gruppo costituente il Fluxus.

L’esperienza europea porterà Maciunas ad organizzare, dopo il suo ritorno in America, una vera e propria rete di divulgazione, autogestita e divisa in settori, dove Fluxus nord sarà Per Kirkebi a Copenhagen, Fluxus sud: Ben Vautier a Nizza, Fluxus est: Milan Knizak a Praga, Fluxus ovest: Ken Friedman in California e lo stesso Gorge Maciunas nella sede di New York. Contemporaneamente ha inizio la terza fase del fenomeno Fluxus, che sarà la fase della produzione e divulgazione di oggetti, di multipli e di films.

AMERICA

La straordinaria dinamica dell’assunto “associazionistico” di Fluxus, del tutto scevra di rigidità, caratterizzata da una costante e totale, anzi determinante diversità, si pone in senso sociologico oltre le istanze storiche che, seguendo cronologicamente, segneranno indelebilmente la sfera del sociale.

Se infatti i grandi movimenti di massa come il Beat, l’Hippysmo, il Femminismo ecc., che conferiscono attivamente corpo e voce al malessere sociale non più contenibile sul finire degli anni ’60, hanno come tendenza ideologica nella ricerca di una libertà tanto agonista, quanto effimera, “l’indipendenza” di Fluxus si pone al di là degli eventi contingenti pur facendone parte, in un’ottica di accettazione e confronto costruttivo con la “diversità” che, creando i suoi spazi ed intervenendo come “media” parallelo diviene modo per accedere ad una unità ed insieme libertà molto più ampie.

Queste caratteristiche che solo oggi vengono espresse e riconosciute ampiamente, hanno tuttavia comportato per l’ambito Fluxus un crescente scontro con istituzioni ed autorità poco inclini ad accogliere le sempre più pressanti istanze sociali.

Nel 1964 Maciunas assume la direzione esecutiva dell’A.A.C.I., ufficio per l’azione contro la cultura imperialista, che si prefigge si svolgere azioni di denunzia e di disturbo pacifico contro tutte quelle manifestazioni promosse dalla cultura ufficiale e tese alla conferma e celebrazione dello status per cui l’Arte rimaneva un fenomeno elitario, difficile, serioso, non contaminato da influenze impure, da gerghi marginali.

La seconda azione dell’A.A.C.I. viene espressa l’8 settembre di quello stesso anno con un picchetto davanti al Judson Hall di New York in cui doveva venire eseguito Originale di Karlheinze Stockhausen.

Al compositore tedesco si contestavano le sue posizioni denigratorie nei confronti del jazz, ritenuto da lui, durante una conferenza tenuta ad Harward nel 1958, un’espressione musicale inferiore in quanto incolta e troppo viscerale; nonché il suo inserimento all’interno della cultura ufficiale della Germania Occidentale come «elemento decorativo dell’elitismo reazionario», secondo quanto sosteneva Henry Flint.

In questo periodo Fluxus, pur tra enormi difficoltà di rapporti con le strutture di potere, sembra aver acquistato una certa stabilità organizzativa. Dal 1963 al 359 di Canal Street in New York, si costituisce la Fluxus-Hall in cui, malgrado la ristrettezza dello spazio, vengono svolte le performances, si riunisce il gruppo teorico, si dà vita a rappresentazioni, si costruiscono oggetti Fluxus, si elaborano pubblicazioni e films.

George Maciunas produce la maggior parte dei progetti portati a compimento e anche se quelli realizzati costituiscono solo una piccola parte delle idee espresse, la mole di lavoro è enorme.

Fatti a mano uno per uno da Maciunas stesso sono poi distribuiti a chi ne fa richiesta o fatti circolare gratuitamente durante le performances. Fluxus arriva anche ad avere una carta intestata dove sono enunciate le “diramazioni geografiche”dell’organizzazione.

Dick Higgins fonda la Something Else Press, destinata in seguito, dopo il distacco da Fluxus, a diventare una grossa impresa nel campo editoriale e divulgativo, fino a quando non si scioglieranno nel 1974.

Ma non tutto è così semplice come sembra all’interno del gruppo, infatti le discussioni e gli scontri non cessano mai di vivacizzare l’ambiente. Del resto accettati come dibattiti in ogni caso costruttivi, anche quando avranno conclusioni di distacco, come avviene proprio in occasione di Originale di Stockhausen: Nam June Paik e Dick Higgins vi parteciperanno, lasciando Flint, Maciunas, Takako Saito, Conrad e Ben Patterson a portare a termine la protesta.

Le “ambiguità ed energie divergenti” di Fluxus fanno parte del gioco non stereotipato e duttile ribadito dal movimento, gioco che deve contribuire alla non fossilizzazione delle personalità individuali, alla coscienza delle semplicità quotidiane come espressioni poliedriche e costante del divenire, il quale attraverso di esse può imparare a conoscersi ed insieme interpretare l’universalità dei bisogni e degli aspetti dell’intera Umanità, quale summa di individui, quindi l’universalità dell’Arte come “scoperta”, presa di coscienza “dell’Umanitudine”.

L’individuo è punto focale, perno centrale, non come nella concezione capitalistica di individuo forte contrapposto alle masse, ma come punto di partenza conoscitivo nelle sue semplicità e complessità per arrivare all’apertura globale.

In questo senso posso essere compresi sia l’aspetto arte-gioco che l’aspetto più propriamente sociale dell’operato di Maciunas, che costituiscono due capacità interagenti in questa interpretazione attiva del ruolo dell’arte. L’instancabile Gorge si assume l’arduo compito di coordinare le numerose attività di Fluxus a New York nei loro diversi aspetti: creativi, divulgativi e sociali.

Proprio nell’intento divulgativo per meglio far conoscere le posizioni di protesta contro “l’ufficialità” competitiva ed arrivistica del modus vigente di interpretare la Cultura, Flint e Maciunas elaborano nel 1965 la pubblicazione I Comunisti devono dare una leadership rivoluzionaria alla Cultura in cui tra l’altro si esprime come “la manipolazione di Stato delle Arti non possa trasformare una situazione per altri aspetti regressiva in una rivoluzionaria”, e come “in una situazione rivoluzionaria divenga primaria la rivoluzione spontanea in seno alla Cultura, in quanto la manipolazione di Stato della Cultura è un uso errato dell’autorità esecutiva”.

Qui si fa riferimento anche al metodo: «impadronirsi non solo dei mezzi di produzione ma anche del sistema di distribuzione del mondo dell’arte» e socialmente «distribuzione di date risorse di consumo al maggior numero di atti di consumo (trasformando in ricchezza gli uso-valori disponibili), all’intera popolazione».

Maciunas stesso si interessa attivamente alla “pianificazione sociale del consumo”, sia teoricamente, mettendo a punto un progetto di case prefabbricate che dovevano avere la caratteristica di combinare i bassi costi di produzione con una migliore qualità della vita (progetto che non avrà mai un seguito fattivo, né in Unione Sovietica per la quale era stato pensato, né negli Stati Uniti perché non conveniente alla logica di mercato), sia praticamente quando, tra il 1967 ed il 1968, organizza in Soho sette cooperative immobiliari per restaurare i grandi depositi dalle strutture in ghisa (Cast Iron Buildings), bellissimi esempi dell’Architettura Funzionalistica.

L’impegno è enorme, tanto da far sfiorare la morte a Maciunas che si salva a stento da un’aggressione ma perde irrimediabilmente l’uso di un occhio.

La gestione cooperativa degli immobili consente di limitare notevolmente le spese individuali e di mettere in atto altre idee. Sorge all’80 di Wooster Street la filmmaccher’s film library diretta da Jonas Mekas, grande spazio, luogo Fluxus di pubblico incontro dove vengono presentati nuovi spettacoli come: Orgien Mysterien Theater di Hermann Nitsch, uno dei maggiori rappresentanti del tormentato Viener Aktionismus austriaco, o i primi spettacoli di Ontological-Hysteric Theater di Foreman.

Vengono prodotti e pubblicati films e video con il corposo contributo di Shigeko Kubota, soprattutto quando lo spazio nel 1974 cambierà nome assumendo quello di Anthology Film Archivies.

(to be continued)

Cristina M.D. Belloni

Non ce lo aspettavamo, mai avremmo immaginato un tale momento storico, così drammatico, così alienante.

Ma se questo fosse in realtà l’attimo prima del cambiamento? Se non fosse arrivato per puro caso?

Troppo impegnati, troppo egoisti, troppo egocentrici, troppo ambiziosi, troppo di tutto, ma mai troppo di amore, di generosità, di pace.

Era palese agli occhi di tutti ormai lo sfacelo della nostra integrità, della nostra identità di persona, ma anche e soprattutto di famiglia.

Quando è stata l’ultima volta che abbiamo trascorso il nostro tempo nelle proprie case assieme ai propri cari, magari semplicemente davanti a una tazza di tè a chiacchierare del più e del meno?

Forse a Natale? Ma dico forse, perché ormai anche quello era diventato un momento tanto per postare immagini sui social.

E soprattutto quando è stata l’ultima volta che abbiamo pensato a qualcun altro che non sia stato il lavoro, o il denaro, o l’impegno dell’ora successiva? Quando è stata l’ultima volta che ci siamo fermati e abbiamo pensato a cosa in realtà ci rende felice, alla cosa bella, alla meraviglia della vita?

Abbiamo dimenticato la gioia, l’affetto, la benevolenza.

E allora perché anziché rattristirci, non lo sfruttiamo questo momento per vivere realmente la tranquillità del nostro focolare pensando che tutto questo tra poco si fermerà e che questo accadrà grazie a Noi, grazie alla nostra Luce e all’Amore che noi trasmettiamo e siamo.

Sarà ancora una volta l’Amore a trionfare come già ha dimostrato di saper fare nel corso della storia, come lo stesso Alessandro Manzoni ci ha raccontato parlando della peste e come accaduto “ai tempi del colera” di Gabriel Garcìa Màrquez.

E così ancora una volta parleremo di questo amore che finalmente ci farà tornare a essere quello che siamo, non più gregge, ma Uomini.

Maria Pettinato

Se l’impianto ideologico di Fluxus, basato sull’azione totale, quale esperienza sensoriale attiva, prima ancora che artistica, si sviluppa primariamente all’interno dell’ambiente musicale americano, le sue caratteristiche di indeterminatezza e di concettualità, insieme ad un concreto esprimersi, non mancano di coinvolgere ben presto l’intero mondo artistico gravitante attorno all’area più sottilmente attenta all’evoluzione creativa.

Mentre ancora alla fine degli anni Cinquanta, attorno alla 5° strada si intrecciano le vicende di mercato, legate alla produzione artistica come business per cui l’opera deve essere materialmente fruibile e creare delle precise gerarchie di valori commerciali, e invece negli ambienti culturali stava evolvendosi lo strutturalismo influenzato dalle tesi scientifiche di una metodologia razionale di ricerca, l’intellettualismo giovanile risentendo di tutte quelle spinte che la complessità della società americana esercitava sulla sua formazione, si stava sempre più avvicinando ad un punto di rottura.

Itinerario che doveva necessariamente passare attraverso quella introspezione intellettiva e profonda, senza barriere dogmatiche e pregna di volontà conoscitiva che è poi la linea essenziale di Fluxus, sulla quale si muoveranno le molteplici personalità che senza dar vita a un gruppo o ad una tendenza, appropriandosi del diritto di espressione insito in Fluxus e dell’estrema libertà di azione nell’azione, pensiero e movimento, né dilateranno le possibilità e la presenza.

Quando George Maciunas, oriundo lituano, musicologo e laureto in Storia dell’Arte, incontra LaMonte Young durante i corsi tenuti da Maxfield in Madison Avenue, egli intuisce l’importanza delle teorie della nuova avanguardia musicale e come queste andassero ben oltre i confini della musica stessa aprendo orizzonti più vasti.

LaMonte Young lavora in quel momento a sperimentazioni sonore sulla ripetizione ed esecuzione costante di un suolo suono. Sulla stessa linea di iterazione sonora o melodica si muove tutta la scuola californiana: da Walter De Maria a Terry Riley, a Simone Forti.

L’influenza orientale è molto palese ma ad essa si aggiunge una concretizzazione del concetto astratto di Arte che viene a coincidere con “le possibilità ovvie di azione”; e poiché ovvie, naturalmente estetiche.

Questo, secondo Dick Higgins, si riallaccia e riprende la visione classica del concetto di estetica, riportando la musica e l’Arte in generale ad una “forma di speculazione (intellettiva ed oggettiva) sui principi delle cose” non tanto in senso strettamente formale, quanto in senso metafisico e quindi sublimale.

Importanti in questo periodo le due serie di performances tenute tra il 1960 e il 1961 nello studio di Yoko Ono in Camper Street, con LaMonte Young come responsabile, e nella Galleria di Medison Avenue a cura dello stesso George Maciunas.

La poliedrica personalità di Maciunas, vero asse portante ed elemento coesivo delle diverse ideologie, tematiche ed orientamenti esistenti in Fluxus, realizza a partire dal 1960 una serie di pubblicazioni tra cui le riviste Fluxus V Tre ed il libro Anthology, pubblicato nel 1963 da LaMonte Young e Mac Low, con materiali della disciolta rivista Bestitud.

In queste pubblicazioni vengono raccolti testi teorici e poetici, saggi linguistici, critiche funzionali sul ruolo dell’arte e dell’artista nella società moderna.

Ad esse collaboreranno molti Fluxus-artisti e filosofi quali Dick Higgins, Wott, Anderson, gli europei Claus Bremer, Diter Rot, Emmet William, il coreano Nam June Paik ed Henry Flynt; con quest’ultimo Maciunas in seguito firmerà uno scritto sull’impostazione sociale del dibattito artistico: I comunisti devono dare una leadership rivoluzionaria alla Cultura.

Testo contenente almeno quattro punti importanti: critica alla cultura sovietica come espressione elitaria, riscoperta e valorizzazione delle culture etniche in rapporto al progresso sociale, valorizzazione del cinema documentaristico, pianificazione architettonica, per la quale Maciunas progetta un complesso di abitazioni prefabbricate.

Nel novembre del 1961 George Maciunas parte per la Germania. In Germania esiste un fertile terreno. Nam June Paik, Joseph Boys, Gaul, Goet, Wolf Vostell e altri si riuniscono nello studio di Mary Bauermeinster (moglie di Stockhausen), divenuto una sorta di alter alla ufficialità di Radio Colonia, studio di musica elettronica diretto da Stockhausen stesso.

Qui vengono presentate opere di Brecht, LaMonte Young e Cage e lavori del gruppo. Paik ha già realizzato nel novembre del 1959 alla Galleria 22 di Dusseldorf, un suo lavoro di musica elettronica per tre magnetofoni e un vetro da spaccare, con rovesciamento finale di un pianoforte, il cui titolo è: Omaggio a Cage.

Vostell si interessa alla visione elettronica, al suono ed alla strutturazione fonetica del linguaggio, pur discostandosi dalle tendenze musica-azione del gruppo, che giudica meno importanti dell’azione stessa.

Nel 1961 Colonia appare ricca di fermenti soprattutto presso la Galleria Hauro Lauhus, luogo di incontro di personaggi come Rotella, Cardew, Wewesca, Patterson e gli stessi Paik e Vostell, e dove il gruppo realizza Action music.

Maciunas al suo arrivo in Germania si mette subito in contatto con Paik con il quale corrispondeva da New York, per organizzare una serie di Fluxus-concerti in tutta Europa.

Inizia in questo periodo il momento dei Festivals e delle tournèe che vede protagonista il gruppo storico di Fluxus: Ben Patterson, George Maciunas, Robert Fillious, Allison Knowles, Higgins, Keopke e Mercure, Willis Williams, Wellin, Boys, Paik e Vostell, sia pur tra divergenze organizzative, competizioni e diversità ideologiche all’interno della sua eterogenea formazione.

I grandi progetti di Maciunas per una concert agency europea vengono ridimensionati da parte di Paik, Higgins e Vostell e, nel giugno 1962 a Dusseldorf, viene presentato Neo-Dada in der Musik, comprendente lavori di LaMonteYoung, Brecht, Higgins, Knowles, Wotts, Riley, Williams, etc

Wiesbaden in settembre ospita quattordici Event; ad Amsterdam la serie di concerti è presentata con il titolo: Parallele auffuhrungen neuester musik; a Londra come The Festival of Misfits.

A Copenhagen viene operata una selezione di giovani sia americani che europei, musicisti ed artisti visivi, i quali interagisco con i fattori tempo, spazio e suono (rumore); seguirà Parigi dove Daniel Spoerri e Thomas Schimdt si uniscono al gruppo con il lavoro teatrale Domaine poetique, quindi Dusseldorf con Boys, Stoccolma e Oslo solo per Allison Knowles e Higgins, Copenhagen e Amsterdam di nuovo nel giugno del 1963, infine Nizza dove il gruppo incontra Ben Vautier.

L’organizzazione delle performances avviene in modo del tutto autogestito. Gli artisti partecipano gratuitamente e si spostano a proprie spese presso le sedi, la maggior parte delle volte locali che Maciunas o qualche amico è riuscito a trovare a prezzi irrisori o gratuitamente nelle varie città.

Il repertorio comprende l’esecuzione di brani di quasi tutti i compositori dell’area Fluxus, ai quali non verranno mai pagati i diritti d’autore.

Non esiste una vera e propria coesione tra i componenti del tour, i problemi e le discussioni che ne seguono contribuiscono alla crescita individuale e collettiva degli artisti stessi, i quali, malgrado la precarietà ed appunto l’indeterminatezza dell’organizzazione, la diffidenza della critica e la mole di lavoro da compiere, riescono negli intenti che si sono preposti: far conoscere una ideologia ed uno spirito di vita che si sposa con l’Arte e con la semplicità culturale di espressione.

(to be continued)

Cristina M. D. Belloni

Se tu dici all’edera di diventare una rosa,

l’edera cercherà di trasformarsi,

ma così rimarrà impotente

Raffaele Morelli

Quante volte nella vita ci è capitato di sentirci a disagio in determinate situazioni, con determinate persone o semplicemente con un determinato abbigliamento facendo finta che tutto andasse bene così? O quante volte abbiamo accusato qualcuno o qualcosa per una decisione presa che poi si è rivelata sbagliata?

Una prigione si direbbe che oggi giorno prende sempre più le vesti di un dolore lacerante, quasi da non respirare, quasi da farti dimenticare la tua essenza, le tue qualità, la tua bellezza.

Tematiche importanti per comprendersi, accomunanti, vive si direbbe, protagoniste il 30 gennaio all’incontro terapeutico con Raffaele Morelli al Centro Riza di Milano.

Esperienza unica perché dotata di quella forza e di quella energia capaci di scuotere la persona e di ristabilire in lei l’equilibrio e la consapevolezza della propria importanza, ma soprattutto della propria Diversità.

Ebbene sì, di questo si tratta… di Diversità, quella inimitabile, che è sinonimo di bellezza, di unicità, di singolarità, capace di rendere anticaricaturale l’individuo, e per questo totalmente immune. Libero dagli schemi mentali imposti volente o nolente dalla società attuale per apparire sempre perfetto, sempre al passo, sempre competitivo.

Schemi mentali che si trasformano appunto in ansia, rabbia, gelosia, invidia per citarne solo alcuni.

Ma diciamoci la verità… questi cosiddetti “demoni” che ci fanno così paura e che cerchiamo in ogni modo di frenare dentro di noi, non possono essere semplicemente dei “segnali”? Dèi buoni che intervengono per scrollarci, per farci capire che non siamo questo o quello, non siamo lamentele, non siamo banalità e che quindi qualcosa non sta funzionando bene dentro di Noi?

È infatti la nostra anima a bussare alla porta, a pulsare, a scuoterci, utilizzando ciò che fa parte di noi dai tempi primordiali, così antichi che già Omero nell’Iliade ne parlava evocando la gelosia di Era a seguito del Giudizio di Paride e a causa della quale si scatenò la guerra di Troia.

Essa non ci vuole tranquilli, piatti, omologati agli altri, a Lei piacciono le onde perché esse sono il mezzo per scoprire e scoprirci ogni giorno, per incuriosirci e non avere paura di ciò che non conosciamo, semplicemente per vivere.

Emozioni naturali, stati d’animo vivi, energie primordiali, espulsioni, capaci di ricordarci che “esistiamo”, verso le quali non bisogna provare paura, ma accoglierle, sentirle, percepirle.

Non serve commentarle, ma è importante accettarle, viverle, in quanto la loro presenza significa che il progetto iniziale, apparentemente giusto da un punto di vista razionale, altro non è che un’istintiva messa in discussione da parte della nostra essenza.

Ed è proprio quando si giunge alla consapevolezza del fatto che non è necessario cercare la causa di tali “dolori” perché essa in realtà non esiste, ma è semplicemente la banalità a muovere gli impulsi dentro di noi, che il traguardo può dirsi raggiunto!

E questo è il momento in cui “l’estate è finalmente arrivata, bisognava solo aspettarla senza aspettative”.

Maria Pettinato

«Un giorno il re volle salire sulle montagne per parlare con il vecchio saggio che là viveva. Voleva sapere il re dal vecchio cosa fosse l’illuminazione e quali pratiche operare per poter essere anch’egli uno degli Illuminati. Il saggio non guardò il re ma ascoltò paziente le sue parole senza dire nulla. Poi lentamente, prese la ciotola di legno, unica suppellettile della sua dimora, la sollevò posandola di nuovo poco discosto. E in quel momento il re comprese; tutte le verità e le complessità dell’universo gli furono chiare: erano riassunte in quel semplice gesto.»

Iniziare a parlare di Fluxus con un aneddoto appartenente alla tradizione filosofica Zen, può sembrare eccessivo o enfatizzante, ma analizzando profondamente l’origine delle motivazioni che in quel particolare momento storico (inizio seconda metà del XX secolo) costituirono la formazione a livello planetario di un movimento dai connotati tanto complessi nel loro esplicarsi di azioni, idee, interazioni, comunicazioni multimediali, quanto sostanzialmente semplice nel proprio agire di fondo, si ritroverà comunque in ogni manifestazione fluxus l’originaria convinzione della validità totale – Tutto è Arte– di chiara ispirazione Zen.

Se il termine “fluxus” fu coniato solo nel 1961, relativamente a una serie di tre conferenze dal titolo Musica antiqua et nova, tenute da Georges Maciunas in New York dal 14 marzo al 30 giugno di quell’anno, tuttavia la dinamica degli avvenimenti che portarono alla costituzione del movimento è di molto anteriore.

Già alla fine degli anni Quaranta John Cage, ispiratore e iniziatore del gruppo, attuava un discorso che andando al di là della musica, suo campo specifico, si immetteva in una ricerca che considerava la musica in quanto suono o sequenza di suoni emessi nello spazio, quindi facenti parte dello spazio stesso e non discernibili da tutto quello che nello spazio accadesse o potesse accadere.

L’evento infatti, viene a essere considerato nella sua totalità e acquista valore proprio in quanto evento.

Il contesto sociologico che accoglie le tesi legate a Fluxus e ne sviluppa in senso prima di tutto comportamentale lo spirito, è un ambiente giovane e intellettuale che si appresta a formare la nuova generazione artistica di quegli anni.

I sintomi latenti di quella crisi di valori che investirà più tardi tutto l’articolarsi della società, vengono avvertiti e messi in luce proprio dagli intelletti più sensibili dell’ambito artistico.

L’assolutezza delle scienze e della logica occidentale stava già perdendo le certezze e fissità illuministiche e tardo-romantiche che ne avevano segnato il cammino per due interi secoli.

Ora anche l’ambiente scientifico cominciava a porsi delle domande sul ruolo del caso all’interno dei processi evolutivi e nella determinazione delle leggi fisiche.

Sia la biogenetica che la fisica quantistica si accostavano al fattore casuale come riferimento nella trattazione delle probabilità di sviluppo specifico della materia e dell’evoluzione.

A questo si aggiunga la crescente, sentita insufficienza dello standard di vita suggerito, o meglio imposto, dai due schieramenti predominanti: il capitalismo da una parte e il materialismo dialettico dall’altra, nonché l’apparire delle nuove tesi psicoanalitiche e della formazione del carattere che Wilhem Reich, valente psicologo e sessuologo di origine austriaca, in quegli anni stava enunciando.

In un contesto così circostanziato l’avvicinamento alle teorie filosofiche orientali e il coinvolgimento della quotidianità in una nuova spiritualità attiva, costituisce uno sbocco creativo che andrà via via crescendo e sviluppandosi nel malessere delle giovani generazioni sia americane che europee.

Per questi fattori interagenti il fenomeno Fluxus assume veri e propri contorni di fenomeno antropologico come lo stesso Ken Friedman sosterrà in una intervista del 1978:

«Mi parve che gli interessi di Fluxus fossero molto vicini ai miei interessi in un cambiamento sociale e culturale, così mi associai. Gli spazi aperti di Fluxus mi permisero inoltre di aggiungere il mio rilievo sull’esperimento terapeutico, l’uso dell’Arte come mezzo per lo sviluppo psicologico e l’espansione della coscienza.»

E disse in merito alle definizioni attribuite al movimento Fluxus: «È stato un gruppo che non era propriamente un gruppo, è stato definito uno scuola d’arte o una scuola di pensiero sull’arte, eppure – come molte “scuole” significative – tra i suoi membri non vi furono mai sufficienti tratti comuni per giustificare questa definizione; è stato definito una filosofia, eppure non vi fu una piattaforma ideologica o filosofica comune; è stato definito un movimento eppure non vi fu mai un’azione coesiva… Mi affascina il fatto che uno dei più importanti studi condotti su Fluxus non fu scritto da uno storico dell’Arte ma da un antropologo.»

Espansione della coscienza in ogni gesto, atto, movimento, accadimento che, andando oltre la funzionalità, rivesta un ruolo creativo, annullando gli stereotipi, le tecniche, la convenzione estetizzante per formulare un linguaggio “concettuale”, come già Dadà aveva espresso, attribuendo valore artistico a un oggetto che non avendo valore artistico in sé, assumeva tale valore in quanto a esso conferito da un giudizio formulato da un soggetto.

La grande lezione dadaista interviene nelle espressioni visive coagulando maggiormente gli assunti già delineati nelle esperienze di Cage e di altri compositori, principalmente durante i seminari newyorkesi del 1958.

La dinamica performatica diviene anima stessa del linguaggio, contenendo la totalità delle situazioni e quindi la totalità dell’Estetica stessa e del patrimonio etico di ciascuno.

Le affermazioni Tutto è Arte e Non-Arte vennero a equivalere e identificarsi senza tuttavia annullarsi a vicenda.

Il successivo arricchirsi nella concezione artistica di nuove energie e obiettivi significanti, lo stesso evolversi e staccarsi da Fluxus di artisti che avevano contribuito alla sua formazione, devono comunque al movimento la possibilità di espansione offerta alla storia del pensiero umano in quel particolare momento. In seguito avremo modo di analizzare gli eventi precisi che ne caratterizzano la storiografia.

(to be continued)

Cristina M. D. Belloni

Sanremo si è concluso da ormai tre giorni, ma nonostante ciò si continua a parlare di questo evento come se fosse ancora presente e com’è giusto che sia.

Alcuni, riferendosi all’evento dell’anno, parlano di fenomeno trash, altri del ritorno del festival di “noi altri”, quello che non si vedeva più da tempo, altri ancora ne hanno un ricordo negativo soprattutto per ciò che riguarda i vincitori, da Diodato a Leo Gassman per la Categoria Giovani.

Tutti quindi, chi in un modo, chi in un altro, ne parlano e questo, che lo si voglia o no, significa che Sanremo anche quest’anno ce l’ha fatta!

Con questo articolo ho deciso di non parlarvi di ciò che è andato o non andato dal punto di vista critico-giornalistico. Voglio parlarvi di chi a mio avviso ha vinto! E voglio farlo da telespettatrice indicandovene quattro di vincitori…

Sul podio ovviamente la coppia Amadeus-Fiorello, o semplicemente due amici che trentacinque anni fa si immaginavano un giorno i conduttori del Festival della canzone italiana. Grazie a loro ha vinto il “rapporto” in tutta la sua essenza, spontaneo, divertente. Finalmente una lodevole amicizia in scena come ha dimostrato l’occhio lucido che spesso ha colpito Fiorello ammirando l’amico fraterno e viceversa.

E poi c’è Rita Pavone, vincitrice non solo per un brano eccezionale a livello musicale e testuale, ma anche e soprattutto perché è venuto fuori dalla sua grinta e dalla sua vitalità il carattere della cantante dal punto di vista artistico. Non è il Ballo del mattone il protagonista, ma questa volta è Rita Pavone con Resilienza 74, una canzone che dice tanto, che vuole comunicare il talento eccezionale di un’Artista con la A maiuscola, scritto peraltro da suo figlio Giorgio Merk. E allora una domanda sorge spontanea… ma non è che ha fatto un po’ paura questo brano? Un conto è infatti il Ballo del mattone, un conto è una cantante settantenne che le giovani cantanti di questo festival, le ha schiacciate sotto ogni aspetto artistico.

Ma il vincitore indiscusso di questo festival è Piero Pelù, non solo per ciò che lui rappresenta da sempre, il cantante rock della nostra Italia, ma soprattutto per una canzone-poesia, Gigante. Il testo parla infatti di bambini, i suoi bambini nipoti, i bambini conosciuti nei carceri minorili e i milioni di bambini uccisi durante l’Olocausto. Bambini giganti, che si affacciano alla vita muovendo i primi passi, ma anche bambini che rinascono, chi perché vuole cambiare ribellandosi alla vita offerta magari dalla propria famiglia, chi perché vive nella nostra memoria storica.

Artisti degni di rimanere impressi nella mente perché hanno vinto per qualità, spontaneità e talento. Aspetti trionfanti nel millennio della “bruttezza ammirevole”.

Maria Pettinato

Il Festival sta per concludersi lasciando di sé il ricordo di una settimana davvero eccezionale dal punto di vista della conduzione, dell’organizzazione, ma anche delle esibizioni come si è potuto constatare prevalentemente dalla terza serata del concorso.

Una puntata all’insegna delle cover e dei duetti in cui sono emersi brani che hanno fatto la nostra storia musicale coinvolgendo così non solo il pubblico del Teatro Ariston, ma anche gli spettatori a casa.

Premiati Tosca, i Pinguini Tattici Nucleari e Piero Pelù i quali hanno spiccato maggiormente sull’Orchestra votante e direi una scelta azzeccata visto il coinvolgimento di pubblico.

A emergere dal mio punto di vista nella serata di coppia musicale sono stati decisamente Marco Masini-Arisa con Vacanze Romane, Levante-Francesca Michielin-Maria Antonietta con Si può dare di più, Enrico Nigiotti-Simone Cristicchi con Ti regalerò una cosa ed Elodie-Aeham Ahmad con Adesso tu, dimostrando quest’ultima il grande carisma che sta manifestando dal primo giorno.

Una terza serata in cui la musica italiana si è unita alla presenza di un altro nostro orgoglio nazionale, Roberto Benigni, portatore di allegria e di quella sana saggezza che può fare solo bene al nostro paese.

Un’Italia tanto stimata come si è potuto notare dai continui elogi della conduttrice albanese Alketa Vejsiu (forse un po’ troppo marcati?) e dalla presenza di Georgina Rodriguez, moglie di Cristiano Ronaldo, troppo serio a detta di Fiorello ieri sera.

Il comico siciliano che per nostra gioia ieri sera era di nuovo in prima fila con i suoi travestimenti e la sua allegria. Una spensieratezza ancora protagonista durante la quarta serata, la serata di Francesca Sofia Novello e di Antonella Clerici, la cui conduzione è spiccata sulle altre probabilmente per le esperienze precedenti a Sanremo o forse per l’ottimo rapporto con l’amico-collega Amadeus.

Una quarta puntata in cui è stato incoronato vincitore delle Nuove Proposte Sanremo 2020 Leo Gassman con il brano Vai bene così. Una vittoria abbastanza contestata da un pubblico prevalentemente orientato verso la finalista Tecla, il quale ha giudicato il risultato finale vedendovi come requisito non la bravura, ma l’appartenenza alla famiglia Gassman.

Una puntata in cui finalmente è arrivato il colpo di scena, come è giusto che sia a Sanremo: l’abbandono del palco da parte di Bugo causato sembrerebbe da una lite tra lui e Morgan sfociata nella modifica del testo da parte di quest’ultimo, le cui parole sono un visibile segno di disprezzo nei confronti del collega.

Il tutto lasciando Amadeus nel totale imbarazzo, una situazione salvata dalla comicità di Fiorello. Un momento inaspettato che rimarrà sicuramente nella storia di Sanremo e che, conoscendo Morgan, è il risultato di una delle sue tante provocazioni mediatiche.

Da aspettarsene ancora tante stasera come detto da Fiorello! Perché il 70° Festival della canzone italiana non è ancora finito.

Maria Pettinato

Una serata all’insegna dei rapporti personali quella di ieri sera al 70° Festival della canzone italiana.

Caratteristica sulla quale, tra l’altro, si basa l’intero festival come ha specificato Amadeus annunciando sul palco Paolo Palumbo, ventiduenne malato di Sla che con la canzone Io sto con Paolo ha provocato in noi una riflessione molto forte su ciò che è in realtà la vita, e che ahimè spesso noi non vediamo, un viaggio ricco di doni e possibilità.

Attraverso la sua esibizione Paolo ci ha mostrato uno dei tanti rapporti trapelati dalla seconda serata a Sanremo, quello tra lui e suo fratello, il quale per amore ha scelto di abbandonare tutto e stargli accanto.

E accanto alle relazioni familiari, i rapporti di amicizia si sono rivelati i protagonisti, da quello tra i due conduttori Fiorello e Amadeus a quello che ricorda affettuosamente Fabrizio Frizzi. E poi finalmente la ritrovata amicizia tra i componenti dei Ricchi e Poveri, di nuovo assieme su quel palco dopo quarant’anni, talmente affiatati da far ballare il pubblico dell’Ariston.

Per non parlare della stima e della professionalità venuta fuori dal duetto Massimo Ranieri-Tiziano Ferro sulle note di Perdere l’amore.

Un festival vincente dal punto di vista dei sentimenti anche ieri sera dunque, capace di unire divertimento e serietà creando un connubio perfetto a livello emozionale e canoro, soprattutto grazie alla presenza di personalità importanti, da Tosca a Zucchero ad esempio, assenti da un po’ all’evento dell’anno, ma sempre comunque eccezionali!

E in tutta questa bella leggerezza e divertente atmosfera però la domanda che ci poniamo in tutta franchezza è la seguente: ma i concorrenti dove sono?

È un concorso un po’ diverso quello di quest’anno. Ciò che emerge è infatti una serata divertente, ma decisamente poco gara. E traspare molto nel maggior spazio concesso agli sketch di Fiorello, alla conduzione di Amadeus e agli ospiti rispetto agli anni passati che, per quanto mi riguarda, fornisce grande coinvolgimento di pubblico, ma allo stesso tempo rischia di dilungare troppo i tempi televisivi.

Ma la seconda domanda che ci poniamo è: sono davvero questi momenti ad aver oscurato i cantanti in gara (la maggior parte!), oppure sono semplicemente i cantanti in gara ad averci lasciato così poco da oscurarsi da soli?

Che dire… a mio avviso cari lettori le esibizioni canore di ieri sera poco hanno lasciato. Si sono presentate senza quella caparbietà che dovrebbe distinguerle dalla musica di tutti i giorni. Questo è infatti Sanremo… l’eccellere sul quotidiano!

E per quanto apprezzi fortemente questo festival dal punto di vista della conduzione – anche se ieri sera ho trovato la presenza femminile priva di contenuti rispetto alla prima puntata – non posso finora dire lo stesso per ciò che riguarda i brani in gara.

Speriamo che questo sia l’andazzo di una sola serata, se no quello del 2020 sarà ricordato come lo show di Sanremo e con come il Festival della canzone italiana.

Maria Pettinato

Una prima serata all’insegna del divertimento quella del 70° Festival della canzone italiana, ma anche ricco di tradizione e di temi importanti.

Ma cominciamo con ordine soffermandoci su ciò che, a mio avviso, da questa prima serata è venuto fuori nel bene e nel male…

Le prime figure importanti a riguardo sono la coppia Amadeus-Fiorello. Quando ha cominciato a circolare la notizia della loro presenza a Sanremo, automaticamente nella mente sono riaffiorati gli anni Novanta, il Festivalbar, le risate e la spensieratezza di quelle estati infinite.

La leggerezza è tornata alla ribalta più che mai ieri sera con due veri professionisti artistici… e finalmente aggiungerei! Sin da subito si è presentato il “Festival di Sanremo”, quello dei tempi d’oro, quello divertente, ma allo stesso tempo elegante e ricco di contenuti.

Una prima serata incentrata su temi importanti, molto “all’insegna delle donne” come già si era predetto, ma anche sul passato-tradizione della musica italiana.

Un riferimento che va non solo alla coppia Albano-Romina, concorrenti dopo venticinque anni e ospiti portatori di quella tradizione e di quel successo popolare che ancora aleggia nell’aria come ha dimostrato la foga di un pubblico coinvolto da un’esibizione che, pur vista e rivista, dimostra di piacere ancora molto, ma anche all’esplosiva Rita Pavone, come sempre eccezionale nella sua eccentricità, nel suo essere pura energia vitale.

Ma sono le esibizioni di Tiziano Ferro quelle che più di tutte riecheggiano la nostra storia musicale. Con Volare e Almeno tu nell’universo il cantante di Latina ha emozionato tutti noi e ha coronato il suo sogno: cantare quella meravigliosa canzone al femminile di Mia Martini, “sfidando” Bruno Lauzi che in passato aveva specificato l’impossibilità di declinare al maschile questo brano. E anche se non è riuscita perfettamente sul finale non importa, l’importante è vedere negli occhi di Tiziano la commozione per averci comunque provato.

E la storia della nostra musica, che in fondo è la storia della nostra Italia, si fa notare anche quando si parla de Gli anni più belli, il film di Gabriele Muccino in uscita il 13 febbraio, il cui cast ci riporta alla mente ricordi passati ricoprendoci di sana nostalgia.

Un’apertura che si è rivelata anche l’occasione per fare emergere la forza delle donne, troppo spesso oscurata quando si tratta di televisione e di carriera. Quella forza che unita all’energia ci rende anime pure e che è venuta fuori nella spontaneità che ha contraddistinto Diletta Leotta e Rula Jebreal, qualità non da poco per un palco come quello di Sanremo, spesso motivo di imbarazzo come dimostrato molte volte in passato.

Donne che hanno affrontato temi di grandissimo impatto sul pubblico dell’Ariston e sugli spettatori in mondo visione: il tempo che passa raccontato dalla Leotta e ancor più la violenza sulle donne esposta dalla giornalista palestinese sotto forma di monologo.

Un racconto vero perché sentito, il quale unito alla lettura di canzoni scritte da uomini per le donne, da La cura di Franco Battiato a Sally di Vasco Rossi, ha vinto vista la sua capacità di toccarci come non mai e di farci riflettere su un problema attuale oggi più che mai!

E infine degna di nota è la novità che ha contribuito a rendere la prima serata così coinvolgente, e cioè l’esibizione di Emma Marrone per il pubblico di Piazza Colombo.

Serata di qualità, assolutamente promossa dalla critica e dal pubblico, come ha dimostrato l’elevato numero di ascolti. Ma non positiva allo stesso modo quando si parla di un paio di esibizioni: mi riferisco alla coppia Albano-Romina che da concorrenti dopo moltissimi anni di assenza hanno deciso di cantare in playback, e ad Achille Lauro, al quale è fortemente consigliato di modificare il modo con il quale vuole provocare se ha intenzione di fare il cantante anche in futuro.

Aldilà della sua musica che può piacere e non piacere, a mio avviso hanno fatto bluffe tutti e tre. La coppia ha manifestato una sorta di superiorità “intaccando” le regole del concorso, mentre il giovane cantante continua a sbagliare nello scegliere qualcuno da imitare per emergere a Sanremo: l’anno scorso era Vasco Rossi, quest’anno è Renato Zero. La provocazione fa bene all’arte, ma l’imitazione direi di no.

Maria Pettinato

Cosa c’è di meglio delle vacanze natalizie per godersi i propri affetti, mangiare in compagnia, rilassarsi davanti a un camino acceso, magari con un libro sotto mano?

È il periodo dell’anno del “buon riposo” e del “tempo necessario” per godersi finalmente la lettura del libro magari acquistato da un po’, ma mai aperto per impegni e stanchezza, o di una serata al cinema, o perché no, a teatro.

Ma cosa andare a vedere durante queste festività? E su quale libro immergersi? L’Artefatto ve ne ha voluti consigliare alcuni…

Cinema

Siamo in vena di allegria, quindi non c’è niente di meglio che la commedia all’italiana per svagarsi ridendo a più non posso… E chi meglio di Luca Pasquale Medici, conosciuto come Checco Zalone può offrirci la tanto attesa festosità?

Tolo tolo, quinto film di Checco Zalone, uscirà il primo gennaio in tutte le sale italiane e ancora una volta, come in passato, è già oggetto di discussioni, ma soprattutto è super atteso dal grande pubblico che, conoscendo l’attore pugliese, non sta più nella pelle!

Discussioni legate al trailer del film, apparentemente razzista per chi vuole vederla in questo modo, ma in realtà, per chi conosce Checco e la sua comicità, una presa in giro alla mentalità dell’italiano medio, che è per lo più mediocre e ignorante, ancorato a stereotipi che danno la colpa all’emigrato e non al governo per gli asfissianti problemi dell’Italia.

La comicità di Checco può infatti definirsi vera, capace di toccare la tragicità insita nelle piccole cose rendendola così un momento di riflessione che, per quanto leggero sia, si rivela essere protagonista.

Teatro

E poi c’è il teatro, che è in assoluto Natale, ma soprattutto ne è la rappresentazione, come avviene nello commedia tragicomica per eccellenza: Natale in casa Cupiello di Eduardo de Filippo.

La rappresentazione di una festività tanto attesa, e preparata dettagliatamente soprattutto nella Napoli degli anni Trenta. Tragicomica perché in realtà quella che teoricamente è la festa della bontà, dell’amore e della gioia familiare diventa tutt’altro, la festa dell’ansia per i preparativi natalizi, della confusione, della famiglia che si riunisce ma che è sincera davvero o è solo facciata? Del denaro e dello status sociale che non vanno toccati per non infrangere l’equilibrio familiare.

Letteratura

E infine non è festa senza un libro! E qui non posso sbilanciarmi più di tanto, perché come dico sempre leggere fa bene in ogni caso!

Ma se posso consigliarvi… in questo periodo è bello riprendere in mano i grandi classici, da 1984 di George Orwell a Delitto e castigo di Fedor Dostoevskij, da Il Ritratto di Dorian Grey di Oscar Wilde a Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas.

O puntare su qualcosa di nuovo, come ho fatto io con La profezia della Curandera (Mondadori, 2018) di Hernàn Huarache Mamani, un romanzo che fa riflettere sulle grandi capacità della donna, che non sono solo fisiche come i più pensano nel mondo occidentale ahimè alle soglie del 2020, ma soprattutto mentali.

Doti femminili che ci consentono di ottenere tutto ciò che in realtà desideriamo, perché è la nostra energia la sola capace di riportare pace ed equilibrio a noi stesse e al mondo che ci circonda. Una visione orientale, prevalentemente andina, protagonista di un libro che consiglio ai miei lettori!

Maria Pettinato